Chesil Beach – Ian McEwan #IanMcEwan #ChesilBeach #recensione

Erano adulti, una buona volta, in vacanza, e liberi di fare di testa loro. In capo a pochi anni, anche gente senza pretese si sarebbe comportata esattamente così. Ma per adesso, i tempi lo impedivano. Anche quando erano soli, migliaia di regole tacite continuavano a essere in vigore per Edward e Florence. Proprio perché erano adulti, non potevano abbandonarsi a gesti puerili come alzarsi da tavola snobbando piatti che qualcuno si era preso la briga di cucinare. Era ora di cena, no? E poi, essere infantili non era ancora onorevole, e neppure di moda.

Come ci spiega il poeta inglese Philip Larkin, c’è stato un momento negli anni Sessanta in Inghilterra, un po’ prima della rivoluzione sessuale e dei primi LP dei Beatles, un poco dopo la storica sentenza di assoluzione della Penguin Books per aver pubblicato L’amante di Lady Chatterley di D.H. Lawrence, in cui la società si muoveva verso la modernità in campo sociale e sessuale, ma con qualche passo indietro verso il perbenismo delle generazioni integerrime che avevano fatto la guerra e consideravano ancora il matrimonio l’unico contratto possibile per le famiglie, nel quale i due contraenti passavano dal ruolo di bambocci a quello di adulti nel giro di poche settimane, liberi di vivere nel mondo solo dopo sposati, mai prima.

McEwan in Chesil Beach racconta la storia di una di queste giovani coppie, Edward e Florence, la sera della loro prima notte di nozze, due ventiduenni laureati, vergini, ignari di tutto ciò che riguardi il sesso o il matrimonio. Lei è di estrazione più alta di lui, lui vorrebbe continuare con gli studi di storia ma riluttante accetta un lavoro dal futuro suocero; in ogni caso si piacciono, si amano, e se lo ripetono spesso; però si conoscono poco, in fondo, perchè vivono in un’epoca in cui le relazioni prima del matrimonio nel loro ceto devono essere asessuate, e non si può parlare di argomenti intimi nemmeno tra fidanzati. Sono un prodotto del loro tempo, che non li aiuta: la donna non deve essere corrotta, il sesso è solo accettabile solo se sanzionato dal matrimonio, tutto quello che c’è da sapere su una relazione e sul proprio partner lo si scoprirà man mano vivendo insieme, non prima. Le loro differenze, però, non sono poi così superficiali; i loro due mondi collideranno in modo alquanto drammatico, e noi assisteremo al confronto grazie alla innata empatia di McEwan e al suo raffinato -ma non impietoso – lavoro di dissezione dell’animo umano, in un romanzo che, come è suo marchio di fabbrica, si declina quasi tutto nella mente dei protagonisti.

“Gli sposi rimasero soli un momento, anche se udivano rumore di posate contro i piatti, e il mormorio dei ragazzi alla porta. Edward appoggiò una mano su quella di Florence e per la centesima volta della giornata disse con un filo di voce: “Ti amo”, e lei ricambiò all’istante, perché era verissimo.”

Chesil Beach è un buon libro, una profonda indagine psicologica condotta magistralmente, scritto magnificamente, non si può criticare un autore così bravo; ammetto però di non aver gradito il fatto che la narrazione sia interrotta da due parti di flashback, abbastanza consistenti, usate per presentare il passato prima del protagonista maschile e poi della controparte femminile, episodi inframmezzati da un capitolo nel presente, per ritornare di nuovo indietro. Ho trovato la narrazione piuttosto scollegata, in questo modo, il fluire della storia poco riuscito, ma ovviamente è una mera opinione mia.

Quello che mi è piaciuto davvero è in fondo la storia di due persone il cui vero dramma non è essere inesperti o repressi, ma l’incapacità di parlare, di esporsi davvero a quella persona che si è scelto di avere al fianco per la vita.E di come

E’ un libro che si conclude parlando delle occasioni perdute e di come a volte si perdano anche solo rimanendo immobili, del tempo che scorre inesorabile sul passato, della nostalgia di futuri che non si sono avuti. Non un libro perfetto ma intenso e molto bello.

“Spesso, quando era triste, si era domandata che cosa desiderasse di più al mondo in quel momento. Nel caso specifico, non aveva il minimo dubbio. Si vide alla stazione di Oxford, al binario del treno per Londra: le nove del mattino, custodia del violino in mano, un fascio di spartiti e qualche matita ben temperata nella sacca di tela sulle spalle, diretta alle prove del quartetto, a un incontro con la bellezza e la difficoltà.”

Lorenza Inquisition

 

Borderline – Valentina Colombani #borderline #recensione

 

“Borderline è il nome della mia malattia. La malattia che mi porta a raccontare balle, a essere autolesionista e promiscua sessualmente. Io sono Borderline. O pazza. O una stronza scandalosamente viziata. La mia malattia è l’impossibilità di essere normale. E questa è la mia storia”

  • Borderline – Valentina Colombani
  • Copertina rigida: 114 pagine
  • Editore: Einaudi (23 marzo 2004)
  • Collana: I coralli

 

Lei è Valentina.
Mangia e vomita, beve alcol, ingerisce una quantità di sostanze psicotrope che stenderebbero pure un cavallo, ha relazioni sessual/sentimentali instabili, promiscue, degradanti, è ricca, fa quello che le pare… e tutto ciò che tocca diventa merda.
Non è una vera alcolista, non è una vera tossica, non è una vera prostituta… è una Borderline.
Sta sempre sulla linea di confine che affaccia sulla psicosi.
Sta in bilico sul vuoto sconfinato che risucchia tutto e tutto distrugge.

È incapace di amare, ma soprattutto di ricevere amore.
Sempre alla ricerca del disprezzo altrui, semplicemente perché questo la libera dal sentirsi in colpa per la sua totale incapacità di “dare”.
Valentina non studia, non lavora…Valentina non sa fare niente, a parte “stonarsi”, sperperare un cospicuo patrimonio e allontanare tutti quelli che provano a volerle bene, creando intorno a sé un deserto di disperazione.

Ha una madre (che ama disperatamente e che ha visto sobria sí e no due volte in tutta la sua vita)…che si lascia andare lentamente alla deriva, distesa sul letto a guardare il nulla e a farsi divorare dalla depressione.
Ha un padre che l’adora, che le avrebbe donato il mondo (in qualche modo l’ha fatto) e che ha passato la vita a cercare di salvarla da se stessa, devastandosi.

La vita di Valentina è una storia di vuoti, di dolore e tradimenti.
Una storia di promesse non mantenute.
Di instabilità che porta all’autodistruzione.

La sensazione che ho avuto è che la Colombani abbia scritto questo libro sincero, schietto ed intimo, per necessità… per sopravvivere.
Perché senza la possibilità di “vomitarci” addosso più di vent’anni della sua vita allo sbando, non sarebbe mai riuscita a curarsi, a smettere di vomitare il cibo, ad “allinearsi”.
Attraverso la scrittura, il suo dolore assume finalmente una forma e un significato.
Non c’è esibizionismo nelle sue parole, né tantomeno compiacimento…c’è piuttosto il bisogno di ammazzare il demone che la divora dall’interno e che le toglie la possibilità di relazionarsi col mondo, e con se stessa prima di tutto.
Questa è la storia di una ragazza sommersa dal caos, dal disordine interiore.
Questa è una storia vera.

Antonella Russi

DESCRIZIONE

L’autoritratto per nulla indulgente di una figlia della borghesia milanese,compressa nel devastante vuoto degli anni Ottanta. Coi genitori separati, unpadre amorevolmente assente, una madre un tempo bellissima e ora vittimadell’alcool, una “borderline, o pazza, o una stronza scandalosamente viziata”che brucia la propria vita nel desiderio impossibile di una famiglia normale;con il corpo anoressico e nella mente solitudini e abusi, e che a tutto non sae non può che opporre una vita alla deriva, tra droga, uomini e prostituzione.Poi, la felicità che tanto desiderava finalmente si sfoga nella scrittura.Venti anni di vita in fuga raccontati all’impazzata, quasi non potessenascondere la sua medicina: smettere di cadere nel buio scrivendo.