“I nostri genitori non offrivano a mia sorella e me un appiglio abbastanza robusto al quale tenerci attaccati, che è quello che dovrebbero fare i genitori. Comunque, dare ai genitori la colpa delle difficoltà della propria vita alla fine non porta da nessuna parte”.

Bello questo romanzo di Ford, l’ho letto molto volentieri anche se a tratti il ritmo è troppo lento, persino ripetitivo. Però è il suo stile, devi lasciarti andare nella storia lasciandolo raccontare coi tempi suoi. Il libro si apre con una frase che determina lo svolgimento della vicenda: “Prima di tutto parlerò della rapina commessa dai nostri genitori. Poi degli omicidi, che avvennero più tardi”. Il narratore è Dell, un ragazzino quindicenne, che in realtà, scopriremo più avanti, ci parla dal suo diario di sessantenne in pensione perso nei ricordi. Ford fa un ammirevole lavoro nel tenere le due voci, l’adulto e il ragazzino, unite ma divise nella narrazione, destreggiandosi tra riflessioni e osservazioni che appartengono chiaramente all’uno o all’altro, lavoro non scontato nè facile lasciando parlare un solo narratore per tutto il libro.
La storia è divisa in due parti, che seguono i due avvenimenti spiegati nella frase di apertura. La prima è il racconto della distruzione di una famiglia, il crollo delle certezze nel mondo adulto da parte della giovinezza. Nell’America degli anni Sessanta, Dell vive con la sorella gemella e i propri genitori, sognando normali sogni di ragazzino tranquillo: imparare a giocare a scacchi, fare un progetto di scienze sulle api, avere buoni voti per l’Università una volta iscritto al Liceo. Non hanno amici nè parenti vicini, perchè il padre è un ex militare e per tutta la vita si sono spostati vivendo nelle basi dell’Aviazione. I genitori sono una normale coppia male assortita: la moglie più colta del marito, insegna alle medie fantasticando sulla propria carriera universitaria abbandonata nel momento della gravidanza. Lui un gioviale buono a nulla, che una volta congedato non sa che pesci pigliare, perde lavori su lavori, e infine, stupidamente, per saldare un debito decide di rapinare una banca. La moglie, perchè è debole, repressa, passiva, perchè alla fine è la via più facile, invece di opporsi e portar via i figli, accetta di fargli da complice. Il giorno in cui vengono arrestati segna il collasso della famiglia, e la fine della vita fino ad allora conosciuta. La sorella, con cui lui ha sempre avuto un rapporto particolare, a corrente alternata, scappa di casa; e Dell viene portato di nascosto in Canada da una collega della madre, che in una inaspettata presa di posizione prima di essere arrestata, decide che non vuole che i figli vengano istituzionalizzati fino alla maggiore età e ne organizza la fuga oltre confine. In Canada inizia la seconda parte del libro: ogni pretesa di esistenza normale viene inghiottita nella decostruzione del mito della frontiera, nel paesaggio disperso e anonimo della sterminata tundra canadese e della baraccopoli in cui il ragazzo si ritrova scaraventato. Dell vive nel Saskatchewan occidentale, dove è impiegato in una pensione di dubbia legittimità, parte bisca clandestina e parte bordello, tra lavoratori abusivi e cacciatori stagionali di anatre, quasi sempre solo se non per la compagnia di un metìs di incerte origini e sanità mentale. Gli avvenimenti precipiteranno nei due omicidi di cui si parla all’inizio del libro, determinando la definitiva perdita dell’innocenza del ragazzo e il suo ingresso nel mondo adulto.
E’ un libro un po’ cupo, nonostante sia raccontato in prima persona da un ragazzino, espediente che spesso concede una certa leggerezza in questo genere di storie: ma Dell è quasi sempre triste, nostalgico, perso, anche se mai veramente disperato. Uno dei temi principali del romanzo è la classica apatia di Ford nei suoi personaggi, un’accettazione passiva, amaramente fredda di quello che capita loro: la vita accade, e ogni personaggio si rassegna qualsiasi cosa succeda, bella o brutta (in genere brutta). Tuttavia c’è una certa fascinazione nella parte sul Canada, che è più un luogo interiore che un posto fisico, in cui Dell diventa adulto non solo per colpa dei famosi delitti ma per un suo percorso di crescita personale. E’ un ragazzino che impara a lavorare, a riflettere, a stare da solo, a osservare gli adulti; e tutto questo senza diventare rabbioso o impudente, nè arrogante. C’è qualche riflessione malinconica sul passato che avrebbe potuto essere diverso, ma si capisce che Dell sessantenne ha accolto il nuovo corso che la sua vita ha preso in quei famosi anni senza eccessivi drammi, e senza inutili, sfiancanti rimuginazioni. L’analisi delle personalità dei due genitori e della sorella è molto precisa, spietata ma non priva di empatia, soprattutto verso i due adulti, e su quella stupida, irresponsabile scelta che determina il destino dei figli: il loro errore li ha allontanati da quello che avrebbe dovuto essere la loro vita americana, quella immaginata, data per scontata, sognata da che erano piccoli. Ma poi, alla fine, da quell’evento, è nata comunque per Dell la sua vera vita, quella canadese in cui si è sposato, si è costruito una famiglia, una carriera: “Voleva anche dire che nel processo diventavi una persona diversa: cosa che mi stava succedendo e che doveva essere accettata”. Esiste quindi una passività che non è negativa, perchè determina l’accettare ciò che ti succede e su cui non hai alcun controllo, prendere in mano questi eventi e ciò che ti lasciano dentro e ripartire da lì, senza recriminazioni, e questo alla fine richiede forza e maturità.
Canada è un bel libro, con personaggi vividi, resi magnificamente e con grande empatia, che parla della solitudine che sta spesso al cuore dell’american dream come ideale di vita, e di come imparare a convivere con questa solitudine non sia, in genere, un male, ma anzi un modo per non esserne sopraffatti e, in definitiva, trovare una non generica e mai scontata felicità.
In una poesia del grande poeta irlandese Yeats c’era un verso che diceva: “Non può esistere alcunchè di unico o d’intero che non sia stato strappato”. In una vita dedicata all’insegnamento ho insegnato molte volte questa poesia e credo che il modo di pensare dell’autore fosse questo: che le cose sono imperfette, e tuttavia accettabili.
Lorenza Inquisition

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