Per le antiche scale – Mario Tobino #MarioTobino #campiello

“A quel tempo la follia non era ovattata, dissimulata, intontita, mascherata, camuffata come oggi con gli psicofarmaci. La follia esplodeva uguale a un vulcano. Nei cameroni – nudi o malamente coperti da una camicia sdrucita – urlavano i matti, in parte legati con le cinghie ai braccioli del letto. Le risse tra loro frequenti, le aggressioni agli infermieri giornaliere. Le pareti squallide, color dell’osso morto; i tavoli inchiodati al pavimento; le finestre con le sbarre, le porte chiuse a tre mandate. Nel silenzio della notte arrivavano i lamenti, le sorde imprecazioni, i suoni di bestiale disperazione. Così dalla parte degli uomini, e ugualmente nelle divisione femminile; da questa in più gemeva la miseria del sesso. Tutto era carcere.”

Romanzo composto da venti racconti tutti raccontati dalla voce di Anselmo, dottore in psichiatria nel manicomio di Lucca, pubblicato nel 1972, vincitore del Premio Campiello.
Il periodo di riferimento delle vicende va dagli anni dell’anteguerra fascista agli albori della riforma Basaglia, l’età moderna, e gli accadimenti riportano i cambiamenti in ambito psichiatrico avvenuti in quegli anni. Anni in cui si scoprirono gli psicofarmaci, e in cui si sviluppò una corrente di pensiero che negava la malattia mentale e ne attribuiva le cause alla società sempre più consumistica e capitalista.
E, ironizza Tombino, lui che ha cercato di capire la causa della follia, illudendosi a volte di esserci riuscito, lui che aveva supposto che la malattia mentale non avesse nulla a che fare con il mondo affettivo che rimaneva intatto, ma era legato solo a quello della intelligenza razionale: “Oggi è di moda, un andazzo, specie presso i medici giovani, psichiatri innovatori, di sdrammatizzare la pazzia, dichiararla non pericolosa, affermare che non esiste: e non la vogliono riconoscere neppure quando tragicamente si presenta. E se delle volte la pazzia li colpisce proprio sul muso, che è impossibile dire di no, allora ripiegano sulla società, incolpano questa, che è malformata, la società la profonda causa delle malattie mentali.”
L’avvento degli psicofarmaci permise la nascita di una nuova logica, di una nuova filosofia nei confronti della malattia mentale e nella prassi di assistenza dei malati che, per la prima volta non erano solo accuditi e custoditi, ma anche curati e a volte anche guariti.
Definirei questo libro delicato. Delicato come solo la poesia sa essere.
Delicato nel cogliere quella diversa normalità che comunica in altro modo, il bisogno di amore di queste persone e la necessità di trovare un via per riconoscere a loro stessi un posto e un ruolo (ove era possibile) all’interno di quel microcosmo.
Il suo linguaggio è pietoso e al contempo spietato nel ricondurre alla pragmatica necessaria per custodire i malati.
Il suo linguaggio è musica, come quella che usano alcuni malati per comunicare.
Il suo linguaggio è purezza, come quella che cercano alcuni malati bruciandosi le mani.
Il suo linguaggio è immortale, come pensa di esserlo il “federale” che con un delirio di negazione dice che il mondo non esiste ed è vuoto, e quindi lui è eterno.
Ed è immortale perché parla con il linguaggio del cuore.

«Bongi era un marinaio, la follia non era riuscita a stringerlo nei ceppi; la sua mente aveva continuato a navigare, a conversare con le stelle e coi venti»

Egle Spanò

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Le libere donne di Magliano – Mario Tobino #MarioTobino #recensione

Uno degli scritti migliori di Tobino, assieme a “Sulla spiaggia e al di là del molo”. Emerge, in questo toccante ricordo della lunga e variegata esperienza di psichiatra nei manicomi italiani, una profonda sensibilità per la condizione umana, anche per coloro che sembrano essersi molto allontanati da ciò che ordinariamente chiamiamo ‘normalità’. Le donne narrate da Tobino resteranno per sempre impresse nel cuore del lettore, come a monito ad una ‘pietas’ necessaria e ineludibile verso la diversità.


Questo libro è il racconto terribile e struggente delle pazienti del manicomio di Maggiano, scaturito dalla rielaborazione delle cartelle cliniche compilate dall’autore stesso, scrittore, poeta e di professione psichiatra.
Pubblicato nel 1953, il romanzo ha un potente effetto di denuncia delle condizioni in cui erano tenuti i malati psichiatrici. L’autore stesso dice di averlo scritto per ottenere che i malati fossero trattati meglio, meglio nutriti, e in generale si avesse maggiore sollecitudine per il tipo di vita che vivevano. Tobino era profondamente convinto, in un mondo in cui gli psicofarmaci ancora non erano diffusi, che non fosse sufficiente allontanare i folli dalla società, e che fosse necessario veder loro riconosciuta umana dignità, e offerto uno strumento terapeutico che comprendesse il loro mondo e li aiutasse a vivere meglio. Introdusse lui stesso, proprio in quell’ospedale i primi esperimenti di socioterapia .
“ Dei giorni mi è sembrato di aver raggiunto quello che tante volte avevo acutamente desiderato, parlare coi malati, riprenderli, riagganciarli, portarli alla nostra verità, alla libertà nell’ordine, tra i dolci esseri umani”.

Ogni paziente viene raccontato con un ‘osservazione , curiosa e sempre priva di giudizio, come se ci fosse in loro qualcosa che il mondo aveva perso di vista. Una libertà che non seguiva solo regole istintuali, ma anche morali , anche se non riconosciute dal mondo civile e che riconduce ad una pietas che accumuna tutti gli esseri umani.
Ogni storia raccontata ha l’intensità di un romanzo che svela l’ipocrisia dei sani (suore e infermiere) che lavorano presso l’istituto, e l’autenticità di quelle “libere donne”.
Colpisce come i comportamenti misurati e controllati di chi lavora nell’istituto siano spesso infranti da atti ignobili che diventano tali soprattutto in quanto nascosti. E che gli stessi atti, compiuti poi dalle pazienti, siano simili nella sostanza a quelli dei sani, diversi solo nella loro “libera”  espressione.
E in questa similitudine di comportamenti, Tobino ci mostra la chiave per poter dialogare con loro, ci mostra la necessità di farlo, per restituire loro rispetto e fiducia.
Consiglio la lettura perché troverete le storie di persone che non dimenticherete in fretta; la Cora, malinconica e bellissima e che ha paura di tutto; la Berlucchi che sente il dolore in maniera smisurata e finisce per piantarsi un ferro nel cuore, per non sentirlo più; la Maresca che si abbandona completamente al suo desiderio sessuale.
E tante altre ancora.
Tutte vite che vi condurranno alla consapevolezza dell’estrema fragilità della nostra esistenza. E, quindi, a riconsiderare la propria normalità.

Egle Spanò