Torto marcio – Alessandro Robecchi #AlessandroRobecchi #Sellerio #recensione

Reduce dall’impegno con la tragica famiglia Karamazov, mi sono concesso una necessaria pausa distensiva con il quarto episodio della serie di Alessandro Robecchi, dedicato al suo eroe (quasi) alter-ego Carlo Monterossi, autore televisivo di professione e investigatore per caso nella Milano contemporanea. Non ho sbagliato scelta, perché questo è un signor romanzo “social-noir”, forse il migliore scritto finora da Robecchi, a sua volta autore televisivo oltre che scrittore teatrale e giornalista ( è anche nel team di autori del fuoriclasse Maurizio Crozza).

Il suo protagonista ha inventato una trasmissione – Crazy Love – che è stata l’innesco di quella TV del dolore e degli affetti fasulli che vediamo celebrata dalle varie barbare e marie immacolate (nel libro rappresentate dalla conduttrice Flora De Pisis). Ormai ampiamente benestante e adeguatamente schifato da questo mondo farlocco, Monterossi si imbatte casualmente in vicende che permettono poi all’autore scorribande per la Milano della borghesia arricchita e dell’emarginazione sociale.
In quest’ultimo lavoro i filoni narrativi sono costruiti con grande abilità su diversi spunti che come sempre partono da indagini molto diverse e distanti: una privata, di Monterossi con il suo fido partner Oscar Falcone e riguardante un furto subito dalla madre della sua agente di straripante dimensione fisica e caratteriale; e l’altra ufficiale, e riguardante tre omicidi in sequenza che sembrano, ma non lo sono, esecuzioni mafiose.
E’ perfetto il cocktail confezionato da Robecchi: personaggi credibili, benissimo definiti e interessanti, humor discreto e mai volgare, citazioni dotte ma non invasive, compresi estratti dai testi delle canzoni di Bob Dylan, grande passione di Monterossi e, naturalmente anche di Robecchi, noto dylanologo. La vicenda poi cuce il presente del disagio sociale nei casermoni attorno a San Siro con il passato difficile della città, quando eravamo sì la Milano da bere ma anche della giustizia ricercata con le armi, in un gorgo in cui finiscono tutti, anche quelli che, per vendicare un passato di ingiustizia, finiscono per avere “torto marcio”.
Chi cerca i thriller che lasciano senza respiro forse non sarà soddisfatissimo perché la fine si intuisce abbastanza agevolmente, ma chi cerca una lettura intelligente e gradevole, e alla fine anche commovente, corra subito a leggersi questo libro, decisamente riuscito. Chi non ha mai letto Robecchi correrà poi a leggersi anche i precedenti.

Renato Graziano

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America primo amore – Mario Soldati #MarioSoldati #America

americ

Di Soldati avevo sempre sentito parlare ma non avevo mai letto nulla.
Questo l’ho trovato al mercatino della spiaggia al Lido, a 1 euro.
E’ una sorta di diario, di cronaca della permanenza dello scrittore negli Stati Uniti dal 1929 al 1931, dopo aver vinto una borsa di studio della Columbia University.
E’ un ritratto disincantato, feroce, innamorato, gioioso e disperato di una nazione che non è solo una nazione, come tutti sappiamo: gli Stati Uniti sono un’idea, un sogno, un immaginario reale. E spesso un incubo.
Le pagine scorrono veloci ed è come passeggiare col protagonista: tra italoamericani imbolsiti e fiaccati dalla nostalgia ma allo stesso tempo accecati dal mito a stelle e strisce, baroni universitari italianisti che gli tagliano le gambe, gente disperata che popola la Bowery e ricchi broker che passeggiano per la Quinta Strada.
Ma Soldati non descrive e basta: analizza, ragiona, disseziona l’America.
L’America è un sogno finchè lo guardi da lontano; oppure se ci arrivi e il Sogno lo realizzi.
Nella parte finale c’è un meraviglioso passaggio in cui Soldati descrive il cinema americano; tenendo conto di QUANDO sta scrivendo (anni 30) il risultato è impressionante per carica profetica e precisione analitica. E la conclusione a cui il lettore arriva è una sola: siamo diventati tutti Americani.
Purtroppo o per fortuna aggiungetelo voi , come più vi aggrada.

Alessandro Dalla Cort

Edito da Sellerio, collana La memoria

«New York: la città dove ero stato, dove ero fuggito dall’Italia, l’Italia di allora! Quando ancora ero quasi adolescente; dove avevo vissuto lungo tempo con la speranza di diventare cittadino americano; infine ne ero partito sconfitto per non tornarci più». Così, nel 1979, Soldati rievocava il «sogno» di America primo amore. Ha scritto Lorenzo Mondo «Fra quanti coltivarono da noi, negli Anni Trenta, il mito dell’America, Soldati fu uno dei pochi ad avere calcato il suolo degli States, ricavandone suggestioni esistenziali anziché politiche e letterarie. Non che mancassero le giuste intuizioni critiche su quella nuova realtà, a metà strada fra l’America “amara” di Cecchi e l’esaltazione volontaristica dei Vittorini e dei Pavese. Ma il continente spazioso e aperto come il mondo, che il giovane borsista della Columbia University dovette abbandonare dopo averlo fortunosamente raggiunto, rendeva l’immagine tutta privata dell’usura e del vuoto che sta dietro a ogni utopia o alla sua caricatura; suggeriva la sorda inerzia e lo strappo doloroso che conclude ogni grande appagamento, ogni identificazione o riconoscimento. Oltre la febbre della crescita tumultuosa, c’erano nell’America di allora, sullo “schermo gigante” di cui parlava Pavese, altri motivi che potevano sorprendere Soldati e carpire la sua adesione: il contrasto fra la metropoli e la provincia che si ripeteva con passione rovesciata – attrazione o rifiuto – nel rapporto fra l’America dei grattacieli e l’Europa dei “vieux parapets”; il dissidio stesso tra anima puritana e corpo pagano quale si affermava in una formula, fortunata per quanto contestata, di Beniamino De Ritis». Più volte riscritto, nell’arco lungo di oltre quarant’anni, sempre alla ricerca del romanzo, e nell’inseguimento dell’ Educazione sentimentale di Flaubert, America primo amore è «il più bello» dei libri di Soldati: «Il lato stupendo del libro sta nel fatto che due giovinezze si incontrano: il febbrile fervore dello studente torinese con l’enorme vitalità americana; sicché i confusi desideri di Soldati, il suo amore che non sa trovare un limite nelle cose, provocano, appena si produca il contatto con una realtà così enorme e diversa, una tensione elettrica, una febbre incandescente. Anche se già corroso dalla delusione, America primo amore è forse l’ultima Isola del Tesoro dei nostri anni» (Pietro Citati). Questa nuova edizione recupera in appendice il racconto visionario I giornali dell’alba, non più ristampati dal 1945. E integra la Storia di una copertina con un «ricordo» di Carlo Levi. Completa il volume un viaggio dentro la riscrittura dell’opera. Salvatore Silvano Nigro