Strane creature – Tracy Chevalier #recensione #TracyChevalier

 

Strane creature – Tracy Chevalier

Traduttore: M. Ortelio

Editore: Neri Pozza

Collana: I narratori delle tavole

Strane creature è un romanzo storico incentrato sulla figura di due donne britanniche realmente esistite, Mary Anning, antesignana della ricerca paleontologica, scopritrice dei primi scheletri completi di plesiosauro ed ittiosauro, e autrice di molti importanti ritrovamenti nel campo dei fossili marini dell’epoca giurassica, ed Elizabeth Philpot, anch’essa collezionista e ricercatrice di fossili. Le due signore, pur provenienti da diversi ambienti sociali e fortune (la Anning era di famiglia povera, non istruita e ricercava i fossili sostanzialmente per rivenderli ai collezionisti e guadagnarci, la Philpot era una signora di pochi mezzi ma di classe sociale elevata e persona molto colta), divennero col tempo amiche, stabilendo un sodalizio di studio della paleontologia che durò per tutte le loro vite. Vivevano nella stessa cittadina del Dorset, Lyme Regis, famosissima per i ritrovamenti fossili, commercialmente nota come la Costa Giurassica dell’Inghilterra per l’importanza geologica e paleontologica dei reperti. Le due amiche condussero un’esistenza reclusa, interessante da un punto di vista didattico ma povero di altre soddisfazioni: erano entrambe poco avvenenti e senza dote, non si sposarono mai, ed ebbero pochissimi riconoscimenti professionali: per la posizione delle donne all’epoca, non era loro concessa ammissione ad alcun circolo o associazione scientifica, nè potevano pubblicare i loro scritti su riviste del settore.

Tracy Chevalier decide di raccontarne le vite romanzando un poco le vicende, aggiungendo un amoreggiamento qui e una gelosia là, sostanzialmente cercando di ravvivare sulla carta quella che nella realtà è stata, a quanto pare, una serie ininterrotta di giornate in spiaggia a scavare nella fanghiglia tra il puzzo delle alghe morte, e lo scrostare giorno dopo giorno dopo giorno la salsedine dai reperti e dalle proprie unghie e vesti. Lo dice lei stessa nella postfazione, Mary Anning passò tutta la vita ora dopo ora, anno dopo anno, a fare sempre le stesse cose, negli stessi posti, e a volte quello che ci aspettiamo da una storia non è proprio quello che è successo nella realtà; e per carità. Ma se già lo sai che la storia sarà noiosa, devi proprio essere bravabrava a scriverla, cara la mia autorra. Soprattutto, devi un poco deciderti, o scrivi un romanzo, o una biografia. Qui secondo me manca un po’ tutto, personaggi piatti e descritti male, osservazioni scientifiche lasciate da parte per superficiali voli di trama, avvicendamento della storia inesistente. La scrittura soprattutto, secondo me, poco felice: le due protagoniste vengono fatte parlare a turno, alternandosi nei capitoli; ma la Chevalier non è così brava da differenziarne le voci in modo sostanziale, anzi spesso a metà capitolo dovevo concentrarmi per capire chi stesse parlando. Ammetto che possa essere un problema di traduzione, forse la sfumatura dialettale della Anning in lingua originale risalta meglio; ma il libro era in offerta in italiano e mi lamento di ciò che ho trovato.

La storia, comunque, mi è molto piaciuta: innanzitutto per le due figure protagoniste, giovani donne, anticonformiste e un po’ bizzarre, che con pochi mezzi e in fondo limitata cultura si impongono all’attenzione dell’universo scientifico maschile (aiutando anche alcuni eccellenti professori a costruire le loro carriere); e il racconto di una amicizia non sempre facile, nata e cresciuta tra qualche diffidenza e un po’ di gelosia e invidia, spesso condita da quella punta di acidità tipica delle zitelle che si rammaricano di essere tali, però fiorita in momenti di grande lealtà e sostegno, e in ogni caso utile, in un piccolo ma significativo ruolo, allo sviluppo della scienza moderna. E poi questo libro ha il pregio di portare alla luce un momento molto interessante e per nulla scontato dell’Ottocento, lo studio della generazione che precedette Darwin, che ancora doveva fare il suo viaggio e trarne le conclusioni sulla teoria dell’evoluzione. Il pensiero scientifico predominante era ancora il creazionismo; eppure persone che lavoravano e studiavano i fossili quotidianamente, in modo umile e senza troppe pretese intellettuali come le due amiche, cominciavano a questionare seriamente il senso di basare tutta la teoria scientifica delle loro scoperte sulla Bibbia. Non trovavano ancora risposte, nè potevano parlarne apertamente, pena l’essere bannate come dissidenti senza Dio; ma si ponevano domande, si allontanavano dalle prediche dei curati, sviluppavano un pensiero alternativo.

Questa è la vera parte interessante del libro, le riflessioni teologiche verso quelle scientifiche, lo studio attraverso gli anni di quelle strane creature le cui ossa apparivano sulle spiagge e che non trovavano senso nel mondo naturale, e le inevitabili conclusioni cui il rigore mentale degli studiosi di geologia e biologia alla fine arrivarono, dando il via al moderno pensiero scientifico.

Onestamente non so se consigliarlo; per lo stile, è senz’altro un due stelle. Per il tentativo di romanzare la vita di due scienziate ritagliando loro male addosso un certo pensiero austeniano, pure due. Ma la storia vera delle due protagoniste è rimarchevole, e lo stesso i loro studi e il loro lascito. Se lo trovate in offerta, e vi interessano i fossili e la teoria dell’evoluzione, forse potete buttarvi, è comunque una lettura poco impegnativa. Se no, forse vi conviene leggere Darwin. Io farò così, tanto per non sbagliare più.

 

Lorenza Inquisition