Primo comando – Patrick O’Brian #PatrickOBrian #JackAubrey

Traduttore: P. Merla
Anno edizione:1997

Mi ci è voluto un po’ di tempo per finire questo romanzo, a causa della scarsità di momenti di nullafacenza compatibili con la lettura di un libro. A nulla è valso il tempo extra trascorso su treni pendolari in ritardo perenne, ma ultimamente a caccia di record negativi, perché la condizione di sardina confinata nella sua scatola di metallo mal si confà alla postura auspicabile per una comoda lettura.
Al contrario, questo romanzo, nella mia wish list fin dai tempi del film visto al cinema*, è un libro che si presta a una lettura rapida, com’è tipico di un genere, quello avventuroso, che poteva trovare spazio a puntate nell’appendice dei quotidiani di un tempo.
Una complicazione è certamente legata al lessico specifico che cala immediatamente il lettore nella realtà di una nave militare britannica della fine del 1700, per intendersi ai tempi dell’ammiraglio Nelson. Ma per capire meglio dove siamo andati a finire, un nostro alter ego, il dottor Stephen Maturin, ugualmente a digiuno di termini marinareschi, diventa il Virgilio che ci guida attraverso le vicende in cui viene a trovarsi dopo aver accettato, forse non del tutto consapevole, l’incarico di seguire il comandante Jack Aubrey nella sua prima missione. Ma il terrazzano è proprio il grimaldello che l’autore usa con maestria per dosare i tempi dell’azione, per spiegare i termini nautici, per approfondire i momenti drammatici e di riflessione, e per giocare con il sottile umorismo che spesso ho ritrovato in certa letteratura irlandese.
È stato forse un bene, dunque, l’aver centellinato le pagine per necessità e aver quindi ricevuto in piccole dosi quella rilassatezza che restituisce un libro leggero, ma mai banale, intervallata dal frenetico tran-tran della vita di tutti i giorni.
Se tanto tempo è trascorso tra la visione del film e la lettura del primo romanzo, credo proprio che non ne passerà altrettanto prima di prenderne in mano un altro.

* La trama del film è in realtà basata su tre dei 20 romanzi scritti dallo stesso autore che narrano le vicende del duo Aubrey-Maturin. Io ho volutamente scelto il primo dell’intera saga.

Francesco Pisano

Il Piccolo Regno – Wu Ming 4 #WuMing

“Mio cugino Julius fu il primo a lasciare il regno in questo modo. Quando scoprì di dover abbassare la testa per entrare nella nostra casetta di legno fu come se fosse scattato un conto alla rovescia. Da allora, ogni volta che entravamo nel nostro rifugio, misuravamo quanti centimetri mancavano a farci sfiorare lo stipite, per sapere quanto tempo ci restava.”

Il collettivo Wu Ming, Luther Blissett e i vari loro consociati e adepti producono molto, in molti campi; star loro dietro in tutti i progetti francamente sarebbe per me una fatica improba e, a essere proprio sinceri, non penso che tutto quello che scrivono sia sempre imperdibile. Però ogni tanto pesco un loro romanzo perchè anche se forse non sarà memorabile trovo che abbiano sempre qualcosa da dire, a livello artistico, storico, letterario; e alcuni loro libri in digitale si trovano a prezzi davvero irrisori, e quindi mi piace investire nei loro progetti.

Il Piccolo Regno è un libro del 2016, tecnicamente forse una storia per ragazzi (anche se non ne sono così convinta), che parla di ragazzi: quattro cugini britannici trascorrono le estati in una casa di campagna, con le madri e i domestici, i padri in visita dalla City solo durante i week end. Il periodo storico è il decennio prima della Seconda Guerra Mondiale, la campagna inglese è rigogliosa e bellissima, gli echi di Stand by me e di Narnia inevitabili e nostalgici. All’inizio è tutto molto chiaro e lineare: la bellezza dei giochi e l’unità del branco, la libertà infinita delle vacanze estive, l’eccitazione di una caccia a un tesoro vero da ritrovare, le avventure meravigliose di chi è bambino contrapposte alla noia di essere adulto e conformarsi. Poi qualcosa cambia, perchè anche l’infanzia, il piccolo regno dorato che è stato di tutti noi per qualche anno, prima o poi finisce: e ci apriamo al dolore, al conformismo, al compromesso. Diventiamo adulti, ma soprattutto -prima di questo- vediamo davvero come si comportano gli adulti, e ci pare la più terribile delle menzogne. E’ questo, il tema del Piccolo Regno: la perdita dell’innocenza, il momento malinconico e dolente, e spesso per alcuni drammatico, in cui ci si lascia alle spalle l’innocenza.

“Degli eroi. Questo eravamo. Vivevamo estati eterne, dominate dalla voglia di lasciarci alle spalle la città in cui avevamo trascorso l’inverno, e guadagnare spazio, liberarci dalla costrizione delle sciarpe e dei cappotti.”

E’ un romanzo che si può leggere su due piani, uno, più semplice e diretto, è quello della storia per ragazzi, un romanzo di formazione; l’altro è per chi si vuole ricordare come era, essere ragazzi. Per questo ci sono molti temi letterari, i sopra citati King e C. S. Lewis, ma anche Tolkien, la Banda dei Cinque, i Goonies; e molta storia, l’ascesa del nazismo e il fascino nero che esercita su una parte dell’aristocrazia inglese, la sindrome post-traumatica dei reduci di guerra, la repressione del movimento operaio, Lawrence d’Arabia e il fabianesimo. Quello che mi fa pensare che non sia del tutto adatto ai più giovani, comunque, è un tema nero, oscuro, che si annida nel finale, assai poco benevolo, ma soprattutto nella descrizione di quello che accadrà ai protagonisti da adulti, che sconfina nel tragico. Diventare grandi è drammatico, ma in fondo un fatto naturale e necessario; tutti lo accettiamo, in genere senza perderci troppi sonni. Ma in letteratura, io sono della scuola di Mark Twain alla fine di Tom Sawyer, che chiude la porta sui protagonisti mentre sono ancora ragazzini, consegnandoli così all’immortalità. Sapere cosa succederà loro da adulti per me è una crudeltà immotivata; ma d’altronde un’intera corrente di storie per l’infanzia abbraccia la conclusione adottata da Wu Ming 4, e quindi non necessariamente dovete essere d’accordo con me.

Il Piccolo Regno rimane un libro dolceamaro, tenero in certi momenti, crudele in altri, ben scritto e con una trama, se non davvero originale, comunque molto accattivante. Forse l’unica cosa che non mi ha convinto davvero è la narrazione in prima persona del protagonista adulto, che ripercorre le imprese infantili; è un motivo descrittivo usato spesso in letteratura, e non sempre riesce: non è facile per niente far parlare un bambino da adulti; per me, qui l’autore fa un buon lavoro ma non davvero memorabile. Però non è mai condiscendente nè pecca di supponenza, e trasporta attraverso la soglia temporale del nostro glorioso passato bambino con una grande vividezza e meraviglia, regalando qualche momento di vera poesia per i ragazzini che siamo stati, le estati passate e i loro infiniti colori, che ormai tornano ad accendersi prepotentemente solo nei sogni, e nei romanzi di King.

Si torna all’origine prima di diventare anche noi i ricordi di qualcuno, una fotografia nell’album di famiglia.

Consigliato sicuramente agli adulti, per i vostri ragazzini prima leggetelo e poi decidete.

Lorenza Inquisition