Giorgio Fontana – Un solo paradiso

fontana

Siamo a Milano, in periferia. Due amici che non si vedono da tempo si incontrano in un bar frequentato in passato dal loro gruppo ormai disperso. Il racconto di Alessio all’amico (il narratore, alter ego dell’autore?) è quello di un uomo che ha avuto il suo paradiso e lo ha perduto: un amore di quelli che capitano una volta nella vita, intenso, totale, definitivo. Martina lo ha incontrato, forse amato e poi lasciato perché non può non ritornare dal suo amore precedente. E allora dal paradiso Alessio scende in un progressivo inferno di desolazione: bere di tutto per dimenticare, perdere il lavoro, vagabondare, lasciarsi andare fino a perdere il sentimento di sé e di cosa si è.
Detta così è una storia banale e lo è in effetti nella sua normalità fattuale; ma è scritta con un’eleganza quasi ammaliante del perdersi per un amore vero e irripetibile anche se non ricambiato, decidendo che è l’unica cosa che da fare perché “si sopravvive a tanti inferni, e non a un solo paradiso”. L’autore Giorgio Fontana, già vincitore lo scorso anno con un altro romanzo “milanese”, ci accompagna nel suo racconto che ha il sapore di un lungo assolo jazz con le ripetute (e un po’ abusate) citazioni di brani di Coltrane, Young, Baker, e altri e che il protagonista della vicenda usa per sottolineare i suoi stati d’animo sempre più devastati che si combinano con la Milano marginale e ben descritta che entra a fare da sfondo alla deriva.
E la conclusione nelle parole dell’amico, che forse il paradiso non lo ha mai conosciuto e che per ore ascolta questo tormento di Alessio, senza avere il coraggio di staccarsene (ma forse neppure di salvarlo) sapendo solo dirgli che ciascuno ha un bonus di cattiveria da giocarsi una sola volta nella vita e che Martina ha “dovuto” giocarlo con Alessio, è aperta al dubbio che sia difficile giudicare se la sua vita “regolare” fatta di un buon lavoro, di una bella famiglia con moglie e figli sia davvero migliore.
Esercizio di stile, può lasciare perplessi ma può piacere a chi ha dell’amore una idea di disperato romanticismo, a chi ama il jazz triste e lacerante e la rievocazione di una Milano straniante e nebbiosa nei suoi bar periferici.

Renato Graziano

Ti ho dato un bacio mentre dormivi – Pacifico #Pacifico

*E urlo e picchio sui muri, mi ferisco.
Non sono pazzo, anzi! Sono rinsavito.
È solo che quello che provo non ci sta nel mio corpo*

pacifico

Si intitola “Ti ho dato un bacio mentre dormivi” il romanzo d’esordio di Luigi De Crescenzo, noto come Pacifico, compositore e cantautore italiano, edito da Baldini & Castoldi, in arrivo nelle librerie.

Un omaggio in bianco e nero di un milanese alla sua città, la Milano degli anni Cinquanta, periodo fiorente, quando era per molti il luogo delle mille opportunità. Come il pugilato, sport che “regalava lavoro e regalava cinque minuti di notorietà a panettieri e operai con muscoli”.

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La tremenda delicatezza di questo libro. L’audace, umanissima attenzione di questo piccolo libro. La storia enorme tenuta per mano da ogni singola, minuscola storia che circumnaviga le piaghe di Agostino, le sue pieghe, che vaga sulla fronte di Elena, sotto alle unghie di Anna e Andrea, nel bianco e nero di Luigi. Le voci di questo libro, i timbri autentici, certi sussurii spessi come grida, la ferocia del dolore tenuto dentro, in fondo alla stomaco, che quando scappa fuori è come pioggia che non lascia vedere più nulla, ma intanto lava via. Le faccende e i gesti e gli odori che fanno dei giorni ogni giorno un anniversario, un grazie all’esserci o all’esserlo stato. Che dono saper dire la vita quasi si trattasse di tracciare una linea che unisca la pupilla, la sconfitta e l’orizzonte! Che dono raccontare il minuscolo cogliendo nel minuscolo il tutto che siamo, che resteremo, anche fosse niente. Le piccole cose. Le piccole memorie. Non siamo che una tipografia di attimi fermati a renderci immortali, almeno per un po’.

Rob Pulce Molteni