Maurizio De Giovanni – Il commissario Ricciardi

Maurizio De Giovanni – Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi 

Maurizio De Giovanni – La condanna del sangue. La primavera del commissario Ricciardi.

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Ohhh, ma che bello quel sottiiiile piacere di scoprire una nuova serie di gialli, cominciarne uno e vedere che è buono, molto buono, finirlo in fretta e comprare subito il secondo per veder confermato il giudizio ed entrare pian piano in scimmia con la consapevolezza che passeremo tante ore insieme in futuro, il signor De Giovanni ed io.

Mi è piaciuto e mi piace, questo nuovo poliziotto che entra nelle mie letture (nuovo per me, è già in giro del 2006, per dire), Luigi Alfredo Ricciardi, commissario di pubblica sicurezza della Regia Questura di Napoli, anni trentuno, tanti quanti gli anni di quel secolo in cui lo incontriamo per la prima volta, già nove dell’era fascista.

Intanto, mi piace l’ambientazione storica, un poliziotto che deve muoversi tra i gerarchi e la nuova era che si assesta: i crimini, per decreto del piccolo re e del grande comandante mascellone, non esistono più. La città fascista è pulita, è sana, non ha brutture, e il cittadino nulla teme, perchè è protetto dall’ordine fascista: i suicidi non esistono, gli omicidi ancora meno. Quindi nulla per la gente, e nulla meno di nulla per la stampa; e se proprio succede qualcosa che non si può evitare che si sappia in giro, l’indagine va fatta in fretta, e risolta subito, senza incomodare nessun potente, lasciando stare i cittadini onesti iscritti al partito.

Poi, c’è l’ambientazione geografica, la città di Napoli, con le sue due facce, quella dei potenti  che vivono nei bei palazzi storici della zona a valle, quella ricca dei nobili e dei borghesi. E poi a monte i caseggiati popolari, gli scugnizzi, le lavandaie, i carrettini con la pizza fritta, le comari, i don, i manovali, i vicoli dei Quartieri Spagnoli. E ancora il porto, e gli artigiani, i venditori ambulanti, i borseggiatori e le prostitute, tutti insieme a costituire una città bellissima, a volte opulenta, altre disperata, affamata, innegabilmente viva.

In questo mondo umanissimo e multicolore si staglia il  Ricciardi, di nobili origini ma impegnato nella volgare bisogna di perseguire i criminali, figura triste, sempre in tensione, totalmente dedito al lavoro, insofferente della gerarchia e poco incline all’ambizione e alla scalata al potere. Se il precedente commissario – anzi, vicequestore- entrato nella mia libreria, il Rocco Schiavone di Antonio Manzini, è un diretto fratello romano di Montalbano, per me Ricciardi ha origini più nobili in tutti i sensi, il parente più prossimo che gli vedo attribuibile è Duca Lamberti di Scerbanenco. Non è che ci sia da gridare al miracolo perchè non è la reincarnazione del Duca (sigh), al massimo Ricciardi è un cugino in terza, volendo. Ma ha qualcosa, quella piega testarda, quella rettitudine morale, quel codice di decenza interiore che non si trova spesso nei detective nostrani, e questo mi ha conquistato.

Poi i libri sono scritti bene, le storie ben orchestrate, non comuni, e c’è anche modo di riflettere, a volte, dato da una caratteristica che potrebbe allontanare certi lettori, se banalizzata, ma che è invece scritta in modo sorprendentemente calzante: il commissario Ricciardi vede i morti, non tutti, e non a lungo, solo quelli morti di morte violenta, e solo in un breve momento, che riflette l’estremo minuto di vita, l’energia improvvisa dell’anima che si aggrappa a un ultimo pensiero. Questo elemento paranormale non è mai invadente, e soprattutto non è roba da baraccone in una Fiera, Ricciardi non parla con i morti, semplicemente ne vede a volte l’ombra, e coglie la loro ultima, disperata emozione.

Io per adesso ho letto i primi due della serie, il secondo, come è normale, è migliore, più profondo, meglio strutturato, i personaggi meno manichini. Non sono libri perfetti, e anche come gialli per adesso non è che brillino; anzi in entrambi verso la fine c’è un momento di imbarazzante mediocrità, uno di quegli sviluppi, quando si sta per scoprire il colpevole, così stupidi che ti fa uscire dalla storia per un momento. Tuttavia subito dopo c’è un monologo dell’assassino molto ben scritto, che ti riconcilia col tutto.

Tre stelle EMMEZZO su 5,  ci sono altri 6 libri che mi attendono, non mi disturbate per le prossime settimane.

Lorenza Inquisition

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Out (novel) – Natsuo Kirino

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Questo romanzo, in originale Out, edito in italiano come Le quattro casalinghe di Tokyo (perchè? why? non si za), è un lungo thriller psicologico con qualche tratto pulp, un po’ lento, ma mi è piaciuto. Per ogni personaggio, anche marginale, viene data una lunga descrizione, dove altri autori riescono a inquadrare con poche parole i protagonisti, questa scrittrice preferisce la via larga, e si prende il suo tempo, un tempo ben speso, per me.

La trama è incentrata su un delitto, commesso quasi all’inizio del romanzo, da una delle famose quattro casalinghe, quattro donne, diversissime tra loro per temperamento e mentalità, che lavorano insieme al turno di notte in uno stabilimento di Tokyo (e quindi tecnicamente non sono neanche casalinghe, caro il signor traduttore titolista. Vabbè).

La più giovane e carina del gruppo apprende che il marito ha perso tutti i loro risparmi al gioco d’azzardo, e come spesso accade, non solo non è pentito, ma è pure aggressivo, e alla fine della conseguente scenata la percuote. La sera successiva, senza premeditazione e quasi senza rendersene conto, la ragazza lo strangola, e chiede aiuto a una delle sue amiche, quella che sarà la vera protagonista del romanzo, strana dark lady poco femme fatale, Masako Katori, che a sua volta coinvolgerà le altre due non-casalinghe.

Gli altri protagonisti, perchè è una storia con una serie di personaggi diversissimi dei quali ogni punto di vista viene esplorato, sono il gestore del locale di gioco d’azzardo in cui andava a rovinarsi il marito assassinato, la sua migliore ragazza squillo, un giovanotto membro marginale della yakuza, e un giovane operaio per metà brasiliano, collega delle quattro donne in fabbrica.

Tutti questi personaggi, di cui veniamo a sapere passato, storia, sogni, aspirazioni defunte, sono, per legarsi al titolo originale, Out: fuori dalla società, dal pensiero comune, dall’omologazione. Sono, loro malgrado e non senza angoscia, estranei tra i loro simili, lottano spesso facendo di tutto per integrarsi, senza mai riuscirci. La stessa Yayoi, l’assassina, quella apparentemente più vicina a tutti gli standard considerati accettabili dalla società giapponese (giovane, carina, sposata con due bei bambini, che dovrebbe solo badare alla casa e al benessere della famiglia), deve pian piano spogliarsi di ogni finta appartenenza al mondo borghese bene, e cominciare a lavorare di notte in fabbrica per mandare avanti il bilancio.

E’ una storia comunque complessa, perchè le dinamiche di come le quattro affrontano il delitto e il disfarsi del cadavere, e le successive indagini della polizia, gli interrogatori, le negazioni, le altre persone coinvolte, i vicini che parlano, per poi allargarsi via via ad altri protagonisti e tornare a loro stesse, perchè un delitto non è cosa da cui si esce senza conseguenze, non sono lineari, e rimangono a volte penose. Perchè, è evidente, chi era sconnesso prima dell’assassinio non sarà capace di redimersi dopo, di riempire quel vuoto che in primis ha portato verso questa nera strada particolare.

Mi è piaciuto, ho trovato anche molto interessante le caratteristiche sociali che emergono della società giapponese, non solo quelle che fanno “colore” e piacciono a prescindere a noi europei, ma quelle tristi di piccola vita quotidiana che al contrario tolgono fascino all’universo Giappone perchè mostrano livelli di maschilismo e alienazione che forse non sempre riusciamo a cogliere qui in Occidente.

Non è un libro d’azione, pur essendoci un assassinio, molta violenza, e un delitto passato. E’ anche un romanzo molto lungo, quindi chi si spazientisce in fretta, valuti. Alle donne penso piacerà di più.

Lorenza Inquisition