Pino Cacucci, Puerto Escondido

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A 25 anni dalla sua prima uscita la Feltrinelli ha ristampato il libro più conosciuto di Pino Cacucci, reso famoso anche dalla trasposizione cinematografica di Gabriele Salvatores. Persa nel mio abisso di ignoranza non avevo mai letto il libro né visto il film, malgrado il suo clamoroso successo. Come mai? Non so, ero distratta. Eppure ho visto tutti i film di Salvatores che parlano di fuga, che strano…
Vabbè, tutto questo per dire che mi ero fatta una certa idea della storia e invece questo libro mi ha letteralmente spiazzata. Mi aspettavo il tema ampiamento sviscerato del “giovane che non riesce a trovare la propria strada e che lascia una realtà che lo incatena per fuggire alla ricerca di sé, verso ampi spazi e l’immancabile baracchino sullo spiaggia dove sorseggiare cocktail guardando il tramonto e godendo il vero ritmo, lento, della vita”.
Brutta cosa i luoghi comuni, vero?
Niente del genere, qui siamo di fronte ad un vero e proprio libro d’azione dove succede qualsiasi cosa.
Il libro è diviso in tre parti e ci racconta la storia di un giovane italiano, del quale non viene mai fatto il nome, che vive a Bologna e che lavora all’ippodromo della città . Non è un personaggio particolarmente positivo: non cerca i guai ma ci si ritrova sempre in mezzo. Forse per quella sua tendenza non tanto ad infrangere la legge quanto a chiudere un occhio e girarsi dall’altra parte quando la legge la infrange qualcun altro (“Figliolo, i reati sono reati quando c’è convenienza a scoprirli”).
La prima parte si svolge in Italia e, secondo me, è la parte più debole del libro, abbastanza inverosimile Man mano che procedevo nella lettura, aspettando inutilmente di vedere le calde spiagge messicane, avevo sempre più l’impressione di essere finita dentro un episodio di Miami Vice e stavo giusto pensando che mancava solo la scena di sesso con una bella e misteriosa avventuriera quando….voilà! è arrivata anche quella.
In queste pagine incontriamo il commissario Schiassi, folle poliziotto fuori di testa che con la sua personalità sospesa tra la crudeltà e la tenerezza, darà l’avvio alle intricate vicissitudini del protagonista.

Nella seconda parte la vicenda si sposta a Barcellona, e qui il ritmo comincia a farsi più serrato, più avvincente, con un sottobosco di personaggi secondari ben delineati tra il bohemien e lo strafatto e baristi che risolvono le risse a colpi di machete.

Infine, nella terza parte, eccoci finalmente in Messico ed è qui che la scrittura di Cacucci dà il meglio di sé. Cacucci ama molto questa parte di mondo (lo racconta molto bene nella prefazione, in poche righe). Il Messico che ci viene descritto è sporco, soffocante, violento, spietato. E’ un mondo dove ci si arrangia, si combatte, si tenta di sopravvivere e di prevaricare. I narcotrafficanti combattono per il controllo della droga a colpi di Kalashnicov, la polizia è corrotta e violenta, spesso in modo del tutto gratuito. La comunità di Puerto Escondido è fatta di personaggi curiosi, bizzarri, tutti oltre il limite della legalità di parecchi metri. Per tutti loro Cacucci ha un occhio di riguardo, ne disegna i tratti più violenti e grotteschi ma anche gli aspetti più consistenti di solidarietà e di rispetto. I mercenari sparano al soldo di chi paga di più ma non esitano a mettersi in gioco per salvare un estraneo dalle grinfie mortali della polizia, disgraziati senza un soldo vivacchiano con il traffico di pochi grammi di droga, ma rifiutano i soldi facili del Capo della polizia, folle tutore dell’ordine con manie dittatoriali, i fuggitivi si nascondono e si proteggono a vicenda e le loro donne sanno sempre quando è il momento di un pasto sostanzioso o di una ricca canna. Gli italiani sono numerosissimi, inseriti e accolti in questo vivace tessuto sociale perché “voi italiani sembrate tutti dei rincoglioniti, fate finta di non capire mai niente e alla fine risulta che a restare fregati sono sempre gli altri”.
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Non è per niente tenero con gli italiani, Cacucci. Del resto il libro è stato scritto quando il suo “sentimento di repulsione verso l’Italia” era nella fase più acuta, lo dice lui stesso nella prefazione.

Malgrado non sia stato quello che mi aspettavo di trovare, e malgrado la poco verosimiglianza di alcuni passaggi, Puerto Escondido mi è piaciuto. Si legge in fretta perché ha un ritmo travolgente che ti cattura e ti spinge ad andare avanti. Alcuni dei personaggi sono quadri dai colori forti e brillanti: Elio che per certi aspetti ricorda i personaggi di Kerouac, Phil, ragazzina fragile dietro una spessa tenda di strafottenza e di droga, il commissario Schiassi, piovuto da chissà quale pianeta.
Tra dosi folli di alcol e droghe, il protagonista trova nella comunità di Puerto Escondido il suo ambiente ideale, che gli permette di superare quel limite nel quale non ha mai creduto, quel filo sottile tra legalità e illegalità. Anche questa è una ricerca di sé che non conduce ad un punto fermo ma si lascia trasportare dagli eventi, verosimili o meno che siano.
Perché, come dice Bono nel finale, I still haven’t found what I’m looking for..

Anna LittleMax Massimino

Nicolai Lilin, Educazione siberiana

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Mentre leggevo questo libro mi comparivano sulla testa enormi fumetti: Gulp, Gasp, Argh (punti esclamativi a piacere ) fino a un più strutturato Ma che davvero??
Insomma, è vero quello che sto leggendo o siamo di fronte ad un altro bluff stile Shantaram? Questo strano personaggio che si chiama Nicolai Lilin, osannato da persone come Roberto Saviano e Gabriele Salvatores (che dal libro ha tratto un film: ultimamente tutti i libri che leggo scopro che sono diventati film di Salvatores) è un brillante giovane scrittore con alle spalle l’Apocalisse o è un brillante giovane scrittore con alle spalle un’adolescenza difficile condita da una fantasia senza limiti?
Una rapida ricerca su internet mi fa dire che probabilmente la verità sta nel mezzo, con una marcata inclinazione verso la seconda opzione.

No no, non mi sono spiegata bene. Sapere se una storia sia vera o falsa non influisce minimamente su quanto mi piacerà quello che leggo. Io SO che esiste Babbo Natale, figuriamoci se metto in dubbio tutti gli altri Emoticon smile Harry Potter è reale come Don Camillo. Di Shantaram avevo preso per buona ogni parola, senza nemmeno sognarmi che potesse essere vero o falso quello che leggevo. Era divertente, tanto bastava. Sapere che è in parte invenzione non ha cambiato di una virgola il mio giudizio (tra l’altro, esce il seguito e lo sto aspettando). Anche mentre leggevo Educazione siberiana è stato lo stesso. Quello che leggevo per me era reale, perchè ero in grado di immaginarlo. Il resto è curiosità, cioè capire un mondo del genere esista davvero o no. Non mi piace meno perchè non esiste o è un po’ diverso rispetto a come viene presentato. Nel commento l’ho rimarcato più che altro per completezza di informazioni: il libro viene presentato come autobiografia ma si porta dietro, ho scoperto, un lungo strascico di polemica. Anche questo ne fa un libro interessante. Ma lo era già, anche prima di saperlo. Però si, quando leggo un’autobiografia, mi incuriosisce approndire se quello che leggo è reale o inventato

Lasciamo un momento da parte le polemiche sulla veridicità e veniamo alla sostanza del contenuto.

Il libro racconta l’infanzia e l’adolescenza di Nicolai, nato e cresciuto in una comunità criminale che vive (forse) in una zona della Siberia chiamata Transnistria. La comunità ha antiche origini criminali e regole ferree e precise. I suoi componenti sono “criminali onesti” il che significa che ogni atto illegale compiuto deve essere finalizzato al bene della comunità e non al vantaggio del singolo. Gli anziani hanno il potere di decisione e giudizio, la Polizia è il Male assoluto, i deboli sono sempre protetti, chiunque abbia un qualche forma di handicap è considerato un Angelo del Signore e quindi protetto più degli altri (si fermano le guerre e gli scontri tra bande di altre etnie quando si devono trovare i colpevoli della violenza verso una ragazza autistica). I bambini hanno un ruolo attivo fin dai primi anni di vita diventando messaggeri e vedette e ai minorenni viene lasciata una grande autonomia nel gestire contrasti e scontri. Si impara molto presto ad usare coltelli e pistole, le risse, gli scontri e i ricami di cicatrici sul corpo sono quasi quotidiani.
La comunità diventa famiglia che protegge, si prende cura, dà forza. Le condanne sono immediate e definitive. Potrebbe far pensare che si tratti di Mafia ma non lo è. E’ molto più semplice.
Il rispetto verso gli anziani, verso le Madri e verso i criminali di lunga esperienza non viene mai messo in discussione e si esplicita attraverso un rigido codice di comportamento e di linguaggio. (“I criminali dignitosi si presentano, si salutano e si augurano ogni bene anche prima di ammazzarsi”).
I tatuaggi hanno un ruolo fondamentale nella vita dei criminali. Il corpo è una sorta di diario di vita e di biglietto da visita: i tatuaggi sono un codice che identifica l’appartenenza ai vari gruppi, le esperienze fatte, l’onore e il rispetto meritato. La persona che sa fare bene i tatuaggi (e Nicolai è una di queste) diventa una figura rispettata e stimata. Il denaro è considerato un oggetto sporco ma necessario e viene trattato con disprezzo. Gli unici oggetti tenuti con cura fino alla venerazione sono le icone sante e le armi.

E’ una storia di formazione, un libro davvero particolare. È violento, non potrebbe essere altrimenti visto il contesto. Ammetto di aver saltato la decina di pagine che raccontano i mesi che Nicolai ha trascorso in carcere per evitare che la crudezza di certe immagini si stampasse in testa e non andasse più via.
Un libro nel quale i valori sono ribaltati, giusto e sbagliato sono visti da una prospettiva diversa. Una prospettiva distante anni luce dalla nostra, ma perfettamente coerente e giustificabile se la si guarda con gli occhi del criminale onesto Nicolai, tanto che a tratti si fatica a non provare commozione di fronte ad esempi semplici e limpidi di lealtà, rispetto e protezione.
Pur essendo molto distante dal tipo di lettura che è solita piacermi , confesso che una volta iniziato non sono più riuscita a staccarmi da questo libro, grazie anche al fatto che è scritto in uno stile accattivante e coinvolgente.
Vero? Falso? Probabilmente falso, il parto di uno scrittore furbo e un po’ ruffiano. Però una storia originale, una visione di mondo diversa. In fondo lo dice anche lo zio King che “ci sono altri mondi oltre a questo”.

“Noi ragazzi di Fiume Basso vivevamo davvero seguendo le leggi criminali siberiane, avevamo un robusto sentimento religioso ortodosso, con un’influenza pagana molto forte, e venivamo chiamati da tutto il resto della città “Educazione siberiana” per i nostri modi di fare. Non dicevamo parolacce, non offendevamo mai il nome di Dio o della madre, non parlavamo senza rispetto di una persona anziana, di una donna incinta, di un bambino piccolo, di un orfano o di un disabile. Eravamo abbastanza inquadrati e a dire la verità non avevamo bisogno delle parolacce per sentirci adulti come i nostri coetanei di altri quartieri, perché eravamo trattati come se facessimo veramente parte della comunità criminale, eravamo una vera banda, composta da minorenni, con la gerarchia del modello criminale e con le responsabilità che i criminali adulti ci avevano dato. “

Anna LittleMax Massimino

 Maria Silvia Riccio Concordo sulla curiosità in merito a quanto di autobiografico ci sia tra le righe e sulla fascinazione totale di questo romanzo – anche io non ero riuscita a fermarmi, una volta cominciato. Le pagine sulla natura angelica della diversità sono tra le più poetiche che abbia mai letto sull’argomento, forse proprio per contrasto con la violenza imperante. Non ho visto il film, ma rimedierò presto, adesso che Anna m’ha messo la pulce nell’orecchio

Anna LittleMax Massimino: E’ vero Maria Silvia Riccio mi riferivo proprio questo quando parlavo di commozione. La storia di Boris, della ragazza autistica e soprattutto le riflessioni del protagonista sul non essersi mai dovuto porre la questione della diversità perchè “per noi quella era la normalità”. Struggente e, purtroppo,ancora utopistico. Sul film ho qualche remora. Nella mia testa quel mondo e quei personaggi hanno una loro precisa immagine e collocazione: ho un po’ di timore nel renderle troppo concrete.

Federica Giancane: Questo romanzo a me è piaciuto molto, ho iniziato a leggere e ho smesso all’ultima parola. Mi affascinano sempre questi “criminali”, alcune usanze, alcune riverenze, l’avere rispetto per una cosa anziché per un’altra. Mentre leggevo mi chiedevo “possibile che quest’uomo abbia fatto certe cose e oggi vive così felice e sereno?”. Per cui ho iniziato ad indagare anche io sulla veridicità o meno dell’autobiografia. Alla fine ho concluso che lui é davvero bravo a scrivere.
Ho letto anche “Caduta libera”, il secondo libro di Lilin dove parla della sua esperienza nell’esercito. Mi è piaciuto anche questo, un’altra realtà, altre storie, altri incontri, altri uomini. Non cattura però come “Educazione siberiana”.
Il film non ha deluso le mie aspettative: come immaginavo, é molto meglio il libro!