Walden ovvero Vita nei boschi – Henry David Thoreau #Walden #Thoreau #AttimoFuggente

«Le cose non cambiano, siamo noi che cambiamo.»

Walden ovvero Vita nei boschi è il resoconto di un periodo di vita dell’autore, Henry David Thoreau, naturalista, filosofo e agrimensore, che nel 1845 decise di soggiornare per due anni in una capanna, costruita in gran parte da solo, sulle sponde del lago Walden (Massachusetts). Durante questo periodo egli visse di caccia, pesca, e del raccolto di poche colture cui si dedicava. Si scaldava con la legna tagliata nel bosco, e si faceva il bagno nel lago, leggeva qualche libro, meditava osservando il paesaggio, scriveva; il tutto per cercare un rapporto intimo con la natura e insieme ritrovare se stesso in una società che non rappresentava ai suoi occhi i veri valori da seguire, ma solo l’utile mercantile.

Ovviamente è un libro dal quale per tematiche e svolgimento mi son tenuta rigorosamente alla larga per trent’anni, più o meno, perchè sapevo che non poteva piacermi. Non me ne frega niente di andare pei boschi, sono pigra e voglio il bagno in camera, e il contatto con la natura per me finisce nel momento in cui echeggiano le note di una chitarra da qualche parte. Chitarra ELETTRICA, ovviamente. Ero più che sicura di non volerlo leggere, insomma; tuttavia è anche un caposaldo della letteratura americana, che ha influenzato grandemente, e continua a farlo, tutta la controcultura del Paese.

Col suo libro Thoreau afferma definitivamente il mito democratico dell’intellettuale dissenziente, che dà forma di scrittura artistica a ciò che un discorso sociale filisteo ha emarginato: lo scrittore che dice “no con voce di tuono” al mondo, salvando e perpetuando nell’arte l’ideale nazionale che la società sta tradendo.

Walden fu molto apprezzato dagli autori della Beat Generation, che vedevano nella sua forte volontà di un ritorno alla natura il contrasto con la crescente modernizzazione delle metropoli americane, e il consumismo che permeava tutta la loro società, ma anche da autori più moderni, per certe riflessioni vegetariane e naturaliste che non possono non prendere piede in questo nostro mondo così inquinato e rovinato. Col passare del tempo è diventato un classico, l’archetipo di un sogno che, periodicamente, si insinua nei sonni di tanta “gioventù ribelle” e rinasce in una miriade di nuove forme.

Così, pur sapendo che per molti versi non poteva piacermi, mi sono decisa a leggerlo, ed è stato tutto sommato un bel viaggio. Continuo a volere il bagno in camera e direi anche il room service, ma è un libro da leggere innanzitutto perchè è davvero ben scritto, a tratti poetico, chiaro nell’enunciazione e interessante nelle citazioni: testi fondamentali delle culture mondiali, la Bibbia, i Veda, i filosofi dell’antichità. Moltissimi sono i riferimenti agli autori greci e latini e diverse le riflessioni sui grandi classici della letteratura europea e americana (specialmente nel capitolo dedicato alla lettura), che Thoreau ritiene indispensabili per chiunque voglia davvero apprendere: «Coloro che parlano di dimenticarli sono quelli che non li hanno mai conosciuti».

Poi, è sorprendentemente attuale nel parlare di problemi che dobbiamo affrontare oggi come 180 anni fa: le falsità e ipocrisia delle convenzioni sociali, l’inutile affanno della vita moderna, la schiavitù del consumismo e delle comodità eccessive, la bellezza infinita della Natura che pochi uomini ormai riescono ad ammirare, il desiderio di una vita semplice; e poi argomentazioni sul consumo critico, sull’economia alternativa e sulla spiritualità moderna.

Thoreau amava la natura, era fortemente ostile nei confronti del mercantilismo e dell’utilitarismo dei suoi connazionali e sosteneva che l’uomo per migliorare se stesso doveva abbandonare le proprie preoccupazioni, sia economiche che sociali. Pensava alla vita come un lungo cammino spirituale di elevazione morale che non si basava tanto sull’aspetto religioso quanto a una ricerca della propria più profonda identità e comunione con il mondo che ci circonda.

Sono pronto a scommettere che tutti i commenti su Walden, anche i tanti che non ho letto, contengono prima o poi l’aggettivo attuale, quasi si trattasse di un appellativo omerico, appiccicato alla copertina come un secondo sottotitolo. In effetti, molti temi affrontati qui per la prima volta sono più urgenti oggi di centocinquant’anni fa. La ricerca di uno stile di vita sostenibile, il dialogo con le filosofie orientali, il rapporto paritario con la Natura, la critica al lavoro e alla società dell’abbondanza. Paolo Cognetti

I capitoli iniziali sono un resoconto dettagliato di come l’autore, ponendosi come cavia, porta avanti per due anni l’esperimento di vivere nei boschi, nell’intento di dimostrare prima di tutto a se stesso e poi agli altri quanto semplice potesse essere vivere in armonia con sè stessi e la natura, rinunciando alle agiatezze della vita di città. Quindi questa prima parte contiene molte critiche alla società umana, troppo concentrata sul lavoro e sul profitto per riuscire a vivere in modo autentico.

Proseguendo con la stesura le riflessioni lasciano ampio spazio a descrizioni, a volte davvero liriche, a volte francamente troppo didascaliche, della natura, e ovviamente del lago, dei pesci, della fauna boschiva nelle diverse stagioni dell’anno. Sono affreschi dettagliatissimi e, se proprio devo dirlo, e lo dico, per me un poco pedanti. E’ evidente che ognuno può ritrovarsi a piacimento nell’esplorazione della natura con tanto di erbario in mano fra cince, cinciarelle e altri animalucci del bosco. Ma per me il vero lascito sono le riflessioni sui massimi sistemi nel momento in cui Thoreau va alla ricerca del senso de “la vita, l’universo e tutto quanto”.

Quindi, un libro che sono contenta di aver letto, nonostante le premesse, che non rileggerò, che contiene concetti ormai diffusi e sviscerati in infinite opere più moderne; ma poichè è partito tutto da qui, è interessante vedere da quale purezza di pensiero siano scaturiti.

Lo consiglio a chi ha un vero interesse per la natura e nelle tematiche ambientaliste e di critica del moderno pensiero di consumo di massa; a chi è realmente dedicato nei suoi studi alla letteratura nordamericana; e a chi ha tanta pazienza, perchè è oggettivamente un mattoncello.

Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa, vivere da gagliardo spartano, tanto da distruggere tutto ciò che non fosse vita, falciare ampio e raso terra e mettere poi la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.

Lorenza Inquisition

 Un uomo è ricco in proporzione al numero di cose delle quali può fare a meno.

 

Passeggiate con la nonna – Laura Facetti #recensione

facetti

Libro comprato d’impulso, usato, senza sapere niente dell’autrice, se non quello che è scritto sulla quarta di copertina: una arzilla ottantenne che parla delle vacanze in montagna con sua nipote.
Montagna, vacanze, nonni e vecchie tradizioni: chi mi conosce sa che queste parole sono per me un’attrazione irresistibile! Infatti il libro l’ho comprato e divorato in una serata (non è molto lungo).

Ogni capitolo è un piccolo racconto di un’esperienza dalla quale Sophie, la nipote, impara qualcosa: l’incontro con un formicaio è lo spunto per riflettere sulla società, le gerarchie e la libertà; una valanga che distrugge parte del bosco, occasione per parlare della morte e della rinascita…
Il punto di vista è sempre quello della nonna che, tutt’al più, cerca di interpretare dagli atteggiamenti e dalle domande della bambina i suoi pensieri, che invece non vengono mai riportati dal narratore.

A me il libro è piaciuto. Però credo mi sia piaciuto più per i ricordi che ha re-suscitato delle mie vacanze in famiglia, in montagna, da bambina che per un oggettivo valore del libro.
In realtà, mi pare che sia piuttosto superficiale: le riflessioni suscitate dalle domande della bambina non vengono mai approfondite, ma vengono lasciate in sospeso alla fine di ogni capitolo. Peccato!

Ultimo appunto: sul web ho trovato alcune recensioni che lo descrivono come un libro che parla dell’affetto di questa bambina per gli animali e quindi dell’adozione di un gatto, che si ammalerà e farà una brutta fine, e del suo imparare ad amare anche i tacchini.
Ora, è vero che due delle storie contenute nel libro parlano di questo, ma personalmente mi pare riduttivo limitare a questo argomento il contenuto dell’intero volume…

Cecilia Didone

(Nel risvolto di copertina)
Passeggiate con la nonna racconta con grande nitidezza, di una nonna, indubitabilmente l’autrice, che assiste alla piccola e mirabile scoperta del mondo della nipote bambina.
Siamo in montagna, in Valtellina, in una casa isolata nei boschi durante le vacanze estive: gite, osservazioni della natura, episodi della vita di relazione tra i nonni e la nopotina con la gente del posto e quella che transita di lì.
Ogni cosa è evento, occasione di emozione, riflessione, riempimento di senso, il gioco delle carte e il brulicare di vita si svela rovesciando una pietra accanto al sentiero.
Ma il romanzo non è solo un esercizio di dilatazione delle piccole occasioni quotidiane: come è data a tutti c’è la morte , nella vita, i lutti di cui specialmente coi bambini non si parla , quel non detto che però specialmente con i bambini è sempre uno sfondo della comunicazione; e ci sono avvenimenti che trascendono la sfera privata, ma che attraversano le biografie depositando senso e memoria, la guerra di cui c’è il ricordo, l’alluvione che inonda il presente.

Nell’esperienza individuale c’è tutto ecco forse il messaggio principale di questo luminoso elogio dell’attenzione in forma di racconto.