Lucky – Alice Sebold #AliceSebold #Lucky @EdizioniEO

(Edizioni E/O, 2018, pp. 320, trad. Chiara Valeria Letizia)

Stupro. Non ci si può girare intorno, non si può edulcorare.La Sebold non lo fa, non ha la minima intenzione di farlo, colpisce diretta, senza giri di parole, scrive in maniera chirurgica di se stessa e di tutto quello che ha dovuto subire, lei è la vittima, lei ha patito, lei è morta dentro in quel momento e sempre lei, da sola, ha provato a venirne fuori, e la prima mossa, il primo passo per farlo, è stato quello di dare una definizione alla cosa, l’unica possibile.“Nessuno ti può tirare fuori da nulla. O ti salvi da sola, o non ti salvi.”Autobiografia, inchiesta, indagine psicologica, c’è di tutto. Soprattutto c’è un incommensurabile dolore, che costringe a tirar fuori unghie e denti per sopravvivere, per farsi accettare di nuovo da tutti, compresi i tuoi genitori, perché davvero sei sola, dopo uno stupro subito, lo capisci anche dagli sguardi. La vera lotta della Sebold è far capire di essere vittima, una lotta durata anni, probabilmente tutta la vita. Non bastano le prove evidenti, la gente ti indica, ti scansa, ti compatisce come se avessi comunque commesso un errore tu. Una lotta partita un secondo dopo la violenza, proseguita durante un processo che, nonostante le evidenti prove, costringe la vittima a dimostrare al mondo di essere davvero vittima e non, in qualche modo, colpevole. E lo vediamo ogni giorno, questo ribaltamento della realtà. Il romanzo è il racconto di un incubo nerissimo, una galleria buia che ti artiglia e non vuole restituirti alla luce. Ho letto le pagine in cui descrive la violenza subìta fermandomi più volte, mi sono scoperto anche a coprire le righe con le dita, o a guardare in alto più volte, interrompendo la lettura…non posso avere idea di quello che ha sofferto, ma lei lo ha descritto in modo mirabile. Ma le vere riflessioni le scatena dopo, quando descrive la sua vita seguente, dopo quella morte psicologica nasce un’altra persona, staccata dal mondo, e che nel mondo deve e cerca di rientrare e di esserne accettata, accolta.

“Dopo la pubblicazione di Lucky, quando la mia storia divenne di pubblico dominio, e soprattutto dopo l’uscita diAmabili resti, cominciai a entrare in contatto con uomini e donne, ragazze e ragazzi, che erano stati violentati o molestati, e rimasi travolta dai loro racconti e dall’enorme quantità di lettere che ricevevo, contenenti resoconti dettagliati di stupri e incesti. Senza volerlo, avevo creato uno spazio in cui chi aveva subìto una violenza sessuale poteva raccontare la propria storia. E per molti io ero la prima persona a cui l’avessero mai raccontato. Le rivelazioni affrettate durante le code per gli autografi, le lunghe, fittissime lettere battute a macchina e, forse perfino più toccanti, le calligrafie ancora infantili sui fogli a righe contenevano spesso la frase: «Quello che è successo a me non è nulla in confronto a ciò che è capitato a te». Eppure i racconti di abusi sessuali che seguivano mi parevano spesso molto più tremendi della mia vicenda. Ricevetti un numero scioccante di lettere da parte di ragazze e ragazzi abusati da familiari, convinti che a me fosse accaduto di peggio perché ero stata violentata da uno sconosciuto. Un’ulteriore prova, nel caso ce ne fosse bisogno, di come uno stupratore può violentare non solo il corpo ma anche la mente.

Ora capisco che “quello che è successo a me non è nulla in confronto a ciò che è capitato a te” fa parte di un modello di pensiero che entra in azione negli istanti immediatamente successivi all’aggressione. Se ti spingono a fondo sott’acqua fai qualunque cosa pur di tornare in superficie e inspirare più aria che puoi per sopravvivere. Compreso sminuire o attenuare la gravità dell’esperienza subìta per prendere le distanze dall’orrore e, in alcuni casi, dall’aver rischiato la morte. La polizia disse che ero stata fortunata perché non mi avevano uccisa; mio padre disse che era contento che fosse successo a me e non a mia sorella perché secondo lui io ero più forte. Ed ecco un’altra frase ricorrente: «Sono contento che mi sia capitato perché altrimenti non sarei la persona che sono oggi». Questa è un’affermazione comune tra i sopravvissuti a una guerra, al cancro, tra coloro che sono rimasti orfani dopo una calamità naturale o paralizzati a causa di un incidente d’auto. E, per molto tempo, l’ho ripetuta anch’io. L’amara verità è questa: se potessi avere una gomma magica e cancellare quella notte del 1981, lo farei in un batter d’occhio, e se potessi dire a qualunque ragazza o ragazzo violentato da un parente che rispetto a lui o a lei sono stata davvero fortunata, lo avrei già fatto. Ma tutto ciò che potevo fare era scrivere un libro e raccontare una singola storia.Sfortunatamente non c’è modo di ricominciare daccapo, e dopo essersi salvati la sfida più grande rimane vivere con la consapevolezza della vita che ti hanno sottratto.

”Musica: Why Does My Heart Feel So Bad? – Moby https://www.youtube.com/watch?v=4fSWe6SHma0

Carlo Mars

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Alice Sebold, Amabili resti

“Mi chiamavo Salmon, come il pesce. Nome di battesimo: Susie. Avevo quattordici anni quando fui uccisa, il 6 dicembre del 1973”.

Amabili-resti

E da dove si trova ora, in un qualche Cielo, Susie continua a osservare la vita dei suoi genitori, dei suoi fratelli, dei suoi amici e dell’uomo che l’ha uccisa. Non è ancora pronta a lasciarli andare così come loro non sono pronti a lasciare andare lei. Diventa un soffio, quel soffio leggero che a volte ti accarezza la nuca e non sai da dove arrivi. Una mano che sfiora, un alito di vento, un’ombra appena percettibile, un momento: lì, forse, stanno le persone che abbiamo amato e che se ne sono andate. Impercettibili ma presenti.
E’ un giallo insolito perché il colpevole ci viene svelato a pagina 3.
E’ il rimpianto di ciò che non sarà più possibile, il dolore di un figlio strappato brutalmente, un futuro che non esisterà mai: come si può sopravvivere?
La Sebold ha un modo molto personale di parlare di violenza e di distacco, avendo vissute queste esperienze in prima persona, raccontandole in modo magistrale, brutale e senza filtri nel libro “Lucky”.
Di questo libro ho apprezzato molto la prima parte, meno la seconda con una conclusione che mi è sembrata un po’ forzata.
Uno dei rari casi in cui posso dire: mi è piaciuto di più il film.

Anna LittleMax Massimino