
“La gente è curiosa. Quando vede una levetta, vuole abbassarla. E quando vede un bottone, vuole schiacciarlo”.
Stephen King scrive a quattro marce: i capolavori, i molto buoni, i libri meh, e tutto il resto. Scrive anche tanto, e da cinquant’anni, quindi non è che si sta qui a giudicarlo, lo sapete. Comunque, Gwendy e la sua scatola sono in una categoria a parte, diciamo proprio in un’altra corsia, abbastanza nuova: sono libri pubblicati con il suo nome, che hanno poco a che vedere con lui e soprattutto con la sua scrittura. Tuttavia il nome del Re è un marchio che vende, e le case editorre che devono fare, mica possono buttare in der cesso occasioni così, con questi tempi grami che corrono.
Però rimane che fessi noi lettori non siamo, o dobbiamo cercare di non esserlo, e quindi prima di comprare questo libro, 18 neuro (DICIOTTO) variabili a seconda di sconti vari, leggetevi questo paio di informazioni che mi pregio di fornirvi.
Questo non è un romanzo, è un racconto, neanche lungo, e scritto pure in grosso (cfr. par. “e le case editorre che devono fare“), 240 pagine di cui 93 bianche o contenenti disegni e altre 49 piene per metà o meno. La genesi dell’opera è abbastanza semplice: Stephen King ha iniziato a scrivere un racconto, arrivando quasi alla fine. Poi ha perso interesse e stimolo per la storia, come a volte gli succede e, riferisce, dopo un po’ di tempo ha spedito il malloppo all’amico Richard Chizmar, dicendogli Te lo regalo, fanne ciò che vuoi. Chizmar è uno scrittore, ma è anche un editore; e che deve fare un editore che si ritrova un regalo così in grembo, non la abbiamo già esaminata questa questione? essù. E dunque Chizmar ha rabberciato un finale, sistemato due paragrafi e aggiunto qualche illustrazione, per poi boombastare il libro al grido di Il nuovo romanzo di King ambientato a Castle Rock dopo vent’anni di assenza.
Sigh.
La storia, in sè e per sè, si colloca un po’ nei libri meh (e vi ho fatto anche la rima): non è proprio brutta, non è horror, non fa tanta paura (anzi, quasi niente), non sviscera grandi temi: è solo il racconto della vita di una ragazza qualsiasi, di come entra in possesso della famosa scatola dei bottoni (che non è una scatola piena di bottoni tipo quelle di latta della nonna, io mi pensavo una roba così ma no, i bottoni sono sulla scatola) che conserverà per molta parte della propria esistenza. Ci sono segreti che riguardano questa scatola, ovviamente, e anche sull’uomo nero che la porta, e questi segreti, e penso sia questa la parte del libro in cui il Re vive e prospera, sono inquietanti per una serie di potenzialità di penzieri opere omissioni che hanno un loro perchè. Questo però è più o meno il picco del libro, personaggi scritti con il pennarellone dei bambini con i ditoni grossi, storia che va e viene, dialoghi non pervenuti. Vabbè.
La copertina è bellina veramente, sul serio.
E comunque poi non ha neanche avuto torto, l’editore. Ci sono un sacco di opinioni entusiaste dei fan, quattro stelle di qua, MILLE STELLE dell’ingegner Cane di là, il libro vende, e quindi, che ve lo dico a fare.
Consigliato a chi non ha problemi di spese e vuole leggere, ma soprattutto collezionare, un King, sempre e comunque; sconsigliato a chi cerca chissà quale opera o vuole una storia insuperabile, ancora meno a chi ritiene che un simile prezzo valga solo per libri veri e propri. Giudizio critico sul libro, traslato da una delle frasi quasi finali del libro:
“Non si tratta del classico lieto fine, ma accontentiamoci”.
Alè. Già ve lo dice King, e ve lo dico pur io.
Lorenza Inquisition
Ma veramente ci sono voluti due scrittori per ‘sta roba? (utente amazon)
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