Storia di un corpo – Daniel Pennac #DanielPennac #recensione

La nostra voce è la musica che fa il vento quando ci attraversa il corpo. (Be’, quando non esce da sotto.)

Spesso è difficile per un autore distaccarsi dai personaggi di una saga che ha avuto tanto successo e che è stata tanto amata ma qui Pennac ci è riuscito con risultati estremamente positivi.
Con uno stile più sobrio rispetto a quello utilizzato nella saga di Malaussene, ma sempre caratterizzato da un misto di delicata poesia e feroce ironia, l’autore riporta parte dei diari scritti lungo l’arco di una vita da un notabile della vita parigina, dalla pre-adolescenza, negli anni ’30, fino alla vecchiaia, negli anni ’10 del terzo millennio.


La cosa curiosa è che non si tratta di normali diari, l’autore di questi non era interessato a raccontare gli eventi e le emozioni provate durante le sue giornate. All’autore interessava analizzare le risposte del proprio corpo (ma occasionalmente anche degli altrui corpi) rispetto ai quotidiani stimoli che esso riceveva. Descrivere le reazioni del proprio corpo per poi descrivere la propria vita. Un diario che può essere il diario di chiunque con le goie, le paure, i dolori e la tristezza che suscita la malattia e la vecchiaia. Ovviamente, da questi racconti si viene a conoscere anche la storia di questo ragazzo, poi diventato adulto, sposato, i figli, i nipoti, gli amici, etc…

Pennac ci lascia in balìa di un racconto, di una storia, di un corpo che un giorno potrebbe essere il nostro, un poco di tristezza ma ci fornisce un efficace antidoto, che troviamo nelle ultime parole della più cara amica del protagonista, Fanché:
‘Non fare quella faccia, petardo, lo sai che prima o poi si finisce tutti nella maggioranza.” E anche: che senso dare ad una realtà che ha per tutti una data di scadenza?
La risposta è forse racchiusa nelle parole di tenerezza che il protagonista rivolge alla figlia, a cui il diario è affidato: “Oh! Mia Lison! La felicità senza alcun altro motivo che la felicità di esistere”.
Bello, consigliato a chi già apprezza Pennac ma anche a chi ancora non ha letto nulla di suo.

Massimo Arena

Palla di sego – Guy de Maupassant #recensione

Nel 1880 Émile Zola propone ai giovani scrittori del suo gruppo di scrivere un racconto sull’invasione prussiana a Parigi. Guy de Maupassant produce un capolavoro, un racconto che è una grande lezione di scrittura e un’attenta riflessione sulla miseria e sulla debolezza umana.

Palla di sego è il soprannome dato a una giovane e grassoccia prostituta che si trova a viaggiare da Rouen, occupata dai tedeschi, verso Le Havre.
Nella carrozza viaggiano con lei ricchi borghesi, aristocratici con mogli snob e due suore. Nonostante la disprezzino, durante il viaggio condividono con lei il ricco paniere di cibo che la ragazza si era portata. Costretti poi a fermarsi per il maltempo, sarà loro concesso di ripartire a condizione che Palla di sego conceda i suoi favori al capo guarnigione prussiano. La ragazza rifiuta sdegnata, animata da un vivo e reale spirito patriottico (l’unica nel gruppo, peraltro). Inizialmente appoggiata dai suoi compagni d’avventura, con il passare dei giorni, di fronte alla prospettiva di veder interrotto il loro tragitto, i viaggiatori rimproverano a Palla di sego di star nuocendo a tutti per un suo capriccio e tra varie insistenze e giocando con ricatti morali, la spingono a cedere.
Il racconto è una piccola perla senza tempo, che mette in risalto l’ipocrisia, il falso perbenismo e la pochezza di certe persone che per il fatto di ricoprire ruoli importanti si credono superiori a tutto e tutti. I confini tra il bene e il male ci vengono mostrati ipocriti e insensati; non è la posizione sociale, non è il privilegio di nascita a fare la persona di onore.

Raffaella Giatti