Billie Holiday – La signora canta il blues #BillieHoliday #Jazz

Una vita per certi versi davvero tragica, ma Billie non si arrende mai all’evidenza:  tutto il libro è pervaso dal rifiuto di ammettere che, nonostante il successo, non se la passa poi così bene. Billie Holiday vede sempre il bicchiere mezzo pieno. E poi, per non sbagliare, lo svuota in un sol sorso e se ne versa un altro, possibilmente liscio e doppio.

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“La mamma e il babbo erano ancora due ragazzi quando si sposarono. Lui aveva diciott’anni, lei sedici, io tre.”
Con queste parole comincia l’autobiografia di Billie Holiday e ti lascia subito intendere che non sarà una vita facile.
Una delle più grandi interpreti di jazz di tutti i tempi si racconta col suo modo rustico e impetuoso di prendere la vita.
Piccolissima, affidata a parenti con cui trascorre un’infanzia trascurata e misera, a nove anni finisce in riformatorio, a undici stuprata , a quattordici fa la prostituta, finalmente a diciassette viene scoperto il suo talento.
Ma non è di certo un letto di rose la sua carriera, per sua ingenuità, per i marpioni che bazzicano il mondo dello spettacolo: di tutti i soldi che guadagna, a lei ne rimangono pochissimi, così, via con alcool, droghe di ogni tipo, la prigione.
In tutto questo, il problema razziale incombe pesantemente: nonostante riempia i teatri, viene discriminata nei bar, nei ristoranti. I bianchi non la vogliono vicina.
Il racconto che fa della sua vita, nonostante la siano accadute cose terribili, ha sempre un tono ottimistico, di sicuro però si avverte un lato doloroso che ha fatto di che si sia autodistrutta sino a morire a 44 anni devastata da alcool e droga.

Questo libro a detta di tutti deve essere letto sapendo che alcuni fatti sono romanzati, e non deve stupire che l’autrice volesse glissare su alcuni eventi tragici della propria vita. Rimane una testimonianza preziosa sia per chi vuole conoscere la sua vicenda artistica e umana, sia per chi vuole scoprire qualcosa di più sulla storia della musica jazz, la segregazione razziale, gli anni della Grande Depressione e molto altro.
Una grandissima, indimenticabile artista; di lei si diceva che cantava le parole “fame” e “amore” come nessuno era mai riuscito a interpretarle.

Raffaella G.

DESCRIZIONE

Dagli slum di Baltimora ai café society di New York, dall’emarginazione razzista al successo e alle frequentazioni eccellenti, dai trionfi mondiali al deserto dei sentimenti e della droga, Billie Holiday non si stanca mai di inseguire quel sogno di dignità umana che, puntualmente contraddetto dalla realtà, trova però compimento nella musica. “Lady Day” parla di sé con franchezza, senza censure, con una scrittura aspra, dura, ruvidamente confidenziale. È la storia di una donna che si fa largo, turpiloquio nei denti, nel “men’s world”, nel “mondo fatto per gli uomini”, facendone il suo campo di battaglia, la sua croce di passione, di talento, di amore. Da qui il vero blues che si libera, tuttora intatto, magico e ulcerato, dalla sua voce.

Billie Holiday (1915-1959) è, con Bessie Smith, la più grande vocalist che il jazz abbia avuto. Lanciata da Benny Goodman, ha cantato con i complessi più importanti degli anni trenta e quaranta, da quello di Teddy Wilson a quello di Count Basie. Celebre il suo sodalizio, anche sentimentale, con il grande sassofonista Lester Young

Natura morta con custodia di sax – Geoff Dyer

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Sul Jazz si sono scritte e dette milioni di parole. Ci sono quelli che lo amano alla follia e ci sono quelli che lo detestano, quelli che lo trovano complicato, quelli che lo trovano senza disciplina, quelli che non possono stare senza e quelli che appena in una canzone sentono due accordi che “puzzano” di jazz iniziano a storcere il naso.
Ecco a tutti questi (e quindi, di fatto, a tutti) consiglio vivamente questo libro, perché dopo averlo letto, anche se (incredibilmente) non vi venisse proprio per niente la voglia di ascoltare qualcosa di Charles Mingus, Thelonius Monk o Art Pepper, non potrete fare a meno dal trovarvi affascinati dalle loro vite e dalle storie raccontate, e anche se, come me, non avete che un minimo di dimestichezza con la loro musica, sicuramente capiterà anche a voi di sentirla uscire dalle pagine, come se quello che state sfogliando non fosse altro che un condensato di note materializzate in forma cartacea (o elettronica, nel mio caso). Le storie sono raccontate benissimo e rendono a meraviglia le situazioni, i personaggi e la loro musica, che, forse nel jazz più che in altre forma musicali, rispecchia in pieno la vita di chi lo suona.
Forse tra l’altro è per questo che tanti dicono di “non capire il jazz”, perché in fondo non si può capire una vita, l’unica cosa
che si può fare e viverla, provando a tenere il ritmo.

luca bacchetti

DESCRIZIONE

«Per un po’ mi sono domandato se non fosse doveroso segnalare i passi in cui prestavo ai personaggi frasi da loro effettivamente pronunciate nella realtà. Alla fine, attenendomi al principio che ha guidato tutte le altre mie scelte in questo lavoro, ho preferito evitarlo. È normale che i jazzisti si citino a vicenda nei loro assolo: avvertirlo o meno dipende dalla nostra competenza musicale. Qui capiterà la stessa cosa. In linea di massima considerate che quanto leggerete è stato inventato o modificato, non riportato. Per tutto il libro mi sono proposto di presentare i musicisti non com’erano ma come me li immagino e, ovviamente, fra le due versioni può esserci un abisso: piú che descrivere i musicisti in azione, ho cercato di proiettare a ritroso di trent’anni – fino al momento in cui la loro musica fu concepita – la mia esperienza di ascoltatore contemporaneo».

Nove leggende del jazz magistralmente ritratte insieme al loro mondo perduto.

Thelonious Monk che, incurante della baraonda intorno a lui, suona il Baby Steinway mezzo incastrato in cucina, con la schiena cosí vicina ai fornelli da rischiare di prendere fuoco. Lester Young perso, la notte, in una stanza d’albergo inondata dalla luce di un neon verde proveniente dalla strada. Charles Mingus che come una furia pedala al Greenwich Village attaccando briga con passanti e automobilisti e attraversando giornali, lattine vuote e cartacce sollevate dal vento. E poi Bud Powell, Duke Ellington, Chet Baker… Musicisti che hanno fatto la storia della musica jazz raccontati a partire da immagini, aneddoti e soprattutto dalla musica, in ritratti che sono veri e propri pezzi di virtuosismo narrativo.

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