l complesso residenziale di Revolutionary Hill non era stato progettato in funzione di una tragedia. Anche di notte, come di proposito, le sue costruzioni non presentavano ombre confuse né sagome spettrali. Era invincibilmente allegro: un paese dei balocchi composto da casette bianche e color pastello, le cui ampie finestre prive di tende occhieggiavano miti in un intrico di foglie verdi e gialle.
Prendete una bella e giovane coppia, entrambi con desideri di essere oltre la mentalità piccolo borghese, leggermente intellettuali, un po’ snob, due bambini piccoli (praticamente bambolotti, educati, puliti, silenziosi) una sonnacchiosa, mite periferia americana, primi anni 50, prendete alcolici, sigarette, colori pastello, case linde, profumi di arrosto in forno, cosa vedete?
Il sogno americano, iconografia classica di un mondo che hanno cercato di farci sognare. Una storia comune. Vite reali, improntate a procedere su luoghi comuni, circondati dalle illusioni che crescono giorno dopo giorno, arrivando al punto fermo dove non si può tornare indietro.
Adesso prendete il tutto e mettete un muro tra quello che leggete e quello che siamo, altrimenti il rischio di restare impantanati nella storia, nei personaggi di Frank ed April, così reali, così attuali, così vicino, così tristemente dolorosi.
Vite che trasudano routine, il desiderio di uscirne, uscirne vivi, quanto può essere pericoloso seguire un sogno, sapendo che è un’illusione?
“Non possiamo continuare a fingere che è la vita che volevamo. Avevamo dei progetti, tu avevi dei progetti. Guarda noi due: siamo cascati nella stessa ridicola illusione. L’idea che devi ritirarti dalla vita, sistemarti nel momento in cui hai dei figli… era una bugia.”
Libro bellissimo.
Elena Fatichi sotto Yates 2