La città dei ladri – David Benioff #DavidBenioff #BEAT #Stalingrado

*Un libro che hai letto veramente veramente in fretta perchè ti è proprio piaciuto

“I cardini degli scuri nel caffè bombardato all’angolo sotto casa smettono di cigolare per qualche secondo di puro terrore, come se un predatore si stesse avvicinando e gli animali si fossero zittiti per la paura.”

La città dei ladri – David Benioff

Traduttore: Marco Rossari
Editore: BEAT 
Collana: BEAT
È l’inverno del 1941 a Leningrado. La città è sotto l’assedio delle truppe tedesche e i suoi abitanti non hanno mai patito tanta fame. Per Lev, diciassette anni, naso grosso e capelli neri, e Kolja, giovane cosacco con la faccia impertinente, la fame, tuttavia, è ben poca cosa rispetto a quello che li aspetta. Lev ha rubato il coltello a un paracadutista tedesco morto assiderato e Kolja ha avuto la brillante idea di disertare. Reati gravissimi in tempo di guerra, per i quali la pena prevista è una sola: la fucilazione. Dopo qualche giorno trascorso in un cupo carcere sulla Neva, i due si ritrovano al cospetto di un colonnello dal collo taurino e le stelle ben in vista sulle mostrine. Il colonnello dapprima li squadra, poi li invita a seguirlo fino ai margini del fiume. Sulla Neva ghiacciata una ragazza, capelli corvini legati in uno chignon morbido, pattina esibendosi in piroette strette e veloci. È sua figlia e sta per sposarsi. Un matrimonio vero, alla russa, con musica e danze e… un solo problema: la torta nuziale. Ci sono lo zucchero, il miele, la farina e tutti gli altri ingredienti, ma mancano le uova, una maledetta dozzina di uova introvabili in tutta Leningrado per gli eroici soldati dell’Armata Rossa, ma non forse per una volgare coppia di ladri…

Un gran bel romanzo dove la narrazione si snoda in modo davvero avvincente, descrivendo con uno stile vivido le strampalate vicende di due amici nel pieno di quella terribile pagina di storia che fu l’assedio di Stalingrado.
Lev e Kolja accompagnano il lettore nei borghi di una città distrutta, in mezzo alla neve, alle campagne, affamati, privi di qualsiasi cosa, in balia di pericoli costanti.
Un mondo in cui le imprese più assurde diventano questione di vita o di morte. in un
a meta narrazione in cui l’autore, il famoso Benioff de La venticinquesima ora, riporta e romanza i fatti avvenuti a suo nonno Lev durante la seconda guerra mondiale, nella Russia occupata dai nazisti.

“Avevo diciassette anni ed ero un incosciente. Così mi fidai di lui.”

Lev incontra in carcere il giovane disertore, cosacco e quasi perfetto ariano Kolja, al cui destino viene legato da una stravagante richiesta del colonnello delle NKVD.
Una storia di guerra senza la pesantezza delle storie di guerra, in cui le atrocità si mescolano agli episodi di vita, in cui tutto si intreccia, odio, avventura, ironia, e una certà levità dei due sbarbatelli pietroburghesi nell’epica ricerca di un lasciapassare per non essere giustiziati per crimini minori dai propri compatrioti, sullo sfondo dell’incombente invasione nazista.

“Da lontano sembrava uno spettacolo meraviglioso e pensai a quant’era strano che la violenza spesso fosse così bella da guardare, come i proiettili traccianti di notte.”

Un patto col diavolo, un viaggio picaresco nella San Pietroburgo assediata alla ricerca di dodici uova con cui ottenere l’immunità, tra sciacalli, cannibali, cecchini mozzafiato, menadi danzanti, pattinatrici sul ghiaccio, scacchisti dal sangue freddo e la diabolica ombra della Einsatzgruppen che si estende oltre la linea della Russia occupata.

“In tempo di pace, passeggiando sulla Nevskij, non l’avrei mai notata, ma adesso una ragazza cicciottella sembrava qualcosa di tremendamente esotico. Qualche uomo potente la amava e le dava da mangiare.”

Ci sono passaggi spettacolari che impediranno a qualsiasi lettore dotato di buon senso di chiudere il libro, colpi di scena alla Shonda Rhimes (Benioff è uno scrittore prima di tutto sceneggiatore, e si vede) (ma è comunque scrittore di razza), nelle ultime dieci righe del capitolo che costringeranno gli occhi stanchi a voltare pagina e cominciare il capitolo seguente.
Benioff è uno scrittore che si impone e che dimostra il suo talento sapendo con sorprendente semplicità cambiare stile, portando il frutto di ricerche storiche rendendolo sangue vivo nelle vene ormai aride di un genere che non ha ancora finito di raccontare quello che aveva da dire.

Storicamente accurato, ben raccontato, molto emozionante. Molto consigliato!

Stefano Lillium

Il movimento dei sogni – Eleonora Calesini / Debora Grossi #EleonoraCalesini #LAquila #DeboraGrossi #FandangoLibri

Un romanzo autobiografico che, a dieci anni dal terribile terremoto che ha sconvolto il capoluogo abruzzese, ci riporta indietro nel tempo con una scrittura lucida e delicata, un’elaborazione del lutto vitale, fresca, che racconta come si possa tornare alla luce dopo aver visto il nero tutto intorno.

Il movimento dei sogni -Eleonora Calesini, Debora Grossi

Ieri ho ascoltato le autrici alla presentazione ufficiale del libro e sono tornata a casa con il volume che mi bruciava tra le mani. Stamattina, contro il buon senso che mi avrebbe imposto di fare altro, l’ho cominciato – solo un capitolo, dai – e l’ho appena finito.
Ci sono molti momenti in cui il libro ti frega – sembra un romanzo, e invece è la vita. Sale l’angoscia, scoppia la tragedia e la tua suspension of disbelief va in corto circuito perché quel coinvolgimento che generalmente ti porta a piangere della finzione romanzesca consapevole che l’emozione è indotta e in effetti nulla è successo, qui ti agguanta senza pietà proprio perché il racconto parla della disperazione attraverso cui sono passati i personaggi del libro, che sono persone vere.
La storia è quella di Eleonora Calesini, estratta dalle macerie della casa in cui viveva con le compagne d’università 42 ore dopo che il terremoto l’aveva ridotta in briciole.
Il racconto comincia in effetti sui colli romagnoli: Elly racconta la partenza per L’Aquila, la città dove studia all’Accademia del Cinema, dopo aver festeggiato il suo ventesimo compleanno. La settimana che si snoda da quel momento precede la data nefasta che tutti ricordiamo, quel 6 aprile di dieci anni fa, ed è una settimana da studenti, fatta di momenti di studio che si alternano a momenti di svago e costellata dai brividi di paura indotti dallo sciame sismico che aveva preceduto la scossa disastrosa nel cuore della notte. La prima parte del racconto si chiude a Lanciano, dove Eleonora e gli amici riescono a distrarsi per un pomeriggio davanti al mare, lontani dai libri e dall’irrequietudine indotta dalle scosse di terremoto intermittenti.
Nella seconda parte del libro Elly sparisce, la narrazione passa alla terza persona e il punto di vista che assume è quello delle persone che dopo il terremoto la cercano, che l’aspettano, che si mangiano le mani per non averla trascinata fuori da quella casa quando avrebbero potuto – suo padre, suo zio, il capo della squadra di Urban Search and Rescue del Veneto, sua madre, le compagne di casa assenti al momento del crollo.
Nella terza parte Eleonora, che torna a parlare in prima persona, affronta i suoi fantasmi e si riappropria dei suoi sogni, che sono quelli di una giovane videomaker capace anche di evocare emozioni con le parole.
È un libro che parla soprattutto di amicizia e di sogni e la domanda che serpeggia nella prima parte del racconto si concretizza solo nella nota di Eleonora in coda al libro: perché vennero chiuse le scuole di ogni ordine e grado ma non l’Università? Quanti studenti si sarebbero potuti salvare se fossero stati tutti indotti a tornarsene a casa? Quanti sogni avrebbero potuto realizzare se fossero stati altrove alle 3.32 di quella mattina?
E un’ultima cosa: nonostante il peso di quel che racconta, questo libro ha una leggerezza piena di grazia – non trovo altra espressione. È un percorso verso la luce, verso i colori, fuori dal silenzio senza appello.

«Sorrido a quello che ho davanti. Al futuro. Un futuro che per quarantadue ore non ho più visto, a cui per sei anni non ho voluto credere, che per duemilacentonovanta mattini non ho voluto incontrare. Sorrido al futuro, quello dei miei film preferiti, quello della lotta tra il male e il bene, quello che ferocemente mi sono ripresa, quello che crudelmente è stato strappato ad altri. Sorrido a chi questo futuro non lo vivrà. Lo vivrò due volte, con più passione. Lo sognerò più di prima. Sorrido a chi mi darà sempre la forza per affrontarlo anche nell’oscurità.»

Maria Silvia Riccio