Niente di nuovo sul fronte occidentale – Erich Maria Remarque #guerra #EricMariaRemarque

Pubblicato per la prima volta nel 1929, e da allora oggetto di innumerevoli edizioni, Niente di nuovo sul fronte occidentale viene considerato uno dei più grandi libri mai scritti sulla carneficina della Prima guerra mondiale.

Kantorek è il professore di Bäumer, Kropp, Müller e Leer, diciottenni tedeschi quando la voce dei cannoni della Grande Guerra tuona già da un capo all’altro dell’Europa. Ometto severo, vestito di grigio, con un muso da topo, dovrebbe essere una guida all’età virile, al mondo del lavoro, alla cultura e al progresso. Nelle ore di ginnastica, invece, fulmina i ragazzi con lo sguardo e tiene così tanti discorsi sulla patria in pericolo e sulla grandezza del servire lo Stato che l’intera classe, sotto la sua guida, si reca compatta al comando di presidio ad arruolarsi come volontari. Una volta al fronte, gli allievi di Kantorek – da Albert Kropp, il più intelligente della scuola a Paul Bäumer, il poeta che vorrebbe scrivere drammi – non tardano a capire di non essere affatto «la gioventù di ferro» chiamata a difendere la Germania in pericolo. La scoperta che il terrore della morte è più forte della grandezza del servire lo Stato li sorprende il giorno in cui, durante un assalto, Josef Behm – un ragazzotto grasso e tranquillo della scuola, arruolatosi per non rendersi ridicolo –, viene colpito agli occhi e, impazzito dal dolore, vaga tra le trincee prima di essere abbattuto a fucilate. Nel breve volgere di qualche mese, i ragazzi di Kantorek si sentiranno «gente vecchia», spettri, privati non soltanto della gioventù ma di ogni radice, sogno, speranza. Pubblicato per la prima volta nel 1929, e da allora oggetto di innumerevoli edizioni, Niente di nuovo sul fronte occidentale viene considerato uno dei più grandi libri mai scritti sulla carneficina della Prima guerra mondiale, il tentativo, perfettamente riuscito, di «raccontare una generazione che – anche se sfuggì alle granate – venne distrutta dalla guerra» (E. M. Remarque).

Poco più che diciottenni, i soldati tedeschi schierati sul fronte occidentale durante la Grande Guerra, affrontano la trincea e gli orrori di una guerra disumana, inconcepibile, odiata. Narrato in prima persona, il racconto di quelle esperienze, violente, atroci, dove il terrore e lo smarrimento, la paura e l’alienazione rappresentano la quotidianità, è descritto con tale poetica maestria da apparire una preghiera! Ragazzi cui è stata scalzata di dosso la prospettiva, costretti a nutrirsi di solide e crude realtà contingenti, si aggrappano alla vita, festeggiando per un inatteso pezzo di carne o un sigaro, sognando un letto di lenzuola, agognando e temendo il momento della pace, consapevoli che quanto hanno visto non potrà lasciarli mai. Un libro toccante e scritto divinamente, censurato dai Nazisti, ma che arriva a noi potente e chiaro, straripante di emozioni.

“A nessuno la terra è amica quanto al soldato.Quando vi si aggrappa lungamente violentemente; quando con il volto e con il corpo si lascia avvolgere dalla terra nell’angoscia mortale del fuoco, allora essa è il suo unico amico, suo fratello, sua madre; nel silenzio della terra egli soffoca il suo terrore e le sue grida, essa lo accoglie nel suo rifugio, poi lo lascia andare, perché viva e corre per altri 10 secondi, e poi lo abbraccia di nuovo, e spesso per sempre. Terra, terra, terra. Terra, con le tue pieghe, con le tue buche, con i tuoi avvallamenti in cui ci si può gettare, sprofondare. Terra, nello spasimo dell’orrore, tra gli spettri dell’annientamento, nell’urlo mortale delle esplosioni, tu ci hai dato l’immenso contraltare della vita riconquistata! La corrente della vita, quasi distrutta, e rifluita da te attraverso le nostre mani, così che noi salvati in te ci siamo sepolti, e nella muta ansia del momento superato ti abbiamo morso con le nostre labbra!”

“Bisogna venire qui per vedere in quante parti un uomo può essere ferito; non si può comprendere come sopra corpi così orribilmente lacerati ci siano ancora volti umani sui quali la vita continua nel suo ritmo giornaliero. Quanto appare assurdo tutto ciò che è stato scritto, fatto, pensato in ogni tempo, se una cosa del genere è ancora possibile! Deve essere tutto falso e inconsistente, se migliaia d’anni di civiltà non sono nemmeno riusciti a impedire che scorressero questi fiumi di sangue, che esistessero migliaia di queste prigioni di tortura. Soltanto l’ospedale mostra che cosa è la guerra.”

Carla Putzu

1984 – George Orwell #Orwell #1984

Quello che fa Orwell non è tanto inventare un futuro possibile ma incredibile, quanto analizzare un passato credibilissimo perché è già stato possibile.

Recensire un classico già è difficile, poi per un’opera del calibro e importanza di 1984 è veramente impossibile e forse anche inutile. Mi limiterò a riportare qualche riflessione che mi ha suscitato questa rilettura, avevo letto 1984 al Liceo trent’anni fa (e passa!) e mi ricordavo molto poco.

Penso che la prima cosa da dire sia che al pari di tanti altri classici, il primo aggettivo che viene in mente mentre lo si legge è Attuale, “come è attuale, questo libro” – si pensa, un po’ stupiti. E lo è. Non si è pronti a quanto sia contemporaneo perchè non si è preparati al potere del pensiero che esprime; soprattutto se lo si è già letto negli anni verdi della gioventù, si pensa un po’ di sapere già tutto quello che dice. E poi 1984 è un’iconografia pop ormai, è una serie di terminologie che usiamo abitualmente, è una serie infinita di derivati, spin-off e opere tratte da, e ispirate a; quindi quando lo si legge bisogna un po’ farsi strada tra tutti questi preconcetti per arrivare a farsi travolgere dal genio originale e grandezza duratura del suo valore intrinseco.

La realtà immaginata da Orwell è fondamentalmente oppressiva, una società nella quale le persone avrebbero desiderio di essere loro stesse, ma un vigile occhio onnisciente, quello del Partito, le costringe a una conformità senza fine. La loro civiltà è immersa in una guerra perenne, i nemici sono sempre alle porte, quindi il cittadino se desidera salvaguardare il bene della sua società, deve sottoporsi al costante sguardo del Grande Fratello, perchè Egli sa. Il cittadino viene fatto vivere solo sul presente: la verità è ciò che il Partito dice. O meglio, è ciò che il partito sta dicendo. Infatti nel momento nel quale il presente è trascorso, e dunque diviene passato, non ha più senso, nè deve essere ricordato.

Per me, il concetto più terrificante di tutto il libro è senz’altro il complesso processo della Neolingua, vale a dire la lingua ufficiale imposta dal Partito, ottenuto tramite la cancellazione della maggior parte dei vocaboli. Scopo specifico della Neolingua è fornire un mezzo espressivo che sostituisca la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma anche rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Perché è il libero pensiero ciò che più spaventa il Partito, la possibilità che l’uomo possa pensare da solo, in modo non omologato.

“L’autorità dell’Oceania è programmaticamente orientata ad imporre un linguaggio inadatto all’espressione delle potenzialità critiche del pensiero. Cerca quindi di abituare le menti umane alla sudditanza e cerca di canalizzare l’emotività individuale nelle sole direzioni utilizzabili per la riproduzione dell’ordine sociale. Orwell ha presentato in modo così accurato processi mentali (“bipensiero”) e strutture linguistiche (“neolingua”) funzionali all’irrazionalismo sociale totalitario, che 1984 è diventato una citazione d’obbligo nei manuali di psicologia sociale e negli studi sulla comunicazione interpersonale”.

Il tema della lingua è strettamente collegato a quello della cultura: la fine dell’arte letteraria è dovuta alla mancanza di parole per esprimere i concetti. La Neolingua ne contempla un numero di molto inferiore a quello dell’Archeolingua che sta per scomparire. Il paradosso che sottende alla compilazione della stesura definitiva del vocabolario della Neolingua è inquietante: l’eliminazione delle parole eterodosse o, in qualche modo, ritenute pericolose determina anche l’annientamento della loro sostanza concettuale.

Come in quasi tutte le opere utopiche e distopiche, in 1984 la cultura, soprattutto nella forma letteraria e poetica, è annullata dal Potere assoluto. Il governo ritiene l’arte un’espressione del pensiero, della fantasia, della conoscenza di ciò che avviene, concetti troppo pericolosi per essere lasciati incontrollati. La letteratura in 1984 è morta, non esiste più come espressione di libero pensiero, non vengono pubblicati nuovi libri e tutti quelli vecchi vengono distrutti o rielaborati, purgati, riscritti (quindi, comunque, distrutti).

Paradossalmente, molte delle parole della Neolingua inventate da Orwell per 1984 (doublethink, memory hole, unperson, thoughtcrime, Newspeak, Thought Police, Room 101, Big Brother) sono diventate di dominio pubblico nella lingua inglese ma non solo, immediatamente riconoscibili anche al di fuori del mondo anglofono e subito attribuite a un incubo di distopia e totalitarismo: Grande Fratello, controllo poliziesco del pensiero, bipensiero, buco della memoria.

«Si doveva vivere (o meglio si viveva, per un’abitudine, che era diventata, infine, istinto) tenendo presente che qualsiasi suono prodotto sarebbe stato udito e che, a meno di essere al buio, ogni movimento sarebbe stato visto»

“L’ignoranza è forza”, terzo paradosso sul quale si regge la propaganda di partito in 1984, è un principio guida, che non è difficile vedere adottato anche dai governanti attuali: l’analfabetismo di ritorno, la demonizzazione della cultura classica (pensiamo a certi felpati che quando non sanno rispondere a un contraddittorio si difendono schernendo i “professoroni”), la funzione manipolatrice della pubblicità, della televisione e dei mezzi di comunicazione in generale, attraverso i quali si può facilmente imporre il proprio controllo sulle masse; il revisionismo storico, perché «chi controlla il passato controlla il futuro»; la presenza capillare del televisore e del potere occulto dei media, che annulla il libero pensiero tenendo l’individuo asservito. Ciò che è profetico in 1984 non è l’idea che la televisione ci permetterà di vedere fatti e persone distanti migliaia di chilometri, ma che quelle persone potranno vedere noi: è l’idea del controllo a circuito chiuso, che si applicherà nelle fabbriche, nelle carceri, nei locali pubblici. E poi ancora: la pedagogia dell’odio, il razzismo che separa i membri del Partito dalla massa dei prolet, i bambini educati a spiare e denunciare i genitori, il puritanesimo della razza eletta per cui il sesso deve valere solo come strumento eugenetico.

Il tutto al servizio di un agghiacciante conformismo: «Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza son la stessa cosa».

La mente gli scivolò nel mondo labirintico del bipensiero. Sapere e non sapere; credere fermamente di dire verità sacrosante mentre si pronunciavano le menzogne più artefatte; ritenere contemporaneamente valide due opinioni che si annullavano a vicenda; sapendole contraddittorie fra di loro e tuttavia credendo ad entrambe, fare uso della logica contro la logica; rinnegare la morale proprio nell’atto di rivendicarla; credere che la democrazia sia impossibile e nello stesso tempo vedere nel Partito l’unico suo garante; dimenticare tutto ciò che era necessario rivendicare ma, all’occorrenza, essere pronti a richiamarlo alla memoria, per poi eventualmente dimenticarlo di nuovo. Il bipensiero implica la capacità di accogliere siimultaneamente nella propria mente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe.”

E’ un libro veramente triste e potente: non esistono rapporti umani significativi. Tutto quello che eleva l’uomo al di sopra degli istinti animali, l’amicizia, l’amore (per un partner o per un famigliare, o per l’arte) è bandito, impossibile approfondire qualsiasi contatto umano. La guerra è perenne, la fame persistente, la bruttura e l’asservimento ovunque.

Affascinante e terribile.

Lorenza Inquisition

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