Marghine – Paolo Pinna Parpaglia @nellogiovane69 #marghine

 – La racconta anche a me la storia di Sisinnio Deidda? – Morto è.

– Anche Luciano, suo marito, è morto.

– A luciano l’hanno morto.

Editore: Edizioni La Zattera
Anno edizione: 2016

 

Ci sono ricascato. Se non altro per il precedente Verità processuale – romanzo d’esordio di Pinna Parpaglia – avevo un alibi: mi era stato caldamente consigliato da un amico, non potevo sottrarmi. Stavolta invece sono io che l’ho voluto. Che me la sono andata a cercare. Quindi, niente scuse, nessun alibi. Torno a ribadire: cerco, per quanto possibile, di tenermi lontano da gialli, thriller, legal thriller eccetera. Perché li trovo fondamentalmente ricattatori, frutto di un algoritmo narrativo da cui preferisco non farmi intrappolare. Un algoritmo prevedibile nella sua determinazione all’imprevedibilità, quindi nella maggior parte dei casi frustrante proprio per come definisce i confini del leggere come avventura. Ovvio che quando poi inizio a leggerne uno, rimango invischiato, soggiogato, rapito. Certo: quando e se sono ben scritti. E Paolo Pinna Parpaglia è uno che scrive bene, sul filo di un’ironia assieme umana e spietata, con le radici affondate nel retaggio popolare sardo e la capacità di mestare nel torbido della memoria rispettandone la tenerezza, l’insidiosa vulnerabilità. Quello che sembra un filo narrativo diventano due, poi tre. Il presente si innesta nel passato, diventa affresco lucido e distorto. I personaggi (in parte – la carnale protagonista, l’evasivo Quirico – ripescati da Verità processuale) mantengono quell’aria vagamente macchiettistica che di colpo sa diventare cruda e persino crudele. Le trecentosessanta pagine scorrono agili, col particolare che le ultime cento si leggono in apnea. Per tutto ciò, non manca nulla. Proprio nulla. Conclusioni: dopo il primo romanzo di Pinna Parpaglia pensavo che fosse già tranquillamente al livello dei Vichi e dei Malvaldi. Questo Marghine testimonia una crescita sensibile. Traete voi le conclusioni.

Stefano Solventi

Torto marcio – Alessandro Robecchi #AlessandroRobecchi #Sellerio #recensione

Reduce dall’impegno con la tragica famiglia Karamazov, mi sono concesso una necessaria pausa distensiva con il quarto episodio della serie di Alessandro Robecchi, dedicato al suo eroe (quasi) alter-ego Carlo Monterossi, autore televisivo di professione e investigatore per caso nella Milano contemporanea. Non ho sbagliato scelta, perché questo è un signor romanzo “social-noir”, forse il migliore scritto finora da Robecchi, a sua volta autore televisivo oltre che scrittore teatrale e giornalista ( è anche nel team di autori del fuoriclasse Maurizio Crozza).

Il suo protagonista ha inventato una trasmissione – Crazy Love – che è stata l’innesco di quella TV del dolore e degli affetti fasulli che vediamo celebrata dalle varie barbare e marie immacolate (nel libro rappresentate dalla conduttrice Flora De Pisis). Ormai ampiamente benestante e adeguatamente schifato da questo mondo farlocco, Monterossi si imbatte casualmente in vicende che permettono poi all’autore scorribande per la Milano della borghesia arricchita e dell’emarginazione sociale.
In quest’ultimo lavoro i filoni narrativi sono costruiti con grande abilità su diversi spunti che come sempre partono da indagini molto diverse e distanti: una privata, di Monterossi con il suo fido partner Oscar Falcone e riguardante un furto subito dalla madre della sua agente di straripante dimensione fisica e caratteriale; e l’altra ufficiale, e riguardante tre omicidi in sequenza che sembrano, ma non lo sono, esecuzioni mafiose.
E’ perfetto il cocktail confezionato da Robecchi: personaggi credibili, benissimo definiti e interessanti, humor discreto e mai volgare, citazioni dotte ma non invasive, compresi estratti dai testi delle canzoni di Bob Dylan, grande passione di Monterossi e, naturalmente anche di Robecchi, noto dylanologo. La vicenda poi cuce il presente del disagio sociale nei casermoni attorno a San Siro con il passato difficile della città, quando eravamo sì la Milano da bere ma anche della giustizia ricercata con le armi, in un gorgo in cui finiscono tutti, anche quelli che, per vendicare un passato di ingiustizia, finiscono per avere “torto marcio”.
Chi cerca i thriller che lasciano senza respiro forse non sarà soddisfatissimo perché la fine si intuisce abbastanza agevolmente, ma chi cerca una lettura intelligente e gradevole, e alla fine anche commovente, corra subito a leggersi questo libro, decisamente riuscito. Chi non ha mai letto Robecchi correrà poi a leggersi anche i precedenti.

Renato Graziano