Le impazienti – Djaïli Amadou Amal #Solferino

L’unica soluzione che viene prospettata alle ragazze è il munyal. “Pazienza, munyal, bambina mia, stai entrando in un mondo fatto di dolore. Sei così giovane, così impaziente, ma sei una ragazza, quindi ricordati, munyal, per tutta la vita. E comincia subito, perché il tempo della felicità è breve per una donna. Pazienza, figlia mia, già fin d’ora”. Inevitabile, leggendo, empatizzare con le protagoniste. Non soltanto perché abbiamo già conquistato molti dei diritti a loro negati e percepiamo la loro situazione come un’ingiustizia, ma anche perché il messaggio è più universale: ci mette in guardia dal subdolo consiglio, che in realtà è una minaccia, di portare pazienza.

Il romanzo è ambientato in Camerun, nella regione del Nord, e narra le vicende di tre donne Ramla, Hindou e Safira, tre matrimoni combinati dalle famiglie e contro la loro volontà. Un romanzo polifonico in cui viene data voce a ognuna di loro. Nel romanzo compare costante una parola: “Munyal” “pazienza”, quella che le tre protagoniste, in nome di Allah, dovrebbero portare e rafforzare giorno dopo giorno per sopportare e sopravvivere alle pene di un matrimonio non voluto. La cosa che maggiormente colpisce in questo romanzo è proprio l’atteggiamento delle donne, le quali si sottomettono con dolore nel momento in cui viene imposto loro un matrimonio non desiderato, ma che con il tempo, con la cura assoluta della “munyal” accettano come un dono del cielo, e da qui convincono le loro figlie, le nipoti, le amiche e le vicine che il matrimonio è la cosa migliore che una donna possa augurarsi.

La figura degli uomini, forse volutamente descritta così dall’autrice stessa, è quella di “maschi” che devono dimostrare a tutti i costi, alla famiglia e alla società la loro virilità, il loro essere padroni della vita delle donne, delle mogli. Mi sono chiesta, c’è qualcuno veramente felice tra loro? Per le donne la risposta è semplice, ma per gli uomini? Anche loro sono vittime di un’educazione e di una società retrograda dove non emergono come uomini ma come burattini, chi tira i fili? La società, la lettura travisata del Corano? Chi mai potrà liberare queste donne e questi uomini da questa catena? Saranno sempre costretti a fuggire dai loro Paesi di origine per realizzarsi come veri uomini e vere donne?

La storia narrata in questo romanzo è una storia di fantasia ma si ispira alla vita dell’autrice. Amal, come le protagoniste del romanzo, è stata data in sposa (come seconda moglie, co-sposa) all’età di 17 anni a un ricchissimo amico del padre, ma è riuscita a liberarsi del primo e anche del secondo matrimonio fuggendo, ricostruendo la sua vita lontana da casa e aiutando tante altre donne fondando un’associazione per l’istruzione femminile (Femme du Sahel) dando voce al silenzio “assassino” di queste donne, maltrattate ma non sconfitte. Ho trovato la scrittura molto piacevole, forse non molte novità rispetto a ciò che conosciamo di queste realtà, ma a mio parere, l’autrice ha delineato i personaggi femminili e stavolta anche quelli maschili facendo intravvedere da una parte non solo la sconfitta ma anche l’impazienza dei personaggi femminili, e dall’altra ha mostrato l’insoddisfazione dei personaggi maschili. Il matrimonio deve seguire delle regole imposte dalla religione e dalla società, regole che non tengono conto dei sentimenti dell’uomo (inteso come essere umano) delle sue inclinazioni e della sua capacità di scegliere tra il bene e il male, o semplicemente scegliere di vivere.

Il romanzo è uscito in Camerun nel 2017 e nel 2019 riceve il Prix Orange du Livre en Afrique. L’edizione francese, per Emanuelle Collas, è stata finalista al premio Goncourt e si è aggiudicata il Goncourt des Lycéens nel 2020.

Gabriella Simbula

Le impazienti, terzo romanzo dell’autrice, e primo pubblicato in Italia (da Solferino con la traduzione di Giovanni Zucca)

Descrizione

Camerun, Regione del Nord: tre donne, tre matrimoni, un unico destino. Ramla ha diciassette anni ed è costretta dal padre a lasciare gli studi e a sposare un uomo di cinquanta. Crede che sua cugina Hindou sia più fortunata di lei, perché il suo promesso sposo Moubarak di anni ne ha solo ventidue, e non è brutto, tutt’altro. Ma sbaglia, perché Hindou sa bene di che pasta è fatto suo cugino e qualsiasi sorte sarebbe per lei meglio che essere data in sposa a lui. Safira, trentacinque anni, per ventidue è stata la prima e unica moglie di Alhadji Issa, l’uomo più importante della città. Fino al giorno in cui Ramla non entra in casa sua come «co-sposa», e i suoi occhi cominciano a consumarsi dalla gelosia. Per nessuna di loro c’è una via di fuga, una strada diversa che non le consegni all’istante alla riprovazione sociale, alla gogna pubblica. L’unico antidoto alla sofferenza, alla violazione, l’unica soluzione che viene loro additata, il basso continuo delle loro esistenze interrotte, è la pazienza, nel nome di Allah. La capacità senza limiti di sottomettersi, nascondere, accettare di buon grado, senza un pianto, un lamento, un grido. In questa prova sta il valore di una donna, su questa scala si misura la sua virtù. Grazie alla pazienza si può sopravvivere. Grazie alla pazienza di tante come loro, tutto un sistema sociale può sopravvivere. Con questo romanzo polifonico Djaïli Amadou Amal ci riporta a un universo sommerso, tribale, in cui la femminilità non ha diritti e il rapporto fra i sessi è fondato sulla prepotenza. Scortica, disseziona, riduce all’osso i meccanismi di una cultura patriarcale progettata per schiacciare le donne, mostrandoci i danni irreparabili che produce, la sua intrinseca violenza. Una violenza cui le donne stesse si condannano, nel momento in cui rinunciano ai sogni per abbracciare i doveri, insegnando alle proprie figlie a fare lo stesso. Così Amal ci insegna a guardare con sospetto, sempre e ovunque, chi ci chiede di «pazientare» a ogni costo, mettendoci in guardia contro la subdola minaccia che in questo invito si annida.

Il Canto di Calliope – Natalie Haynes #NatalieHaynes

Cari amici e amiche, condivido, per una volta, una stroncatura. Qualcuno magari, se ha letto questo “Canto di Calliope” e invece l’ha apprezzato, può spiegarmi cosa mi sfugge. Infatti non è la prima volta che mi imbatto in un libro del cui generale apprezzamento non mi capacito.

Intendiamoci: scivola via, si lascia leggere: le storie della guerra di Troia e dei due più famosi Nostoi (i ritorni di Agamennone e Odisseo) più o meno le si conosce tutti, così credo sia istintivo il piacere di vedersele proporre un po’ alla rinfusa. Troppo furbetto però l’espediente “femminista” che oggi tira molto, nel senso che basta dichiarare di avere scritto un libro dalla parte delle donne perché venga recepito come tale, anche se in realtà è un polpettone di luoghi comuni, anacronismi, banalizzazioni che lèvati…

fatevi un favore: per me, se volete davvero leggere una storia di Troia dalla parte delle donne leggete “Cassandra” di Christa Wolf. L’avrò già scritto mille volte, ma davvero non ho ancora trovato un altro romanzo che gli stia minimamente all’altezza… Valgono la pena anche “La splendente” di Musatti, o tutti i libri di Guidorizzi (“Io Agamennone” non è un romanzo, ma secondo me è una prova letteraria maiuscola) o le narrazioni di Nucci (Le lacrime degli eroi, davvero molto bello).

Questo romanzo della Haynes poggia su un’idea apprezzabile (usare come narratore onnisciente la Musa dell’epica Calliope ) che poi viene annacquata per via della competenza dilettantesca dell’autrice. Il risultato è parecchio noioso: tutti, ma proprio tutti i personaggi sono rigidi e bidimensionali. Il racconto sembra un riassunto di scuola, la cui originalità sta tutta nel montaggio che però a volte sembra casuale. Non c’è libertà inventiva, anche se paradossalmente non mancano svarioni proprio perché la semplificazione poggia su una conoscenza troppo spannometrica della materia.

Un altro grave difetto è, a mio avviso, l’incoerenza dei registri: dal patetico, alla ricerca del tragico (tentativo fallito) a un improbabile ironico (la voce di Calliope) e un terribile didascalico (le “lettere” di Penelope, quanto di più anacronistico si potesse immaginare). Insomma, sconsiglio…

P.S. sono stata professionalmente battezzata nel mito degli editor anglosassoni. Una volta di più mi chiedo dove siano finiti tali estinti eroi: questo libro è farcito di contraddizioni lapalissiane che un buon editor dovrebbe scovare senza neanche rileggere… ma devo dire che anche il traduttore e il revisore italiani avrebbero potuto metterci una pezza.

Paola Borgonovo

di Natalie Haynes (Autore) Monica Capuani (Traduttore) Sonzogno, 2021