Memorie di una geisha – Arthur Golden #arthur golden #geisha

*Un libro con un mestiere nel titolo

“Solo dopo aver indugiato a lungo in quello stato di euforia, riuscii finalmente a guardarmi indietro e a riconoscere quanto fosse stata desolata un tempo la mia esistenza. Non credo che nessuno di noi possa parlare del dolore finché non ne è fuori. Sono sicura che in caso contrario non avrei mai raccontato la mia storia.”

Sontuoso quadro d’epoca giapponese a cavallo della seconda guerra mondiale, Memorie di una geisha è un libro famosissimo che racconta piacevolmente e in modo armonico la storia e la vera natura delle geishe giapponesi, dipinte e narrate come “opere d’arte in movimento”.

La geisha è un’artista del mondo che fluttua: canta, danza, vi intrattiene; tutto quello che volete. Il resto è ombra. Il resto è silenzio.
So quanto sia stato contraddittorio e provocatorio questo romanzo e le storie che la stampa ha romanzato dietro gli alterchi legali dell’autore nei confronti della donna che ha ispirato le vicende qui narrate. Devo dire che in questo caso hanno poca importanza questi rumori di fondo, perché alla fine quello che conta è l’incantevole storia che viene narrata. La voce di Chiyo accompagna i miei pensieri lungo tutto il racconto, calma e paziente come l’acqua che scorre. L’intreccio è fluido e in parte è merito della maestria di Golden e in parte della strabiliante storia con cui Chiyo si presenta ed evolve nel corso della narrazione, che ha una
straordinaria forza espressiva. Golden ha la capacità incredibile di evocare un mondo che è per la maggioranza di noi occidentali sconosciuto, incredibilmente affascinante nel suo mistero, entro il quale figure leggendarie e fuori del tempo come le Geishe si muovono leggiadre, i volti pallidi e l’andatura sensuale, custodi di una civiltà millenaria.
È proprio un buon romanzo per la sua qualità principale: quando narra la sua storia, Chiyo viene a fare letteralmente compagnia al lettore, intrattiene e tiene sospesi pagina dopo pagina, come sempre svolgendo il suo compito di geisha, cantando, danzando e raccontando il mondo.

“Il rimpianto è un tipo di dolore molto particolare; di fronte a esso siamo impotenti. E’ come una finestra che si apra di sua iniziativa: la stanza diventa gelida e noi non possiamo fare altro che rabbrividire.
Ma ogni volta si apre sempre un po’ meno, finché non arriva il giorno in cui ci chiediamo che fine abbia fatto”.

Un romanzo che resta sotto la pelle.

Stefano Lilliu

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La svastica sul sole – Philip K. Dick #PhilipKDick #themaninthehighcastle #LetturadiGruppo

Maurizio Nati (Traduttore),
Fanucci Narrativa
Le forze dell’Asse hanno vinto la seconda guerra mondiale e l’America è divisa in due parti, l’una asservita al Reich, l’altra ai Giapponesi. Sul resto del mondo incombe una realtà da incubo: il credo della superiorità razziale ariana è dilagato a tal punto da togliere ogni volontà o possibilità di riscatto. L’Africa è ridotta a un deserto, vittima di una soluzione radicale di sterminio, mentre in Europa l’Italia ha preso le briciole e i Nazisti dalle loro rampe di lancio si preparano a inviare razzi su Marte e bombe atomiche sul Giappone. Sulla costa occidentale degli Stati Uniti i Giapponesi sono ossessionati dagli oggetti del folklore e della cultura americana, mentre gli sconfitti sono protagonisti di piccoli e grandi eventi. E l’intera situazione è orchestrata da due libri: il millenario I Ching, l’oracolo della saggezza cinese, e il best-seller del momento, vietato in tutti i paesi del Reich, un testo secondo il quale l’Asse sarebbe stato sconfitto dagli Alleati.

Anche in un mondo capovolto è difficile accettare l’idea di un’America sconfitta. Così per molti patrioti nella Svastica sul sole l’unico rifugio diventa la lettura del libro semiclandestino La cavalletta non si alzerà più, che racconta una storia diversa nella quale gli Alleati trionfano sui loro nemici. Alla fine ci si trova in un gioco di specchi. Il mondo immaginario descritto ne La cavalletta è quello reale. Germania e Giappone hanno perso la guerra.

Una conclusione rassicurante per i lettori? Tutt’altro. La storia che hanno studiato a scuola non è quella raccontata da La cavalletta, e i fatti sono ben diversi, a parte la vittoria degli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale. Agli uomini del suo tempo Dick sembra dunque voler inviare un messaggio chiaro. Non esiste una meccanica causalità degli eventi ed è pericoloso bearsi in un’illusoria sicurezza. Come negli anni Quaranta erano tanti gli scenari possibili, anche nel 1962 non si deve dare per scontato un futuro radioso per gli Stati Uniti.

Dalla postfazione.

Comincio con un commento copincollato, tanto per approcciare trasversalmente l’argomento. La svastica sul sole descrive una società dove il Terzo Reich controlla ogni azione e nega ogni diritto che minacci l’ordine e lo Stato; fa da contraltare l’imperialismo nipponico, in apparenza meno brutale ma capace di condizionare sottilmente le vite degli americani sconfitti. Tale modo differente di gestire i territori sotto il proprio controllo, richiama la differenza di controllo dei sovietici (paragonati al Terzo Reich) e degli USA (paragonati all’Impero del Giappone) che si dividevano il mondo all’epoca dell’uscita del romanzo.

Il romanzo si distingue, però, soprattutto per la sua costruzione. Uno dei personaggi del romanzo, lo scrittore Hawthorne Abendsen, è famoso per aver scritto e pubblicato un’opera fantapolitica (nel suo mondo), in cui Hitler ha perso la guerra: La cavalletta non si alzerà più (The Grasshopper Lies Heavy). Si tratta di un “libro nel libro” (un metalibro, o pseudobiblium) che risulta speculare a quello di Dick.

La finzione letteraria ricorre quindi a un narratore interno per mettere in contrapposizione due universi paralleli che si escludono e, tuttavia, si sognano e temono l’un l’altro. È altresì importante il sottotesto del Libro dei Mutamenti, il libro cinese degli oracoli, usato da vari personaggi del romanzo, e -si dice- dallo stesso Dick nella stesura del suo romanzo.

Lorenza Inquisition

Credo sia la prima volta che arrivo puntuale ad un appuntamento con la lettura di gruppo ma per non deludere nessuno comunque non ho pronta una recensione degna di tale nome, quindi vi offro un po’ di pensierini sparsi.

La svastica sul Sole a mio avviso non è tra i libri più risusciti di Dick, le vicende di numerosi personaggi si svolgono e si intrecciano in modo interessante ma manca un finale: cosa succede ad Abendsen? E a Juliana? In realtà, in un’appendice del romanzo (edizione Editrice Nord, 1994), Dick spiega in un’intervista che sta lavorando a un seguito de La svastica sul Sole chiamato “Valisystem”; il romanzo non vedrà mai la luce, quantomeno come seguito, la trilogia di Valis diventerà invece un trattato teologico definito dallo stesso Dick la sua esegesi.

Mi ha colpito molto l’opinione -fittizia, spero!- di Dick sulle differenti nazionalità: i giapponesi sono decisamente le persone migliori del libro, formali alla morte ma corrette e precise; i nativi americani (curioso e crudele termine, non può che richiamare alla mente i nativi veri sterminati e rinchiusi nelle riserve) sono personaggi mediamente ininfluenti, adattati a contare poco, inutili. Unica eccezione Abendsen, scrittore visionario della ucronia^2, figura mitologica che crolla alla fine del romanzo quando si scopre la sua vita da americano medio pre-conflitto e “l’inganno” del libro scritto con l’I Ching.
I nazisti nel libro “hanno fatto anche cose buone”: i crimini terribili sono solo un dettaglio di poco conto rispetto all’efficienza teutonica. Sono considerati comunque migliori degli americani. Un esempio lampante di storia narrata dai vincitori.

Il libro è molto poco fantascientifico: al netto dell’ucronia alla base di tutto e di un paio di razzi intercontinentali è soprattutto un’analisi sociologia. Mi ricorda molto gli orribili romanzi giovanili “Il paradiso maoista” per quanto riguarda il disagio causato dall’occupazione giapponese e “Voci dalla strada” per quanto riguarda la frustrazione causata dal mancato successo nella vita degli americani.

Diego Zetti

“Non riesco a risolvere questo dilemma, si disse il signor Tagomi. Che l’uomo debba agire in una simile ambiguità morale. Non c’è Via in tutto ciò; è tutto sottosopra. Tutto il caos della luce e delle tenebre, dell’ombra e della sostanza.”

Lungi da scrivere una recensione (giammai!), volevo dire che ho amato il signor Tagomi, lui con la sua Colt 44 dietro alla scrivania in attesa, lui che chiede “per favore” al gioiello di Frink di rivelargli quello che deve.
Mi è piaciuta tantissimo l’idea del libro nel libro, anzi, del doppio libro nel libro; a volte ho come avuto l’impressione che lo stesso Dick usasse l’I Ching per scrivere, una sorta di guida interna ed esterna, ma forse sono io che esagero.
Belle le descrizioni dei personaggi, le vite che si sfiorano e si sovrappongono, spesso senza che nessuno se ne accorga (nemmeno io!), quel continuo gioco di specchi che permette di mostrare agli americani quello che essi stessi hanno imposto al resto del mondo.
Un po’ meno bene per quanto riguarda certi punti del testo che ho trovato troppo rigidi o troppo ingarbugliati per riuscire a capire al 100%. Ammetto che ho seri problemi con i nomi di persona, quindi parte della confusione è imputabile anche a questo.
Direi bene, molto bene, ma non benissimo. Non benissimo come di solito è per me Dick ma forse, se lo leggessi altre due volte, cambierei idea.

Martina V.

La mia lettura si sta mescolando al ricordo di un altro libro, di un’altra storia, che poco ha a che fare con la fantascienza. È la storia del SudAfrica, della deportazione di migliaia di cittadini neri, di un esproprio cruento di terre e diritti, della pianificazione meticolosa di una politica segregazionista che ha visto gli interessi economici dei boeri intrecciarsi con l’ideologia nazista e le follie del Reich. Mentre leggo le geniali sliding doors di Dick, penso quindi che le sue trovate da romanziere possano essere poco fantascientifiche e molto plausibili. Avete commentato, recensito e detto meglio di me. Vi propongo solo alcuni spunti di riflessione.

1) Il genocidio del popolo africano nella visione ucronica di Dick in realtà è stato sperimentato dal partito nazionalista boero dagli anni ’30 in Sudafrica, ai danni delle migliaia di neri vittime di segregazione e deportazione. Ben lontano dalla fantascienza, il Reich ha continuato a fare proseliti tra gli afrikaner grazie al sostegno e alla benedizione della Chiesa olandese riformata (il motto della campagna elettorale del Puriefed National Party, che vinse le elezioni nel 48, è die kaffer op sy plek, il nero al suo posto. Vi ricorda qualcosa? ). L’ apartheid arriverà subito dopo.

2)A proposito del metalibro: mi sembra che Dick strizzi l’occhio al lettore più volte e non solo con i richiami continui al libro La cavalletta più non si alzerà. Il tema stesso della ricerca di oggetti d’ arte etnica americana tradizionale secondo me ne è una prova, o meglio il rincorrersi continuo di falsi, copie quasi perfette e oggetti autentici. Il libro come la Colt, un falso storico, ucronico o distopico, così ben confezionato da sembrar autentico (“…La parola falso non significava niente, in realtà, poiché non significava niente la parola autentico”, p 62).

3) il gusto e la passione per l’esoterismo tipico del Reich non vengono mai citati, sono sostituiti da questa bizzarra ricerca di oggetti autentici di arte e tradizione americana. C’è forse un nesso con questa smania di consultare i Ching (peraltro tradizione rubata ai Cinesi, quindi altro falso!!!) ? Di sicuro la consultazione dei Ching mi ha talmente annoiata da costringermi a perdermi nelle riflessioni precedenti.

4) L’ avesse scritto oggi, Frank Frink sarebbe stato licenziato da un’agenzia di fake news, di quelle che pubblicano bufale a uso e consumo di cinque stelle e leghisti.

P.s. Ho preso in prestito una copia piena zeppa di sottolineature, note a margine, punti interrogativi…tutto rigorosamente a matita. Più che fastidioso…Estremamente inquietante.

Benedetta Brandi

Non ho letto prefazioni, recensioni, commenti vari, note introduttive, critiche. Non mi sono preparata. L’ho iniziato e basta. Mi ci sono buttata a pesce. Ho avuto fin da subito la sensazione di una complessità che ha del metodo e di quel metodo ho amato le ellissi e i nodi umani. Il libro dei mutamenti mi ha sempre affascinata e ritrovarlo nella storia, della storia, è stimolante. Così come l’idea del libro nel libro, una cosa che già in Wallace mi ha tenuta per il bavero per benino.
Trovo alcune riflessioni di un’attualità sconcertante. Oltre cinquant’anni e non invecchiare per niente è una prerogativa di certa letteratura, quella che poi ti fa sentire che qualcosa non tornerà mai, inutile girarci attorno. Non abbiamo voglia di imparare dalla nostra storia, è un fatto. E rimescolare le carte è un gioco che il potere gioca con una lucidità che puzza, inutile provare a credere al contrario.
Lo finirò stasera. Mi sta piacendo molto e da molti punti di vista. Così, avevo voglia di dirvelo.
Baci&Abbracci

Rob Pulce Molteni

Noi non abbiamo il mondo ideale, come vorremmo che fosse, dove la moralità è semplice perché semplice è la conoscenza. Dove ognuno può fare ciò che è giusto senza sforzo perché riconosce l’evidenza.

Quando tempo fa ho scritto che lo stavo leggendo, qualcuno mi ha chiesto come avevo interpretato l’episodio dell’orologio con Topolino a cui, all’inizio, non avevo dato molto peso. Esso è quanto poco rimane della cultura intrinsecamente americana, una cultura giovane, che non ha prodotto oggetti di artigianato originali, di grande valore storico e artistico. Ed è il simbolo di quella cultura popolare e di massa che avrebbe potuto conquistare il mondo se la Storia fosse andata diversamente. Se.

Arianna Pacini

Chiudo con una frase di uno deproduttori esecutivi della serie TV Amazon, The man in the High Castle:

There are strains of intolerance, hatred and racism that have actually been particularly loud the past few years,” says Spotnitz. “It’s my belief that what attracts people to fascism and totalitarianism is universal – it could happen to any country, any people, any time. I want people to look at the show and think: are we intrinsically different or would we be seduced by the same things? And if they say no, that’s fine, too. I don’t have the answers. But it’s a timely question.”