Absolutely Nothing – Giorgio Vasta/Ramak Fazel #recensione @nellogiovane69

 Quodlibet edizioni 

Absolutely Nothing
Storie e sparizioni nei deserti americani
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Un viaggio di scoperta (realmente avvenuto) attraverso gli USA che tradisce la propria natura e frutta una sorta di reportage tradito, romanzo vero e proprio, di spazi prima che di strada, di memoria e dissolvenza. Di sparizione. Una poetica di “incidenti programmati” grazie al fotografo Ramak, vera e propria variabile impazzita, fautore dell’andare patafisico, degli incidenti di percorso organici al percorrere. Una contro-strategia che – opposta al planning di Silva con l’onnipresente cordone ombelicale dell’iPad – schiude i ventri cavi dell’America abbandonata, esausta, obsoleta, deserta. La prosa di Giorgio Vasta è densa e dinamica, gestisce profondità e superficie con agilità impressionante, rimesta nel torbido dell’immaginario collettivo (l’impronta dell’immaginario USA nel mondo in generale e negli italiani in particolare) per metterci di fronte all’attendibile inganno di uno sconfinato meccanismo di finzione opposto ad una altrettanto vasta (!), archetipa, incontenibile mancanza. Bel libro, anche come oggetto, pure se le foto di Ramak avrebbero meritato un formato maggiore.

Stefano Solventi

DESCRIZIONE

Cosa resta di un viaggio nei deserti americani? La luce accecante, la polvere, le ghost town e altre reliquie dell’abbandono – un ippodromo-astronave, le rive di un lago fossile, un cimitero di aeroplani. Restano pagine fitte di appunti raccolti in ottomila chilometri costellati di imprevisti e digressioni attraverso California, Arizona, Nevada, New Mexico, Texas e Louisiana. A percorrerli, con Giorgio Vasta, ci sono il fotografo Ramak – camicia hawaiana, sorriso cordiale, e una spiccata attitudine a complicarsi la vita – e Silva, pianificatrice e baricentro razionale del viaggio. Doveva essere un reportage, una guida letteraria; ma quando ciò che accade nel deserto – per eccellenza luogo di miraggi e sparizioni – si rivela il preludio di quello che succederà nella vita dello scrittore al suo ritorno, l’asse del libro si modifica: le persone diventano personaggi, e per Vasta il viaggio negli spazi americani diventa un viaggio nella propria immaginazione. A fare da contrappunto, le fotografie di Ramak Fazel, che del racconto sono espansione, verifica e, allo stesso tempo, smentita. Ritratto dell’America, ragionamento sul suo mito e omaggio alle sue narrazioni, Absolutely Nothing traccia un itinerario che collega scrittura documentaristica e fiction, riflessione e autobiografia, per provare a comprendere cosa accade ai luoghi – e alle nostre esistenze – quando le persone che li hanno abitati (che ci hanno abitati) se ne vanno via.

L’avversario – Emmanuel Carrère

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Ricalcando i suoi passi provavo pietà, una straziante simpatia per quell’uomo che aveva errato senza meta, anno dopo anno, chiuso nel suo assurdo segreto, un segreto che non poteva confidare a nessuno e che nessuno doveva conoscere, pena la morte. Poi pensavo ai bambini, alle fotografie dei loro corpi scattate all’Istituto di medicina legale: orrore allo stato puro, un orrore tale da costringerti a chiudere gli occhi, a scuotere il capo la realtà. 

Dopo aver letto, anni fa, La settimana bianca di Emmanuel Carrère, e nonostante l’opprimente senso di angoscia generato da quella lettura, mi ero messo in lista il successivo suo L’avversario; in realtà l’ispirazione dei due libri è unica e cioè un terribile fatto di cronaca che nel gennaio del 1993 sconvolge la regione francese limitrofa a Ginevra.
Ma nella Settimana bianca vi è fiction, con protagonista un bimbo, e la vicenda narrata è una sorta di viaggio negli incubi di questo piccolo Nicholas durante una vacanza in montagna con la scuola. L’avversario esce diversi anni dopo, nel 2000, ed ha una impostazione che ricorda moltissimo la lezione di Truman Capote in A sangue freddo.
Carrère, in veste di giornalista-scrittore, è colpito dalla strage compiuta da Jean-Claude Romand ai danni di moglie, due figli e dei suoi due genitori con annesso tentato suicidio nell’incendio che appicca alla sua abitazione.
Carrère si mette in contatto con il sopravvissuto protagonista, apre con lui una corrispondenza in carcere in attesa del processo, assiste alle assise e segue ancora per qualche tempo la dinamica comportamentale ed emotiva del condannato all’ergastolo prima di riuscire a dare alla luce il libro che racconta la vicenda.
A me sembra evidente la lezione di Capote per la cura quasi maniacale nella ricostruzione accuratissima di quello che accade a partire dall’innesco di un tunnel senza via di uscita imboccato da un uomo apparentemente buono e rispettabile agli occhi di chi gli è vicino, famiglia, parenti e amici, che senza un motivo apparente in realtà accumula, senza essere mai scoperto, una vita fatta solo di menzogne. A partire da un esame universitario non dato, seguono laurea inesistente, lavoro inesistente, relazioni e riconoscimenti inventati, redditi carpiti con l’inganno a genitori e amici, fino ad una relazione extra-coniugale che sarà l’inizio della fine, e che lo porterà a una decisione di suicidio che diventa poi una terrificante strage.

L’ultimo anno è trascorso sotto il peso di quella minaccia, che prima incombeva sulla sua vita in modo diffuso. Ogni volta che incrociava qualcuno, che qualcuno gli rivolgeva la parola o il telefono squillava a casa sua, l’angoscia gli stringeva lo stomaco. 

Il racconto prende letteralmente alla gola per l’orrore dei dettagli che soprattutto durante la cronaca processuale lo scrittore riporta con fedeltà, e con il proprio smarrimento personale nel dover trattare una materia talmente indicibile.
A differenza del capolavoro di Capote, non si avverte qui l’empatia verso il colpevole da parte dello scrittore, che pure riesce nel corso del libro a farci sentire dentro la psiche dell’uomo e che comunque, intervistando anche amici e qualche volontario che frequenteranno il Romand negli anni di carcere constatandone il suo presunto pentimento, la richiesta di perdono alla moglie uccisa e una fervida fede nel perdono di Dio, non potrà esimersi dal chiedersi se questo non sia l’estremo ulteriore inganno verso di sé e verso chi lo ascolta. Le sue riflessioni ci fanno sentire increduli e angosciati davanti a un male che non riusciamo a comprendere, un male interno, personale, che forse però speriamo sia esterno, “ l’avversario” che biblicamente chiamiamo Satana con cui potremmo doverci confrontare. Un libro che racconta una vicenda umana terribile.

Mentre tornavo a Parigi per rimettermi a lavoro, non vedevo più ombra di mistero nella sua lunga impostura, ma solo una misera commiserazione di cecità, disperazione e vigliaccheria. Ormai sapevo cos’accadeva nella sua testa durante le lunghe ore vuote trascorse nelle aree di servizio o nei parcheggi dei bar, era una cosa che in qualche modo avevo vissuto anch’io, e che mi ero lasciato alle spalle. Ma mi chiedevo: che cosa accade, adesso, nel suo cuore durante le ore notturne di veglia e di preghiera?

Renato Graziano