Fine turno – Stephen King #recensione #StephenKing

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Ho finito la triologia Kinghiana dedicata al Detective Hodges e all’assassino della Mercedes. Non saranno capolavori, ma soprattutto quest’ultimo, FINE TURNO, mi è piaciuto molto e leggerlo è stato puro divertimento!
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Questo thriller è il terzo volume di una triologia che Stephen King ha dedicato al detective – ex poliziotto in pensione Hodge e a Brady Hartsfield, lo spietato assassino dalla Mercedes. E’ un po’ difficile cercare di spiegare di cosa parla questo appassionante “hard – boiled” a puntate, dal momento che ormai siamo giunti al capolinea della storia, ma cercherò comunque di fare il mio dovere dando le informazioni essenziali senza spoilerare nulla, con buona pace di tutti coloro che non hanno ancora avuto il piacere di avventurarsi in questa triplice lettura. La triologia inizia con Mr Mercedes e prosegue con “Chi perde paga“, a mio avviso il meno appassionante, ma solo perché a tratti sembra po’ slegato dalle radici della storia iniziale: il detective Hogde entra in scena piuttosto tardi, ma i riferimenti con il passato non mancano ed il ritmo incalzante impedisce al lettore di mollare la presa. Sì perché Stephen King è geniale, inarrestabile e sempre generoso di sorprese verso i suoi devoti lettori: sono quarant’anni che quest’uomo sforna libri a ripetizione e, a parte qualche sosta forzata e un paio di libri senza troppo cuore, non mi ha mai delusa. Quando è al massimo della forma, leggere un suo libro è come fare un giro sulle giostre. Diverte, emoziona, e nel mentre il tremito sottile di una paura dimenticata si insidia tra le pieghe del lenzuolo, che mentre leggiamo tiriamo sempre un po’ più sù, fino a coprire il naso: non è una paura che lui ha inventato apposta per noi, ma qualcosa di oscuro ed ancestrale che noi riviviamo attraverso le sue parole…lui gioca con le nostre paure infantili, quelle irrisolte che ci portiamo dietro ancora da adulti e quelle che non abbiamo mai avuto il coraggio di guardare in faccia. Ed è questo che fa la differenza tra Stephen King ed il resto del mondo.
Questa volta King riprende esattamente da dove aveva lasciato con l’epilogo di Mr Mercedes: sono passati sei anni ormai da quando lo psicopatico Brady ha ammazzato otto persone servendosi di una vecchia Mercedes, tutti disoccupati in cerca di un lavoro, e tentato un’altra strage di ragazzine piazzando bombe all’interno di un Auditorium in cui si sarebbe dovuto tenere il concerto di una Boy Band. Non racconterò di cosa ne è stato di Brady, anche se trovate tutto nella sinossi. Non voglio togliervi il piacere di scoprire cosa è successo dopo. Quello che è certo, e che posso anticipare, è che si tratta di un incubo agghiacciante che prende forma poco alla volta. L’Assassino della Mercedes non ha terminato la sua opera, ma eravamo solo agli inizi del suo personalissimo show. I suoi deliri mentali non sono cessati, ma hanno assunto una nuova forma, ancora più inquietante e praticamente impossibile da arginare. I suoi istinti malati si sono amplificati e diffusi traendo forza da una sorta di ipnosi collettiva, la mente di Brady ora non è più solo sua, ma si sta propagando come se fosse un virus infettivo….Le nuove tecnologie, i computer, gli aggeggi informatici di nuova e vecchia generazione, internet ed i social network: tutto contribuisce a potenziare la forza distruttiva di Brady.
Il detective Hodge ancora una volta si rimetterà a caccia, perché da anni non riesce a placare l’ossessione che nutre nei confronti dell’assassino della Mercedes. Tutto, ancora una volta, riconduce a lui. Non sembra possibile e nemmeno logico, ma è come se gli anni passati a dimenticare quello psicopatico non fossero serviti a nulla. Un tarlo invincibile, che scava nella sua mente e non gli da tregua. Insieme a lui ritroviamo ancora una volta i suoi improvvisati compagni di avventura, Jerome e Holly. Tra di loro ormai si è creato un forte legame, che va oltre il rapporto lavorativo in senso stretto: come le dita di una mano, sono sempre pronte ad aiutarsi l’un l’altro, parti integranti di una famiglia costruita sui sentimenti e non sul sangue. Holly è ormai diventata socia a tutti gli effetti dalla “Finders Keepers”, la microscopica agenzia di cacciatori di taglie nata all’epoca della strage, che non ha permesso ad Hodge di godersi la sua pensione. La Finders Keepers, che Holly cura con instancabile solerzia e meticolosità, ha ributtato a capofitto il Det.Rip. nel lavoro, anche se a dire il vero non ha mai avuto una reale intenzione di ritirarsi: l’idea della sua nuova vita da pensionato lo stava letteralmente uccidendo, esattamente come aveva intuito Brady.
Per entrambi è giunto il momento di porre fine a questo lungo inseguimento. Hodge e Brady rappresentano il bene ed il male che duellano fino all’ultimo decisivo scontro, simboli anomli di questo eterno conflitto, perchè non rispecchiano affatto l’immaginario collettivo: Hodge non è un supereroe e Brady non ha le sembianze di uno spietato serial killer. La linea di confine non è mai così netta. Il male che si insinua nella normalità delle nostre vite, trasformandole in autentici incubi ad occhi aperti, è un tema caro all’autore ed in questo romanzo lo ritroviamo con una sorprendente forza espressiva, anche se il thriller è un genere che non gli appartiene. Dietro i personaggi che King mette in scena c’è sempre un’accurata indagine psicologica, un’analisi delle fragilità umane lucida ed attenta che subito mette in sintonia il lettore con la storia. Se l’autore ha un dono, è proprio questo. Non sa creare solo storie perfette, che tengono incollati alle pagine con un misto di ansia e di bramosia, ma riesce a toccare attraverso le parole la parte più nascosta di noi, scivolandoci sopra con decisione e dolcezza, proprio come un pianista che sta componendo una melodia. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono commossa, leggendo una delle sue storie. O che mi sono indignata, arrabbiata, divertita. Ho provato tutte le emozioni del mondo da quando lo conosco, ed è successo anche con il detective Hodge e la sua strampalata squadra. Ancora una volta King ha compiuto questa specie di prodigio letterario, e se pensate che io stia esagerando, beh…allora provate a leggere Il Miglio Verde, Stand by me, oppure It…e poi ne riparliamo. Molti suoi estimatori lo hanno criticato per i suoi ultimi lavori perchè, probabilmente, i suoi pesonaggi hanno perso smalto. I “cattivi”, così dice qualcuno, sono meno convincenti rispetto ai bei vecchi tempi, quando tutti noi (nessuno escluso) avevamo una paura folle dei pagliacci e degli hotel fatiscenti. Forse è vero, probabilmente Brady Hartsfield non ci fa tremare le viscere quando lo incontriamo leggendo, ma per quanto mi riguarda io baso il mio giudizio su altri parametri: la scrittura, signori. Le sue parole sono come un vortice, mi hanno risucchiata e gettata nell’anima di una storia stupefacente, eppure così dannatamente legata alla realtà.
Cosa c’è di più importante?

Paola Castelli

Finders Keepers (Bill Hodges Trilogy #2) – Stephen King #StephenKing

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Finders Keepers (in italiano Chi perde paga; ma perchè? why? WHY) è il secondo libro di una trilogia di King in cui il Re si cimenta con il poliziesco, con risultati non proprio proprio PROPRIO brillantissimi. Il primo della serie è Mr. Mercedes, che mi era anche piaciuto ma senza lasciarmi ansia di cominciare il secondo. Così ho fatto passare un po’ di tempo, ma ormai di King ho letto tutto, e quindi a noi due, cara la mia trilogia. La buona notizia è che per tutta la prima metà il libro mi è piaciuto veramente, ma proprio tanto. Poi, ahem.

I tre romanzi di questo ciclo hanno per protagonisti un trio di amici per caso: un detective in pensione, Bill Hodges; un ragazzo molto sveglio figlio dei suoi vicini, Jerome; e una loro amica very nerd con la sindrome di Asperger, Holly. Nel primo libro lo Scooby trio riusciva a sconfiggere sul pelo dell’ultimo minuto secondo un pazzo bastardo serial killer, sul quale Hodges stava indagando da anni, prima ancora di andare in pensione. Qui la storia si sposta completamente: il romanzo si apre con Mr. Rothstein, un Grande Scrittore Americano studiato nelle scuole e nei corsi di letteratura di tutto il Paese, famoso per aver dato vita negli anni ’60 a un ciclo di romanzi con protagonista un giovane ribelle senza causa, incarnazione per tutte le generazioni a venire della disillusione e del disincanto dei gggiovani d’oggi, che non si chiama Holden ma Jimmy Gold. Da lì il grande autore non ha più scritto nulla, ritirandosi dalle scene. Entra in scena un pazzo bastardo fan marcio malato di Jimmy Gold, che non perdona all’autore di aver rovinato -secondo la sua testa bacata-  il suo eroe, che nell’ultimo romanzo diventa adulto, va a lavorare, paga le bollette e compra casa. Cioè si vende, si imborghesisce, commette il massimo tradimento possibile verso il giovane che era, e verso tutti i giovani che rappresenta. Siccome questo succede negli anni 70, il matto bastardo non può andare a pazziare il suo disagio sui social trovando conforto negli altri scemi del paese come lui, così una sera si introduce in casa dello scrittore ottantenne, lo rapina, e lo ammazza (non sto spoilerando, succede tutto nelle prime venti righe di apertura). Il vero tesoro frutto del crimine non sono in realtà i soldi, ma un centinaio di blocchi Moleskine, vergati fitti fitti dalla scrittura del Grande Scrittore, che contengono tutto quello che ha prodotto in vent’anni di silenzio. Il pazzo bastardo non vede l’ora di mettersi a leggere, perchè ha intravisto in uno dei blocchetti il nome di Jimmy, e sa che quindi c’è un sequel del suo eroe. Ma non riuscirà a leggerlo: fa appena in tempo ad arrivare a casa e nascondere la refurtiva, quando lo arrestano  per un altro suo crimine, e viene sbattuto in carcere per trent’anni. Nei primi anni del 2000, venticinque anni dopo, un ragazzino di nome Pete, i suoi genitori e la sua sorellina si trasferiscono nella casa dove un tempo abitava il pazzo bastardo, che langue in carcere sperando in un’amnistia, sognando di prendere in mano i Moleskine. La famiglia di Pete sta attraversando tempi molto duri, il padre ha perso il lavoro e ha subito un grave infortunio, la crisi impera, i debiti sono schiaccianti, e per le preoccupazioni i genitori si scannano quotidianamente. Un giorno, per puro caso, Pete incappa nel baule che contiene ancora i Moleskine, e i soldi della rapina: userà questi per aiutare la famiglia a risollevarsi, e leggerà tutti i diari, diventando un lettore accanito, un bravo studente, amante della letteratura, e di Jimmy Gold in particolare. Passa qualche anno, e il pazzo bastardo esce di prigione. I due fan di Jimmy Gold sono, capiamo con raccapriccio e intima delizia di lettori, su una rotta di collisione destinata a scontrarsi. E’ a questo punto, alla metà del libro, che entra in scena lo Scooby trio, tirato pure per i capelli, e si sente. Innanzitutto la storia, che ha progredito per 250 pagine a un buon ritmo, costruito su una certa suspense laddove capiamo che inevitabilmente i due dovranno affrontarsi, si ferma. Perchè per far sì che questo romanzo stia in piedi come opera autonoma, King deve spiegare chi sono ‘sti tre nuovi figuri a chi è un lettore occasionale, e anche giustificarne la presenza nella storia, cosa che viene fatta in modo raffazzonato a dir poco. Poi il loro intervento è praticamente inutile, se non fastidioso: tutta la trama fino a questo punto è strutturata sui personaggi di Pete e del pazzo bastardo, due figure opposte in tematiche e carattere, di cui sappiamo tutto. Quando arriva lo Scooby trio, si cerca di inserire un elemento mistery con loro tre che indagano per capire quale sia il problema nello specifico, e per fare questo, mentre il pazzo è uscito di prigione e cerca i Moleskine, o meglio chi glieli ha rubati, con noi che ci mangiamo le unghie sperando che Pete vada alla polizia, i tre inanemente vagano chiedendo cose e facendosi domande su questioni di cui noi sappiamo già tutto, una roba assolutamente inutile e frustrante. La fine della storia ha una certa grazia, ed è propedeutica alla lettura del terzo libro; ma la trama dalla seconda metà del libro si ammoscia come una omelette brusciata da entrambi i lati.

King ha dichiarato di aver voluto provare a cimentarsi con questa trilogia nel genere del crime fiction, e di averlo trovato insolitamente difficile da gestire. Meno male che se lo dice da solo, via. Il Re ha un dono per raccontare storie che si sviluppano su un arco narrativo lungo a volte anni; è un narratore lento, che si prende il suo tempo, e fa bene. Il ritmo di un thriller ben fatto è costipato, spesso compresso in poche ore; e credo che, semplicemente, King non abbia questa marcia di racconto. Soprattutto, non credo possa trovarla alla sua età, e dopo tutto quello che ha scritto. Non è detto, eh. Ma per ora, comunque, non ce l’ha.

Spettacolarmente affascinanti in questo libro, comunque, sono i momenti in cui il Re scrive di libri, letteratura, e lettori. E’ una cosa che ha fatto sovente nei suoi romanzi, parlando con lirismo e sincerità sia dell’atto della creazione e della scrittura, sia della ricezione da parte del lettore. Soprattutto, riconosce in entrambi gli aspetti della questione una particolare forma di magia, che a volte, essendo King, implica anche un certo grado di wodoo, che ve lo dico a fare.

Con il pazzo bastardo di Finders Keepers, il Re ha creato forse uno dei suoi peggiori incubi, un fan che crede di possedere il personaggio, e diventa violento nel momento in cui giudica l’autore colpevole di aver trattato male il suo eroe. E’ ovvio che venga in mente Annie Wilkes di Misery, in questo senso; ma Annie capiva che il suo personaggio preferito era, appunto, la creazione della mente di un autore,  della quale voleva solo controllare la storia riscrivendola a suo gradimento. Qui il pazzo si identifica con Jimmy Gold, vedendolo come una persona reale che subisce un torto, e si fa carico di raddrizzare questa ingiustizia punendo il colpevole, l’autore. Al tempo stesso contrasta con Pete, che è il lettore sano, quello che è contento di lasciarsi guidare dalla magia dello scrittore ovunque questa lo porti, che è felice di immergersi nel piacere della parola scritta, e che soprattutto rispetta e stima enormemente l’uomo, l’artista, che possiede il dono della scrittura.

Finders Keepers non è un brutto libro, è a tratti davvero interessante, e a volte noioso e prevedibile, che non è proprio la massima critica possibile, parlando di un thriller. E’ comunque un King più che decente, ma siamo sempre lì: se avete letto tutto del Re, sapete cosa può fare. E quando non lo fa, un po’ di delusione c’è sempre. Lo consiglio solo a completisti Kinghiani.

Lorenza Inquisition