L’insurrezione di Dublino – James Stephens #JamesStephens #MenthaliaEdizioni

Ovviamente saranno sconfitti”, dice la gente. Un’affermazione che suona quasi come una domanda. E poi “Ma si stanno difendendo bene”. Infatti, essere sconfitti non è così grave in Irlanda, ma se non si combatte allora sì che importa.

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Non fatevi trarre in inganno dalla copertina che potrebbe far pensare ad un’apologia delle teorie indipendiste irlandesi, “L’insurrezione di Dublino” – tradotto per la prima volta in italiano a soli cent’anni dalla sua pubblicazione…. – è invece una sorta di instant book (non vi venga in mente Bruno Vespa, percaritadiddio, però…) con cui lo scrittore irlandese James Stephens (noto per lo più per “La Pentola dell’Oro” e alcuni volumi di favole tradizionali celtiche) raccontò in presa diretta l’insurrezione della Pasqua 1916 (iniziata, in realtà, la mattina di Pasquetta).

Una rivolta iniziata tra la sorpresa generale – e non poche perplessità da parte degli stessi cittadini dublinesi – e divenuta invece l’atto fondante della Repubblica Irlandese, voluto da un gruppo di uomini consapevoli sino dall’inizio di essere destinati a divenire i martiri della causa (sfidavano l’Impero Britannico, mica uno scherzo…)

Una cronaca in presa diretta da cui emerge lo sconcerto generale amplificato dalla scarsità delle informazioni (eh, mica c’erano la CNN o internet….) e dalle dicerie più o meno fantasiose (siamo in Irlanda, dopotutto…) che inevitabilmente si susseguirono durante le sei giornate dell’insurrezione.

Con un corredo di aneddoti talvolta addirittura surreali – su tutti l’ufficiale britannico che, non ancora consapevole dell’insurrezione, si presentò tranquillo e beato al GPO, l’ufficio centrale delle Poste nell’allora Sackvile West Street, per spedire delle lettere, ritrovandosi suo malgrado nel quartiere generali dei ribelli – e di vividi ritratti di alcuni cittadini dublinesi incrociati da Stephens nel girovagare tra la strade della città per capire cosa stesse succedendo.

In conclusione, una serie di capitoli di analisi degli eventi, delle cause scatenanti e delle possibili conseguenze forse datati e inevitabilmente condizionati dall’eccessiva vicinanza agli eventi narrati (nella prefazione, Stephens afferma di scrivere l’8 maggio: l’insurrezione ebbe inizio il 24 aprile e la resa definitiva il 30), ma non privi di spunti interessanti.

In appendice, foto, note biografiche dei leader della rivolta e Easter 1916, la poesia che WB Yeats dedicò a quegli eventi (in lingua originale e in traduzione italiana): una terribile bellezza è nata.

… ah, poi la mia copia vintage, stampata nel 1965 (!), del testo originale comprata una quindicina di anni fa in Irlanda in una libreria dell’usato di cui conservo un ricordo più che nitido salvo il fatto di essermi scordato in che città fosse (ah, l’età che avanza, suppongo), ha un altro fascino.

PS: temo di essere un po’ monotematico, di questi tempi. Abbiate pazienza: dovete resistere sino a Pasqua, poi sino al bicentenario nel 2116 la smetto di annoiarvi!

Luciano Re

Le notti al Santa Caterina – Sarah Dunant

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Nell’Europa della seconda metà del 16° secolo le doti si erano fatte così dispendiose che la maggior parte delle famiglie non poteva permettersi di dare in sposa più di una figlia. Le altre sorelle venivano spedite in convento a un costo assai minore. Prendere i voti non era quasi mai gradito dalla ragazze.
Questa vicenda si svolge a Ferrara nel convento di Santa Caterina nel 1570.
A Ferrara i conventi godettero a lungo della protezione degli Estensi, le suore avevano privilegi quali la musica,la lettura, l’uso di utensili e suppellettili volti e rendere la vita migliore. Potevano ricevere i parenti in parlatorio. Alla morte del duca Alfonso che non lasciò eredi, la città passò sotto la guida dello stato pontificio. Anche nei conventi finirono i privilegi, con una rigida riforma della vita claustrale vennero inserite nuove regole, finestre murate, mura di cinta innalzate , fine della musica, lettura, incontri in parlatorio. Scriveva una suora- “molte di noi sono rinchiuse a forza e private d’ogni contatto col mondo. Vivendo di stenti e abbandonare da tutti conosciamo solo l’inferno, in questo mondo e in quello che verrà. ”
Bel libro, molto interessante, poi essendo ambientato nella mia città ,nel monastero dove ogni tanto vado per la bellezza che racchiude, l’ho goduto ancora di più .
In verità il monastero si chiama S .Antonio in Polesine e ospitò anche una dama d’Este divenuta poi santa. Nel luogo dove fu sepolta sgorga tutt’ora un’ acqua di fonte purissima di cui si ignora l’origine.
Essendo io prosaica, ci compro i biscotti delle suore, buonissimi.

Raffaella G.

DESCRIZIONE

È il 1570 e il buio sta calando sul Santa Caterina a Ferrara, uno dei conventi più rinomati della città che, con le elargizioni di ricche e nobili famiglie e i frutti del vasto podere ritagliato all’interno delle sue mura, provvede al sostentamento di un elevato numero di suore, otto o nove postulanti, alcune convittrici e venticinque converse.
Come ogni sera, la sorella guardiana fa il giro dei corridoi misurando lo scorrere del tempo fino a mattutino, due ore dopo la mezzanotte.
È una sera particolarmente agitata questa. I singhiozzi della novizia appena arrivata si odono per tutto il convento. È stata ribattezzata Serafina e avrà quindici o sedici anni. Appartiene a un’illustre famiglia milanese. Per dimostrare il proprio attaccamento alla città di Ferrara, con la quale intrattiene affari lucrosi, il padre ha deciso, come recita la sua nobile missiva, di donare all’insigne monastero la sua figlia «illibata, nutrita dall’amor di Dio e con una voce da usignolo». In realtà, ha ubbidito a un comportamento diventato legge nell’Europa della seconda metà del sedicesimo secolo, in cui le doti si sono fatte così dispendiose da costringere l’aristocrazia a maritare una sola figlia e a spedire le altre in convento. La giovane, avvenente Serafina fa parte appunto di quella metà delle nobildonne milanesi costrette a prendere i voti, non necessariamente di buon grado.
Mentre la novizia strepita nella sua cella, in un’altra stanza suor Benedicta sta componendo il graduale per l’Epifania. Le melodie nella sua testa sono così prepotenti che non può evitare di cantarle ad alta voce. Nessuno, però, la sgriderà all’indomani, poiché le sue composizioni fanno onore al convento e attirano i benefattori.
In una cella non lontana suor Perseveranza è asservita, invece, alla musica della sofferenza. Sta stringendo con forza una cintura irta di chiodi che si spingono a fondo nella carne. Le sue grida, in cui la sofferenza si mescola col godimento, si confondono con i singhiozzi di Serafina.
Nella stanza sopra l’infermeria, infine, suor Zuana, la monaca speziale, prega a modo suo, scrutando le pagine del grande libro delle erbe di Brunfels. Figlia unica di un cultore dell’arte medica, è lei che accoglie le fanciulle che entrano in convento. È lei che si recherà tra breve nella cella di Serafina per somministrarle uno dei suoi miracolosi intrugli e calmarla. Tra le due giovani donne si stabilirà un rapporto speciale che non impedirà, tuttavia, che lo scompiglio, generato dall’arrivo di Serafina, si diffonda per tutto il convento come un fuoco che minaccia di inghiottirlo.