Il Racconto d’Inverno- William Shakespeare

“Com’era giusto il mio sospetto! E quanto esatto il mio giudizio!
Ahimè, avessi conosciuto di meno!
Quanta maledizione in questa conoscenza!
Nella coppa può essere caduto un ragno: uno può bere e andarsene ma senza assorbire il veleno (la sua conoscenza non essendo infetta).
Ma se qualcuno mostra al suo occhio l’aborrito ingrediente, facendogli conoscere ciò che ha bevuto, ecco che gli spacca la gola, i fianchi, con sussulti violenti.
Io ho bevuto. E ho visto il ragno.”
Leonte-Atto secondo- scena prima

winter

Questa volta il caro William non mi ha entusiasmato tantissimo. “Il Racconto d’Inverno” è una delle ultime opere, è particolare, è “strana”, è stata snobbata un po’ dalla critica per poi essere nuovamente innalzata quando si è cominciato a pensare che forse non era la vecchiaia che faceva scrivere a Shakespeare opere dall’aspetto così “arrabattato” e sconnesso, forse era l’esperienza e una grande consapevolezza del potere del drammaturgo. Forse sì, forse no. Non lo sapremo mai.
A me è piaciuto il finale, che, forse perchè sono ingenua, mi ha davvero stupita. Ma non ho trovato nel testo la stessa bellezza, la stessa forza e intensità che trasudano Macbeth, Il Mercante di Venezia, Enrico V o Amleto e tante altre. Sì, è un racconto “d’inverno”, una stagione di quiete e stasi, dove la vita si ferma fino a raggiungere uno stato di morte apparente di quelli che piacciono tanto al caro William, e quindi non poteva essere una storia scoppiettante con uno stile col botto… però questa sensazione mi ha lasciato l’amaro. Questo secondo me, eh. Inoltre, c’è qualcosa di davvero troppo misogino in questa storia, anche se alla fine tutto si risolve, mi ha disturbato troppo.
Ho scelto quest’opera teatrale perchè domenica andrò al Piccolo di Milano a vedere Donnellan e la sua compagnia che lo mettono in scena in lingua originale (li aspettavo da anni e non vedo l’ora), spero che “visto” mi lasci qualcosa in più.
Comunque il caro William è sempre lì inchiodato sul suo piedistallo e non ce lo scrosta nessuno, per cui 3 sorrisini per il finale e un paio di trovate carine se li becca tutti.

“Questo infatti, rimane pur sempre un ‘racconto d’inverno’, non ilare, non spensierato. E davvero il racconto è percorso da brividi di morte, la scoperta del tempo è anche scoperta di un inevitabile cammino di decadenza. Nella favola variegata e multicolore scopriamo che anche la realtà può essere ambigua e di ardua interpretazione, può ingannare e scatenare il male che vive in noi. Scopriamo che nulla è più stabile nella società, i re possono diventare ‘tiranni’, i pastori ‘gentiluomini nati’; che non c’è un’età dell’oro in cui rifugiarsi, che l’amore è fragile, sottoposto a mille pericoli, se sono il segno della vita che continua e si rinnova, possono essere crudeli e ingrati, e ingannare a loro volta. Tutto questo c’è nel Racconto d’Inverno, come ci sarà nella Tempesta.”- Agostino Lombardo

Selena Magni

Waiting for Godot – Samuel Beckett #AspettandoGodot

godot

E’ innegabile che le opere teatrali vadano esperite nel luogo per cui sono nate, però che fai, non te le rileggi prima di andare?
E’ così che mi sono trovata a riprendere in mano il capolavoro del teatro dell’assurdo del caro Beckett, studiato decenni fa.
C’è una miriade di temi in soli due atti, dal linguaggio semplice e ripetitivo: solitudine, sofferenza, aridità, incomunicabilità, amicizia, dipendenza, avidità, violenza, schiavismo, immobilità, oppressione, religione, paura, dolore ma anche e soprattutto speranza. La speranza che fa tornare Estragon e Vladimir nello stesso posto, accanto all’albero spelacchiato, tutti i giorni. La speranza che possa esserci un mondo migliore, libero da condizionamenti e oppressori. La speranza che possa esistere una vita migliore in cui non c’è bisogno di intrattenersi in attesa di qualcosa o qualcuno.
Di certo le puntuali descrizioni esterne ai dialoghi aiutano ad immaginarsi le azioni che compiono i protagonisti sulla scena, ma sono proprio quelle reiterazioni, la mimica e la gestualità che lo rendono “assurdo” e che vanno viste dal vivo per amplificarne ulteriormente il senso. Teatro che al giorno d’oggi tanto assurdo non è più, almeno dal punto di vista delle tematiche che affronta. Forse assurdo nella modalità in cui vengono proposte, ma che fa riflettere ancor più sullo stato attuale della società, tutta.

Owlina

DESCRIZIONE

Aspettando Godot (in francese En Attendant Godot, in inglese Waiting for Godot) è la più famosa opera teatrale di Samuel Beckett.

Viene associata al teatro dell’assurdo, ma va specificato che non esiste alcun genere teatrale o movimento artistico così denominato. Il termine fu infatti coniato da Martin Esslin in un suo saggio in cui trova alcuni punti in contatto con le opere di diversi drammaturghi tra cui, oltre lo stesso Beckett, Ionesco, Adamov, Genet e altri ancora. Non vi furono manifesti, progetti, movimenti e scuole denominate “teatro dell’assurdo”.

Dramma costruito intorno alla condizione dell’attesa, Aspettando Godot venne scritto verso la fine degli anni quaranta e pubblicato in lingua francese nel 1952, cioè dopo la seconda guerra mondiale, in un’epoca post-atomica. La prima rappresentazione si tenne a Parigi nel 1953 al Théâtre de Babylone sotto la regia di Roger Blin, che per l’occasione rivestì anche il ruolo di Pozzo. Nel 1954, Beckett – autore irlandese di nascita – tradusse l’opera in inglese.