Treno di notte per Lisbona – Pascal Mercier #recensione

« Non vorrei vivere in un mondo senza cattedrali. Ho bisogno dello splendore delle loro vetrate, della loro fresca quiete, del loro imperioso silenzio. Ho bisogno del diluvio di suoni dell’organo e della sacra devozione degli esseri umani. Ho bisogno della sacralità delle parole, della sublimità della grande poesia. Ho bisogno di tutto questo. Ma ho bisogno parimenti della libertà e dell’avversione nei confronti di ogni forma di crudeltà. Perché l’una è niente senza l’altra. E nessuno si sogni di costringermi a scegliere. »

Qualsiasi cosa io possa scrivere a proposito di questo libro non riuscirà a rendergli merito. Del resto, come dice l’autore: “Delle mille esperienze che facciamo, riusciamo a tradurne in parole al massimo una e anche questa solo per caso e senza l’accuratezza che meriterebbe. Fra tutte le esperienze mute si celano quelle che, a nostra insaputa, conferiscono alla nostra vita la sua forma, il suo colore e la sua melodia”.
Insieme a “Voci del verbo andare“, questo Treno di notte per Lisbona è il libro più bello letto quest’anno.
Non ci si deve far ingannare dalla quarta di copertina e dalle prime pagine che portano ad aspettarsi una storia d’amore del genere “alla ricerca della bella sconosciuta”.
È tutt’altro. È pura, lenta, avvolgente poesia.
“Al mondo esistevano solo tre cose, diceva sempre: brama, piacere e sensazione di essere al sicuro. E tutte erano caduche. La più fuggevole di tutte era la brama, poi veniva il piacere e a anche la sensazione di essere al sicuro, di essere al riparo confidando in qualcuno, prima o poi era destinata a infrangersi. Le prove cui ci sottopone la vita, tutte le cose con le quali dobbiamo fare i conti erano, a suo dire, troppo numerose e potenti perché i nostri sentimenti ne potessero uscire indenni. Per questo la lealtà era preziosa. Non era, così pensava, un sentimento ma un atto di volontà, una decisione, una presa di posizione dell’anima. Qualcosa che trasformava la casualità degli incontri e la casualità dei sentimenti in necessità. Un soffio di eternità, diceva, solo un soffio, ma pur sempre un soffio di eternità”.

Consiglio la lettura di questo libro a chi ama riflettere sulla vita reale e sulle vite possibili, una lettura lenta e profonda, un bellissimo racconto nel racconto.

Anna LittleMax

Fabio Deotto – Condominio R39 @nellogiovane69 #recensione

Non mi aspettavo di imbattermi in una crime story, colpa mia che mi ero informato male. Ma alla fine questo è: c’è un delitto, c’è un commissario, ci sono dei colpevoli e dei moventi da scoprire. Va anche sottolineato, però, un aspetto interessante: fin quasi all’ultimo non si capisce cosa (cazzo) è successo. Ci si avvicina al cuore del macello dal passato e dal futuro, attraverso un metodico accumulo di capitoli brevi che frammentano il punto di vista seguendo le vittime nelle ore precedenti il misfatto e il commissario Pallino (un nome che dissacra la tipica figura da poliziotto noir dissestato, disagiato, tormentato ecc) nelle ore successive, fino a circoscrivere lentamente e inesorabilmente gli eventi e la loro interpretazione. Funziona? Sì, funziona. Il condominio alla fine è uno specchio nero e distorto dello stato delle cose, un luogo di quotidiana maledizione, disperazione e dissipazione, viziato all’origine – come si scoprirà – da un battesimo famigerato (e cialtrone).
L’unico dubbio, di fronte a romanzi del genere, è che abbiano dovuto indossare la forma del “giallo” per rendersi potabile, e che quindi siano costretti a consumare cliché come zuccherino per farti ingoiare il fiele di intuizioni poco accomodanti. Intuizioni che Deotto – biotecnologo nonché giornalista, qui al suo romanzo d’esordio – non risparmia certo al lettore. A costo di eccedere, come nello spiegone un po’ pedante del professore paraplegico nel finale.
Nel complesso è una lettura piacevole, anche molto piacevole, a tratti dura, capace di allestire stati di tensione credibili e intriganti.

Stefano Solventi