Samuel Beckett – Aspettando Godot

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Non l’ho capito tanto. E poi non sarei mai così audace da recensire Beckett.
Mi è rimasta solo una frase:
“Troviamo sempre qualcosa per darci l’impressione di esistere”, lo domanda Vladimiro a Estragone. Non avrò capito molto, ma questa attesa frustrata da riempire, in cui le giornate procedono tutte uguali una come l’altra, in cui ci dimentichiamo del tempo che passa per non pensare al l’angoscia del tempo passato senza aver vissuto la propria vita, fa tanto Dino Buzzati.

Stefano L.

“Non c’è da meravigliarsi che, uscendo dal teatro, la gente si chieda cosa diavolo ha visto. In casi come questo si finisce sempre per attribuire all’autore un preciso disegno simbolico, e si rigira il testo pezzo per pezzo, battuta per battuta, cercando di ricostruire il puzzle. Si ha l’impressione che Beckett, a casa sua, stia ridendo malignamente alle nostre spalle, mentre con una semplice intervista alla televisione potrebbe chiarire ogni cosa. Diremmo subito che, a nostro parere, pretendere a tutti i costi questo “sesamo apriti” non ha senso. Stabilire se Godot è Dio, la Felicità, o altro, ha poca importanza; vedere se in Vladimiro ed Estragone la piccola borghesia che se ne lava le mani, mentre Pozzo, il capitalista, sfrutta bestialmente Lucky, il proletariato, è perfettamente legittimo, ma altrettanto legittima è la “chiave” cristiana, per cui tutto, dall’albero che si trova sulla scena, e che dovrebbe rappresentare la Croce, alla barba bianca di Godot, si può spiegare Vangelo alla mano”. (Carlo Fruttero)

Waiting for Godot – Samuel Beckett #AspettandoGodot

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E’ innegabile che le opere teatrali vadano esperite nel luogo per cui sono nate, però che fai, non te le rileggi prima di andare?
E’ così che mi sono trovata a riprendere in mano il capolavoro del teatro dell’assurdo del caro Beckett, studiato decenni fa.
C’è una miriade di temi in soli due atti, dal linguaggio semplice e ripetitivo: solitudine, sofferenza, aridità, incomunicabilità, amicizia, dipendenza, avidità, violenza, schiavismo, immobilità, oppressione, religione, paura, dolore ma anche e soprattutto speranza. La speranza che fa tornare Estragon e Vladimir nello stesso posto, accanto all’albero spelacchiato, tutti i giorni. La speranza che possa esserci un mondo migliore, libero da condizionamenti e oppressori. La speranza che possa esistere una vita migliore in cui non c’è bisogno di intrattenersi in attesa di qualcosa o qualcuno.
Di certo le puntuali descrizioni esterne ai dialoghi aiutano ad immaginarsi le azioni che compiono i protagonisti sulla scena, ma sono proprio quelle reiterazioni, la mimica e la gestualità che lo rendono “assurdo” e che vanno viste dal vivo per amplificarne ulteriormente il senso. Teatro che al giorno d’oggi tanto assurdo non è più, almeno dal punto di vista delle tematiche che affronta. Forse assurdo nella modalità in cui vengono proposte, ma che fa riflettere ancor più sullo stato attuale della società, tutta.

Owlina

DESCRIZIONE

Aspettando Godot (in francese En Attendant Godot, in inglese Waiting for Godot) è la più famosa opera teatrale di Samuel Beckett.

Viene associata al teatro dell’assurdo, ma va specificato che non esiste alcun genere teatrale o movimento artistico così denominato. Il termine fu infatti coniato da Martin Esslin in un suo saggio in cui trova alcuni punti in contatto con le opere di diversi drammaturghi tra cui, oltre lo stesso Beckett, Ionesco, Adamov, Genet e altri ancora. Non vi furono manifesti, progetti, movimenti e scuole denominate “teatro dell’assurdo”.

Dramma costruito intorno alla condizione dell’attesa, Aspettando Godot venne scritto verso la fine degli anni quaranta e pubblicato in lingua francese nel 1952, cioè dopo la seconda guerra mondiale, in un’epoca post-atomica. La prima rappresentazione si tenne a Parigi nel 1953 al Théâtre de Babylone sotto la regia di Roger Blin, che per l’occasione rivestì anche il ruolo di Pozzo. Nel 1954, Beckett – autore irlandese di nascita – tradusse l’opera in inglese.