George Martin, Summer of love

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I Beatles possono anche (inspiegabilmente) non piacere. ok, lo concedo (non lo comprendo, ma lo concedo), ma è oggettivo e innegabile il fatto che Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band sia uno dei tanti (ma nemmeno troppi) spartiacque della storia. Esiste qualcosa nel mondo che PRIMA di questo disco veniva fatto e pensato in un certo modo, e che DOPO quel disco viene visto, immaginato, pensato e fatto in modo differente.
Un po’ come aver scoperto un nuovo continente.
Di più, un po’ come averlo creato.
Ecco, questo libro è la storia di quella creazione, narrata da chi ha partecipato a renderlo possibile, riuscendo a far coagulare le idee di quattro ragazzi geniali che avevano voglia di farsi stupire dalla loro stessa immaginazione all’interno di un prodotto reale, che possiamo ascoltare ancora oggi, scoprendone ogni volta la freschezza e la genialità.
Probabilmente è una deformazione professionale da ingegnere, ma io rimango sempre affascinato da queste figure che sanno creare una proiezione terrena delle genialità, traducendo le idee in elementi concreti e facendolo oltretutto, nel caso di Martin, con mezzi tecnici decisamente “primitivi”. Oltretutto, leggendo della creazione di canzoni-capolavoro come Strawberry Fields (uscita come 45giri assieme a Penny Lane, e quindi non inclusa nell’album, ma creata all’inizio per farne parte) o A Day in The Life e guardandone la nascita al rallentatore e con la lente di ingrandimento, abbiamo poi modo di ascoltarla con orecchie diverse, facendo caso a dettagli che (almeno al sottoscritto) erano sfuggiti prima. Un po’ come scoprire nuovi motivi per innamorarsi di chi condivide il tuo viaggio da tanto tempo.

Luca Bacchetti

 

Chan Koonchung, Il demone della prosperità

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Tra un inferno autentico e un paradiso artificiale, che cosa scegliereste?

Ad avere una moglie sinologa finisce che la dose di Cina nella lista di libri letti è un po’ superiore alla norma, così, dopo i massaggiatori ciechi, ecco qui un altro libro dalla “terra di mezzo” (che non è quella di Bilbo e Gandalf, ma come i cinesi chiamano la propria nazione).
Il libro è stato abbastanza pubblicizzato anche da noi come caso letterario: “il libro più coraggioso pubblicato da un autore cinese che non vive in esilio” scrive ad esempio Internazionale, mettendolo nella lista dei libri da non perdere per nessuna ragione al mondo.
Si tratta di una storia di fantapolitica che sconfina spesso nel trattato socio-economico, e racconta fondamentalmente della memoria collettiva e di come sia tutto sommato facile far dimenticare alle persone eventi e finanche interi periodi della loro stessa vita.
Porta la gente in una condizione di euforico benessere e non avrai problemi a far dimenticare loro le peggiori nefandezze. Il libro è stato scritto nel 2009 ed è ambientato nel 2013, e la Cina del libro sembra avere dimenticato un intero mese (28 giorni, per la precisione) all’inizio del 2011, mese di feroci repressioni in tutto il paese la cui conclusione segna però l’inizio di un periodo di grande prosperità e di dominio incontrastato della Cina sull’economia mondiale. Nell’intenzione dell’autore questo periodo “cancellato dalla storia” simboleggia nemmeno troppo velatamente i fatti del giugno 1989, che abbiamo tutti noi stampati nella memoria grazie alle fotografie del ragazzo di fronte ai carri armati, ma che le nuove generazioni di cinesi praticamente non conoscono affatto.
La vicenda narrata, c’è da dirlo, è piuttosto debole e nemmeno troppo coinvolgente, mentre sono molto interessanti proprio quelle parti che in un romanzo normale sarebbero eccessivamente didascaliche, in cui si raccontano con una certa dovizia di particolari le strategie politiche e sociali adottate dal governo cinese per affermare con sempre maggiore importanza il proprio peso nell’ordine politico ed economico mondiale.
Le critiche al Partito Unico non mancano, ovviamente, e da qui la censura in patria (ma il libro viene comunque pubblicato ad Hong Kong e volendo lo si trova anche in librerie “secondarie” a Pechino o Shanghai), ma a mio avviso chi fa la figura peggiore non è il Partito, bensì le persone, il Popolo e la sua propensione a lasciar scivolare nell’oblio interi periodi della propria storia, sacrificati sull’altare del “Demone della Prosperità”.

Da notare anche la copertina piuttosto azzeccata, con una classica stampa da propaganda Maoista, dove l’operaio brandisce in alto anziché il famoso e famigerato “Libretto Rosso”, un Ipad…

Luca Bacchetti