Ombre. Racconti ispirati ai dipinti di Edward Hopper #EdwardHopper #recensione

Ombre. Racconti ispirati ai dipinti di Edward Hopper

Curatore: L. Block

Traduttore: L. Briasco, F. Deotto, L. Sacchini
Editore: Einaudi
Collana: Einaudi. Stile libero big

Se il pervasivo amore per la lettura degli adepti di questo gruppo di fanatici fosse casualmente abbinato anche all’interesse per la pittura (binomio già sperimentato recentemente con le “Ninfee nere” di Michel Bussi), vorrei segnalare anche la raccolta di 13 racconti di “OMBRE”, curata da Lawrence Block e ispirati da 13 quadri del grande pittore americano Edward Hopper. Se lo conoscete e ne siete stati affascinati, come me, sapete che i suoi dipinti generano un senso di sospensione della vita di persone normalmente rappresentate da sole in stanze, case, bar, angoli di strada, come se la loro storia fosse magicamente fissata in attesa di qualcosa o qualcuno, senza poter capire il prima e il dopo delle loro esistenze.
Stimolante l’idea di Block (autore anche dell’ultimo racconto) di chiedere a dodici colleghi di tutta caratura letteraria e appassionati a loro volta di questo pittore di crescente popolarità, di cercare dei “prima” o dei “dopo” ai quadri che sono inseriti in testa ad ogni racconto. E poichè gli autori sono gente come Connelly, Deaver, Child, Lansdale, Joyce C. Oates e ancora Stephen King e altri, la vena noir è prevalente ma non l’unica, per una varietà di stili e invenzioni che colgono molto bene, nella maggior parte dei casi lo spirito dei quadri.
Solitudine, ansia, attesa, vendetta, terrore escono dai quadri e danno una dimensione temporale a quelle vite sospese trasformando il quadro in punto di partenza o di arrivo, e donandogli voce e profondità. Mi è parso un esperimento ben riuscito
A corredo volendo, nello stesso periodo Donzelli ha pubblicato una antologia di scritti del poeta americano Mark Strand che “legge” i quadri di Hopper (una chicca che ho trovato al Salone del Libro di Torino).

Renato Graziano

Uomini senza donne – Haruki Murakami

“Un giorno all’improvviso diventi uno dei tanti uomini che non hanno una donna. Quel giorno viene di colpo a farti visita senza che tu ne abbia il minimo presentimento, senza il minimo preavviso, senza annunciarsi bussando o schiarendosi la gola. Svolti l’angolo, e ti accorgi che ormai sei arrivato lì. Ma non puoi più tornare indietro. Una volta girato l’angolo, quello diventa il tuo solo, unico mondo. E quel mondo lo chiami «uomini senza donne». Sì, con un plurale di gelo infinito”.

muraki

Uomini senza donne è l’ultimo libro tradotto in Italia di Haruki Murakami, sette storie, sette uomini la cui vita viene fotografata da un preciso istante in poi, il momento in cui il “femminile” esce di scena, e loro rimangono, appunto, uomini senza donna. I motivi di questa assenza sono più o meno misteriosi e drammatici, e gli uomini protagonisti non sono sempre necessariamente vittime. Ne emerge un racconto corale di solitudini e ricordi, di uomini che per un periodo – lungo o breve – hanno vissuto l’illusione della vicinanza, della comunione, e una in genere pacata nostalgia per quello che non è stato.

Le storie presenti hanno diversi gradi di profondità, surrealismo e malinconia. Come sempre succede nelle raccolte di racconti, qualcuno è più vicino all’autore come lo conosciamo nei romanzi, e qualche storia pare invece scritta da un’altra persona. Le tematiche e lo stile rimangono per me comunque molto coerenti con quello che ho letto finora di Murakami, una scrittura pulita e piacevole, a volte declinata in uno stile favolistico dove non succede quasi mai niente ma sembra che succeda sempre qualcosa di fondamentale, tra una passeggiata e un gatto, un amplesso e un disco jazz, un sogno e un giro in macchina, una citazione dei Beatles e una lista di libri da leggere.

In questi racconti troviamo l’attore vedovo che vuole diventare amico di un amante della moglie defunta; un giovanissimo innamorato che nella sua inadeguatezza spera che la sua ragazza, con la quale fa coppia fin dalle medie, si metta con suo amico, onde evitare di doverla cedere a sconosciuti; il chirurgo plastico, dongiovanni incallito, che si innamora per la prima volta in tarda età con conseguenza drammatiche; una Shahrazad che fa visita a un amante recluso e gli racconta frammenti di storie,  proprio come ne “Le mille e una notte”, lasciandolo ogni volta in sospeso a desiderare più di ogni altra cosa il suo ritorno (“Perché le donne offrivano un tempo speciale che annullava la realtà, pur restandovi immerse”); un uomo che scopre il tradimento della moglie, ma non riesce ad esprimere il proprio dolore e finisce con l’accumulare un vuoto interiore abissale. Perchè è giusto provare sì a dimenticare, ma non è abbastanza. “Non doveva solo dimenticare, doveva anche perdonare”. E nemmeno perdonare è abbastanza: bisogna avere rispetto per se stessi, e dunque saper ascoltare il proprio cuore, se -metaforicamente – si vuol evitare che i serpenti lo assedino. Bisogna avere il coraggio di ammettere: “Sì, sono stato ferito, e molto profondamente”.

In uno dei racconti più riusciti per me, Murakami rovescia la prospettiva della Metamorfosi di Kafka: non un uomo trasformato in scarafaggio, ma uno scarafaggio che si sveglia trasformato in Gregor Samsa, scoprendo subito quella molla potente della condizione umana che si chiama desiderio. L’oggetto del suo desiderio è una donna con un evidente difetto fisico, nelle strade di Praga ci sono militari stranieri che arrestano la gente. E non è un caso forse che l’unico spiraglio di relazione possibile del libro ci giunga grazie a un passaggio di fisicità ma soprattutto di personalità: il solo modo per riacquistare umanità (o imparare a viverla) sarà la relazione amorosa. La vicinanza dei diversi, la comunione al di là delle apparenze.

Murakami a me piace tanto come scrittore, ma penso che sia un autore che -più di altri- non può piacere a tutti: o ti lasci andare alla sua narrazione, o resisti; o ti affascinano i suoi mondi metà sogno metà realtà, o te ne vuoi andare per non tornare mai più. Questi racconti non fanno eccezione: c’è il registro magico-fantastico, anche se non è dominante, troviamo sia la storia più lineare sia quella dove chiudi e ti chiedi se tutto sia accaduto o  sia stato solo immaginato. Ci sono la contemplazione dell’illogicità della vita, il mondo onirico e la riflessione sulla solitudine dell’uomo davanti alle grandi scelte, e una galleria di personaggi in fondo comuni ma anche particolari e profondi nel tratteggio.

Se non avete mai letto nulla di questo autore e vi incuriosisce, per me potete partire da qui: se vi piace, nei romanzi troverete tutto quello che c’è in questo libro ampliato e approfondito. Se non vi piace, è comunque un libro maneggevole sia come temi che lunghezza, e vi sarete fatti un’idea serena di uno scrittore molto famoso.

Lorenza Inquisition