Punch al rum – Elmore Leonard #recensione #elmoreleonard

“I know how you feel. But when you hit an ex-con who’s done three falls, they say you better kill him.”

Jackie Burke arrotonda lo stipendio da hostess lavorando per Robbie Ordell, un trafficante d’armi con manie di grandezza. Fra la gente di Ordell, l’unica davvero in gamba è proprio lei, che facendo la spola tra Palm Beach e le località turistiche riesce a trasportare in cabina qualsiasi cosa. Ma sulle tracce di Ordell ci sono un bel po’ di persone, federali compresi. E Jackie dovrà ricorrere a tutta la sua abilità e a tutto il suo fascino per cavarsela. E magari per salvare anche i soldi del boss.

Non vedo il film Jackie Brown di Tarantino dai tempi della sua uscita e un giorno magari lo vorrei rivedere, ma prima non avendo mai letto nulla di Elmore Leonard (sacrilegio!) ho approfittato per leggere Punch al Rum, il libro da cui è tratto (anche abbastanza fedelmente, a parte il fatto che nel libro la protagonista è bianca e non nera come nel film). Storia di scapestrati e improbabili delinquenti e spacciatori, divertente e ben ritmata, che sa di sceneggiatura resa a romanzo,  dialoghi oliatissimi e credibili, battute al fulmicotone di grande ironia. Un noir scritto bene e con personaggi ben delineati, tutti, dai comprimari ai principali protagonisti. Abbiamo Robbie Ordell, il cattivo. Malavitoso con stile, trafficante d’armi dall’abbigliamento glamour, agisce in ragione del profitto, e se può lascia che il lavoro sporco lo facciano i suoi tirapiedi. Quando ammazza di persona non è certo per sadismo o per momenti di furore incontrollabile: è perché gli affari sono affari. Dall’altro lato, Max Cherry, il buono. Ex poliziotto, fa il garante cauzioni. Ha una moglie separata che lo dissangua, vorrebbe mollare il lavoro ma non ha abbastanza soldi per andarsene in pensione anticipata ed è troppo onesto per ammassarli in modo illecito. Almeno fino a quando non conosce Jackie Brown, la bella. Quest’ultima è la tipica dark lady (sebbene vestita da hostess): esteticamente appetibile e libera da remore etiche, si mette a fare il doppio gioco col criminale e gli agenti dell’ATF che lo braccano, ammaliando il buono e usandolo per raggiungere il suo scopo, ovvero quello di gabbare tutti (o quasi…). Nulla di epocale, se non una letteratura di genere fatta come dio comanda e uno stile pre-pulp senza mai le esagerazioni e le volgarità spesso proprie del genere. Di fatto anche il film di Tarantino è il suo meno gigione e meno esagerato, e forse per questo anche meno di successo. Una lettura più che piacevole e che mi invoglia a tornare sul suo autore (anzi, se avete consigli…)

Nicola Gervasini

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Le Belve – Don Winslow #DonWinslow

 le-belve

Lo sbaglio è di Ben, e ha radici lontane. Lui ha sempre creduto di poter vivere con un piede in due mondi. Una Birkenstock nel sottobosco del traffico di marijuana, l’altra nel mondo della civiltà e della legge. Ora sa che non può. Ha tutti e due i piedi intrappolati nella giungla. Chon non ha mai coltivato questa illusione. Lui ha sempre saputo che ci sono due mondi: Quello selvaggio. Quello meno selvaggio. Il primo è il mondo del potere duro e puro, della sopravvivenza del più forte. Cartelli della droga e squadroni della morte, dittatori e tiranni, attacchi terroristici, guerre tra bande, odi tribali, stragi e stupri di massa. Il secondo è il mondo del potere civilizzato. Governi ed eserciti, multinazionali e banche, compagnie petrolifere, paura e shock, morte dal cielo, genocidi e stupri economici di massa. E Chon sa che in realtà i due mondi sono uno.”

Se Il potere del Cane aveva la forma del grande romanzo americano, con Le Belve Winslow adotta una ermetica scrittura da letteratura pulp anni 90 (il primo capitolo è “Vaffanculo”. Punto. Fine del capitolo), giocata su frasi tronche o spesso di una parola sola, capitoli di anche poche righe, una struttura che già suggerisce un montaggio filmico dinamico e nervoso che purtroppo Oliver Stone non ha colto appieno quando ha portato il libro su pellicola. Che dire, storia classica, gli Stati Uniti che con una mano incentivano la produzione (fuori) e il consumo di droga (all’interno), e dall’altra fanno finta di combattere i cartelli della droga con campagne terroristiche nei paesi “produttori”. Con una pluralità di scopi, che possono sintetizzarsi tutti con l’obiettivo di esercitare un controllo di fatto dei territori che non possono più controllare direttamente a seguito del processo di decolonizzazione. Un po’ Breaking bad (molto Breaking bad direi), un po’ qualsiasi film d’azione sulla droga messicana, racconta la storia di due giovani coltivatori di marijuana, che riescono a crearsi un discreto mercato nella California del sud ma soprattutto a inventarsi una super qualità di maria che va letteralmente a ruba. Contestualmente, la volontà d’espansione dei cartelli della Baja porta quest’ultimi a volersi accaparrare il mercato californiano, anche alle spese dei tre ragazzi. Si passa dalle offerte alle minacce, al sequestro della loro amica – e amante  comune – Ophelia, che segnerà il punto di non ritorno e che darà il via all’escalation di violenza che porterà tutti i protagonisti verso il proprio destino annunciato.

Bello, anche se nel Potere del Cane si respirava aria di capolavoro, qui solo di grande intrattenimento.

Nicola G.

DESCRIZIONE

Ben e Chon sono amici per la pelle: un genio delle economie di scala e un prodigio di forza fisica e addestramento militare.
Diversi, complementari, accomunati dalla stessa filosofia – vivi e lascia vivere – condividono tutto, inclusa Ophelia, la ragazza dei loro sogni. In California hanno creato un piccolo regno coltivando e smerciando un prodotto speciale: la miglior marijuana degli Stati Uniti. Ora, però, la loro remunerativa attività è finita nel mirino dei cartelli messicani. Che hanno un modo tutto loro di comunicare le proprie intenzioni: spedire un video nel quale mostrano la sorte riservata a chiunque non si conformi alla loro volontà.
A Ben e Chon non restano che due alternative: incassare i dividendi e ritirarsi in buon ordine o accettare la sfida in campo aperto e prepararsi a una battaglia senza esclusione di colpi, nella quale a essere in gioco non sarà solamente la loro impresa commerciale, ma la loro stessa vita.

Una lingua secca, carica di umorismo. Ben e Chon, due personaggi avvolti da un insolito, accattivante alone di romanticismo. Loro due soli contro i grandi cartelli della droga. Una storia dal ritmo implacabile, piena di azione e colpi di scena. Le belve è un nuovo, prezioso tassello della saga di confine inaugurata da Il potere del cane.
Da questo romanzo Oliver Stone sta girando quello che si annuncia come uno dei film imperdibili della prossima stagione.