Jane Eyre – Charlotte Bronte #janeeyre #charlottebronte

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Lo confesso: a pagina 100 stavo per abbandonare la lettura. Mi sembrava di essere ripiombata nell’atmosfera cupa e dolorosa tanto ben descritta da Emily in Cime Tempestose, libro capolavoro saturo di inenarrabile angoscia. Quell’atmosfera che ti fa pensare “disgraziate creature, queste sorelle Bronte. Mai ‘na gioia, mai ‘na soddisfazione…”.
Quella cappa di crudeltà e solitudine che digrigna i denti e ulula feroce come solo il vento della brughiera in una notte buia sa fare.
Ho resistito, ho cercato conforto in un mantello pesante e in manicotto di pelliccia (rigorosamente ecologica) e ho proseguito, nell’attesa di incontrare finalmente qualche personaggio positivo che compensasse la ferocia della signora Reed e di quel delinquente del figlio e che ripagasse dallo strazio della morte della piccola Helen (chiedo perdono per lo spoiler, ma forse solo la scena della mamma di Cecilia nei Promessi Sposi è altrettanto dolorosa).
E così eccola venir fuori piano piano la famosa Jane Eyre. Un personaggio complesso, vivace e passionale nel suo essere quasi invisibile, fedele e leale, remissiva e combattiva allo stesso tempo. Integra fino al sacrificio. Non mi è piaciuta sempre, Jane Eyre, in certi momenti mi sono dovuta fermare a riflettere per capirla fino in fondo. Ma quando il mio cammino mi ha portata a Thornfield e ho visto il cavallo del signor Rochester scivolare sul ghiaccio, ho capito che qualcosa di grandioso stava per accadere, uno di quegli amori che solo le pagine migliori della letteratura sanno incidere a fuoco nel cuore di chi legge.
E naturalmente è stato così, perché adesso chi se li toglie più dal cuore il signor Rochester e la sua piccola Jane?
Chi si toglie più dal cuore l’idea dell’amore che non può essere, non permesso e non possibile, dell’inganno che appare quasi giustizia ma che non rispetta la morale e che non può essere accettato? Chi si toglie più dal cuore l’idea di rinuncia, di indomita volontà, di realizzazione di sé?
La trama ha alcuni momenti in cui cade un po’ nella faciloneria e allora ecco comparire eredità e legami familiari risolutori. A volte la storia sembra scritta a quattro mani, lo stile di scrittura e il carattere dei personaggi hanno brusche virate. Ma quanto sono ben descritti certi caratteri? Quanta voglia viene di accendere un piccolo falò sotto l’integerrimo sedere del buon St. John, così, tanto per vedere se si scongela un po’?
E soprattutto, per l’ennesima volta, chi se li leva più dal cuore il signor Rochester e la sua piccola Jane?

Anna Littlemax Massimino

Io sono Charlotte Simmons – Tom Wolfe #tomwolfe

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“Loneliness wasn’t just a state of mind, was it? It was tactile. She could feel it. It was a sixth sense, not in some fanciful play of words, but physically. It hurt… it hurt like phagocytes devouring the white matter of her brain. It was merely that she had no friends. And she didn’t even have a sanctuary in which she could simply be alone.”

Arrivo con un libro di Tom Wolfe del 2004 che avevo lì da aaaanni, e che mi è tutto sommato piaciuto. L’autore non è particolarmente prolifico, anche se poi scrive dei tomoni di un certo peso specifico, parlando di romanzi. Questo all’epoca fece un certo scalpore per il modo in cui descrive – e critica ferocemente- l’ambiente universitario americano d’elite, le Ivy League e i loro studenti. Se si è frequentata l’università in Italia, si può leggere con distacco, e prendere il tutto con un certo beneficio d’inventario, ma molti americani trovarono offensivo che si dica a chiare lettere che l’ordine sociale nei grandi atenei è determinato in maniera rigida: the old money, i ricchi, gli atleti e gli altri, che sono fuori da tutto.

Ma non solo: quello che il romanzo dichiara senza mezzi termini è che negli ambienti bene delle grandi università americane, dove si forgiano i futuri leader di aziende, partiti e governi, dove vanno a studiare i figli dei migliori studiosi, dei più ricchi, dei potenti, gli unici valori rispettati sono la ricchezza materiale, lo status sociale, il proprio tornaconto. Essere liberi pensatori, studiare per arricchire il proprio bagaglio di cultura, crescere come persone non interessa, le Università sono solo dei mezzi, dei trampolini di lancio: questo, nel mondo accademico intellettualoide, del quale Tom Wolfe è un esponente riconosciuto, creò indignazione, articoli avversi, una certa bufera mediatica.

La storia si concentra sulla protagonista, la Charlotte che dà il nome al romanzo, una ragazza di origini modeste che grazie alla propria brillante intelligenza e al duro studio al liceo ottiene una borsa di studio per una prestigiosa Università, la Dupont (nella realtà non esiste, è stata creata apposta per il romanzo da Wolfe sulla falsariga di Yale e Princeton). Charlotte arriva al college con un bagaglio di ingenuità e sogni che tutti i giovani idealisti iscritti a una facoltà letteraria o artistica si portano dietro all’inizio: questo vedere il mondo accademico come l’Olimpo dove risiedono gli Dei del Sapere e della Conoscenza, che discettano ogni momento di importanti questioni filosofiche e letterarie e vivono nell’aria rarefatta delle vette che solo le grandi menti umane raggiungono.

Molte cose si possono dire di Wolfe, ma una su cui siamo direi tutti d’accordo è che sa scrivere, e bene: e quindi te la vedi la giovane Charlotte coi i suoi vestiti fuori moda e la sua verginità che parte con tutte le sue matite ben temperate e i quaderni nuovi e i libri intonsi, che sogna serate in biblioteca e quintali di appunti in Letteratura Inglese 1. La vedi il primo pomeriggio all’incontro con le matricole mentre la Responsabile del dormitorio enuncia le ferree regole della Casa e dell’Università: non si beve, non si fa sesso random, non si partecipa a festini, non ci si droga, la vedi mentre annuisce con vigore e serra le labbra convinta, si è qua per studiare, mica per divertirsi.

Quella sera stessa, rientrando, Charlotte sorprende la medesima Responsabile fare sesso sul divano, ed è solo il primo di una serie di shock che le si prospettano: tutti i ragazzi e le ragazze sono solo lì per divertirsi, per spaccarsi abbestia, per bere e fare sesso come se non ci fosse un domani. Ci sono i figli dei CEO di mezzo Paese che fanno nottata un festino dopo l’altro (ma non erano vietati?) in cui circolano liberamente droga e alcool. Ci sono le ragazze delle Confraternite più esclusive che vogliono solo scopare il maggior numero di ragazzi cool dell’ateneo, quasi fosse una gara di freccette in cui tenere i  punti. Ci sono gli atleti, i veri Dei dell’Università: solo loro che portano soldi e sponsorizzazioni, e a loro tutto è concesso, persino non studiare niente e avere un gruppo di studenti poveri che fa i compiti al loro posto.

Charlotte è apparentemente una dura, una tosta, e passa i primi mesi a cercare di studiare senza curarsi di nessuno, fallendo miseramente nel tempo. All’inizio penso piaccia a quasi tutti i lettori, questa ragazza intelligente e innocente, con una serie di valori morali che l’hanno guidata fin lì, con i suoi ideali e i suoi grandi sogni, che contrasta brutalmente con un mondo giovanile superficiale, classista, brutale, dove l’alcool scorre a fiumi, il tempo che ci vuole a una festa per portare una ragazza a letto sono sette minuti, i riti tribali sono crudeli e il sesso e lo sport sono gli unici valori riconosciuti e per i quali si viene rispettati.

A poco a poco, Charlotte non piace più tanto, perchè comincia a cambiare: è una ragazza povera di diciassette anni che improvvisamente non basta più a sè stessa come era stato al Liceo, e che comincia a mettere in discussione i propri valori e le priorità della vita. Perchè le pesano crudelmente il non avere amiche e un ragazzo, il non essere socialmente accettata, l’essere quella “strana” a cui si ride dietro, e che ha come unico amico un nerd sfigato che studia giornalismo.

“Alla Alleghany High aveva affrontato ostilità ed emarginazione, ed era stata palesemente fuori dai giri giusti, era rimasta fedele a se stessa, non si era lasciata condizionare (…) e aveva proseguito per la sua strada, fino ad approdare in una delle migliori università del mondo. Quindi, neanche adesso si sarebbe lasciata condizionare. Niente l’avrebbe fermata… niente. Se doveva cavarsela da sola, se la sarebbe cavata da sola. Però… si sentiva sola come un cane”.

Vi sono anche tre comprimari, tre personaggi le cui vicende si intrecciano con quelle di Charlotte. Uno è il nerd Adam, un intellettuale disadattato che ha aspirazioni lerrario giornalistiche e si mantiene facendo il tutor per gli atleti poco portati per lo studio. Jojo, uno degli atleti, che trova un po’ stretto il rientrare perfettamente nello stereotipo atleta=mezzo cervello e tanti muscoli. E infine Hoyt, un ricco figlio di papà che vuole fare la bella vita ed è pure coinvolto in un mezzo ricatto per un episodio avvenuto fuori dall’Università che vede protagonista un senatore e una inopportuna fellatio, affair che insieme a vari altri accadimenti trova modo di fare da sottotrama alle vite dei quattro giovani dentro e fuori dall’ateneo.

E’ un libro lungo, con uno stile che può risultare noioso a tratti (è un po’ provante un ossessivo ralenti usato per descrivere le azioni sportive, e ci sono dei dialoghi francamente insensati). Comunque io personalmente non l’ho trovato nè difficile nè brutto, a volte solo un po’ lento, ma i personaggi sono vividi e il linguaggio espressivo.

La figura di Charlotte, molto gradevole all’inizio tanto che davvero mi ci identificavo ricordando i miei diciott’anni e l’iscrizione a Lettere, subisce un’evoluzione poco gradevole, anche se in fondo non sorprendente, e giustificata. Senza voler spoilerare perchè non so quanti l’abbiano letto, diciamo che Charlotte dopo il primo semestre di sofferenza e alienazione, capisce che, per dirla alla Hollywood, è meglio essere “in” che “out”, e se questo vuol dire perdere la propria identità, ebbè, insomma, succede.

Lorenza Inquisition