L’uomo che metteva in ordine il mondo – Fredrik Backman #FredrikBackman

Traduttore: A. Airoldi
Editore: Mondadori

Grazie al suggerimento di Anna nel gruppo, ho deciso di leggere la trilogia di Backman, ed è stata una scelta davvero felice.
Che peccato se mi fossi perso OVE, il più simpatico vecchio (si fa per dire, ha 59 anni!), burbero, pignolo, scontroso ma con il cuore troppo grande (definizione medica) dal quale mi è veramente dispiaciuto separarmi. Spero di ripetere l’emozione con Britt-Marie.
OVE ha 59 anni e i vicini lo definiscono “un vicino amaro come una medicina”, ogni mattina alle 6,30, fa il giro del quartiere di villette, dove abita, per controllare chi non ha parcheggiato correttamente, chi fa male la differenziata, chi poggia le biciclette fuori posto ecc.. Se la prende con chiunque guidi nella zona abitata, con la tizia che gira a tacchi alti e un cagnolino da lui soprannominato “ciabatta”, odia i gatti e brontola su tutto.
Per OVE l’importante è che le regole siano rispettate e per questo è disposto a discutere fino allo sfinimento, ne sanno qualcosa il commesso del negozio di elettronica o il fiorista che incappano nella sua sfibrante pignoleria.
Ha perso da poco una moglie che adorava, non può vivere senza di lei, si sente vuoto senza altre speranze e quindi decide di suicidarsi per raggiungere la sua amata. Ma ogni tentativo fallisce, non per imperizia,ma perchè i vicini invadenti, ogni volta, per un motivo o per un altro, gli mandano a monte il progetto.
Più e più volte mi sono trovato a ridere rumorosamente da solo.
E’ un umorismo pulito, vero, son sicuro che la maggior parte di voi avrà conosciuto un OVE nella sua vita, e forse qualcuno (come me) un pochino ci si ritrova.
Riesce a farti fare una risata anche nel finale, decisamente commovente, e spesso fa riflettere. Allego un passaggio sulla morte che ho trovato veramente significativo:

“La morte è una cosa curiosa. Viviamo tutta la vita come se non esistesse, ma il più delle volte è una delle ragioni in assoluto più importanti per vivere. Alcuni di noi ne diventano consapevoli così in fretta che vivono più intensamente, più ostinatamente, e in maniera più furiosa. Altri necessitano della sua costante presenza per sentirsi vivi. Altri ancora finiscono per accomodarsi nella sua sala d’attesa molto tempo prima che lei abbia annunciato il suo arrivo. La temiamo, eppure la gran parte di noi teme soprattutto l’eventualità che colpisca qualcun altro, qualcuno a cui vogliamo bene. Perché la più grande paura legata alla morte è che ci passi accanto. Che si prenda chi amiamo. E che ci lasci soli.”

buona lettura a tutti!

Giancarlo Zeppa

Descrizione
Ove ha 59 anni. Guida una Saab. La gente lo chiama “un vicino amaro come una medicina” e in effetti lui ce l’ha un po’ con tutti nel quartiere: con chi parcheggia l’auto fuori dagli spazi appositi, con chi sbaglia a fare la differenziata, con la tizia che gira con i tacchi alti e un ridicolo cagnolino al guinzaglio, con il gatto spelacchiato che continua a fare la pipì davanti a casa sua. Ogni mattina alle 6.30 Ove si alza e, dopo aver controllato che i termosifoni non stiano sprecando calore, va a fare la sua ispezione poliziesca nel quartiere. Ogni giorno si assicura che le regole siano rispettate. Eppure qualcosa nella sua vita sembra sfuggire all’ordine, non trovare il posto giusto. Il senso del mondo finisce per perdersi in una caotica imprevedibilità. Così Ove decide di farla finita. Ha preparato tutto nei minimi dettagli: ha chiuso l’acqua e la luce, ha pagato le bollette, ha sistemato lo sgabello… Ma… Ma anche in Svezia accadono gli imprevisti che mandano a monte i piani. In questo caso è l’arrivo di una nuova famiglia di vicini che piomba accanto a Ove e subito fa esplodere tutta la sua vita regolata. Tra cassette della posta divelte in retromarce maldestre, bambine che suonano il campanello offrendo piatti di couscous appena fatti, ragazzini che inopportunamente decidono di affezionarsi a lui, Ove deve riconsiderare tutti i suoi progetti. E forse questa vita imperfetta, caotica, ingiusta potrebbe iniziare a sembrargli non così male…
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La signora nel furgone – Alan Bennett #alanbennett #Ladyinthevan #recensione

La signora nel furgone – Alan Bennett

Giugno 1980. Miss S. ha inaugurato il guardaroba estivo: un impermeabile rivoltato con delle grandi toppe marrone. (..) Mi chiede di farle un po’ di spesa: “Mi serve un pacchettino di bicarbonato, un po’ di latte e degli orsetti di gelatina. Gli orsetti non sono urgenti.”
Alla fine degli anni ’70 Alan Bennett cominciava a consolidare il suo successo di scrittore e sceneggiatore, e potè permettersi l’acquisto di una casa nel piacevole quartiere residenziale di Camden a Londra, in una via chiusa e alberata in piena ascesa immobiliare con villette in cui si trasferivano giovani coppie in carriera che lavoravano nella City, mercanti d’arte e una nobildonna dedita a pie opere di beneficenza. C’era in questa via anche una particolare cittadina: Miss Sheperd, una barbona senza fissa dimora, che alloggiava, armi e bagagli e un’infinita serie di puzzolenti buste di plastica, in un vecchio furgone Wolksvagen. La signora sfoggiava improbabili mises (impermeabile bisunto, sottana arancione, berretto da golfista e ciabatte di pezza), e aveva una particolare predilezione per il colore giallo, con il quale riverniciava tutte le sue dimore a quattro ruote, era grossa, prepotente, e con una serie di idiosincrasie: per esempio le piaceva la varietà nei suoi soggiorni, parcheggiava il furgone davanti a qualche casa della via di Bennett per circa sei mesi, e una notte d’improvviso decideva di spostarsi andando a vivere per altri sei mesi davanti a un’altra villetta della stessa strada. I bambini che abitavano nella via avevano un po’ paura di lei ma i genitori li incoraggiavano a portarle abiti usati e cibo, i poliziotti in genere la lasciavano stare, a volte qualche ubriaco di notte la spaventava bussando sui finestrini del furgone dove lei dormiva o qualche residente esasperato dalla vicinanza con il suo furgone puzzolente si sfogava prendendo a calci le gomme. Vivendo come viveva, era avvezza a qualche piccolo episodio di crudeltà; ma tutto il quartiere la conosceva, la sopportava e in genere, magari con riluttanza, la aiutava: una raccolta fondi per una carrozzina, la pia signora che le regala un nuovo furgone, qualche finanziamento a fondo perduto per eventuali necessità.
Gli anni passano, i furgoni si succedono (ne avrà in tutto tre), le cose cambiano un poco per volta nella città. Per esempio, arrivano i parcheggi di residenza. Miss Sheperd non può più parcheggiare nella via, poichè è senza fissa dimora e non ha diritto a una piazzola. Seguendo un impulso mai del tutto spiegato nemmeno a sè stesso, Bennett accetta che la signora installi il furgone nel proprio giardino, dove rimarrà per i successivi quindici anni, fino alla morte dell’ormai anziana Miss Sheperd. Quindici di anni di vita in un cortile, di litigi, puzze, e qualche risata. Questo improbabile rapporto di sopportazione e convivenza verrà descritto da Bennett in varie opere: dapprima una pièce teatrale, poi una commedia radiofonica, e nel 2015 la sceneggiatura di un film. L’interprete, in tutte le forme scelte di racconto, sarà sempre Maggie Smith.
Questo libro, La signora nel furgone, è la raccolta delle varie entrate dei diari di Bennett negli anni, un condensato di tutta la sua faticosa relazione con Miss Sheperd, che era invadente, brusca, spesso intemperante.  Eppure i due convissero in questo strano modo per tanti anni senza mai litigare veramente, e tutto il quartiere, quando morì, sentì la mancanza di quella figura eccentrica.
Un libro breve, inglese nello stile, empatico, profondo, che descrive una persona vitale e umana, un omaggio postumo, svagato ma non troppo, a una delle tante creature che non hanno trovato un posto nell’asettico mondo di rincorsa alla carriera e al successo in cui viviamo.
Ho visto anche il film, con Maggie Smith, che consiglio assolutamente a tutti. Quello che mi ha lasciato questa storia, è anche il dolceamaro elogio di un tempo che fu, gli anni in cui vivevano i nostri nonni e i nostri genitori, dove un’anziana barbona che viveva in una strada pubblica non veniva denunciata alle autorità perchè venisse rimossa in quanto fastidiosa alla vista, non si dava il via ai figli adolescenti per darle fuoco, non veniva percossa, derisa, umiliata. Si riconosceva, semplicemente, che era un essere umano sfortunato, che aveva bisogno di aiuto, e si faceva qualcosa tutti, tutta la via (al di là della scelta forse un po’ masochista di Bennett di prendersela in casa, o meglio in cortile) si preoccupava in qualche modo di darle una mano. E quando se ne va, tutti riconoscono il vuoto che ha lasciato. Le persone che lasciano un segno nei nostri ricordi e nelle nostre vite non sono solo quelle di successo, e per fortuna.

Erano altri tempi, diciamo sempre. Già.

Lorenza Inquisition