Poema a fumetti – Dino Buzzati #DinoBuzzati @barbarafacciott

Curatore: L. Viganò
Anno edizione: 2017

Dino Buzzati era un artista poliedrico e il suo approccio al mondo dei fumetti, e prima a ancora a quello dell’illustrazione, è ben documentato; la moglie, Almerina Antoniazzi, ricordava che il marito era solito leggere Diabolik e lo stesso artista dichiarava la sua incondizionata stima nei confronti degli eroi disneyani, affermando: “La loro statura, umanamente parlando, non mi sembra inferiore a quella dei famosi personaggi di Molière, o di Goldoni, o di Balzac, o di Dickens.”

Buzzati già nel 1965 anticipava il progetto di realizzare un romanzo grafico ispirato al mito di Orfeo ed Uridice, basato sulla rielaborazione grafica di fotografie, pitture e altro materiale iconografico appositamente raccolto. Il progetto, inizialmente, non accoglie lo sperato consenso presso la sua casa editrice e Buzzati decide di non insistere a volerlo pubblicare; la moglie dell’autore, convinta della validità dell’opera, insiste presso Mondadori affinché la pubblichi. Ciò avviene nel 1969; la critica si divise in merito, ritenendo alcuni critici i disegni troppo licenziosi, al contrario il pubblico accolse subito positivamente quest’esperimento espressivo, considerato oggi una delle prime graphic novel mai realizzate.

Il mio libro n.9 del 2018 è un amore antico. Dino Buzzati, per chi arriva a Milano non può essere ignorato. Per chi è nato negli anni ’60 e per chi ha fatto studi classici, per chi ama l’arte anche.
Poema a fumetti è un’opera semplice all’apparenza, ma molto complessa o meglio, completa perché, come si evince dai ringraziamenti è “piena”. Di rimandi, di citazioni, di miti e leggende. Innanzitutto il mito di Orfeo ed Euridice, non a caso i protagonisti si chiamano Orfi ed Eura (anche se Orfi è un chitarrista degli anni d’oro del beat e abita a Milano). L’opera è ambientata in via Saterna a pochi passi dal Fatebenefratelli, ma si sviluppa nel regno degli Inferi con infiniti rimandi a pittori, illustratori e artisti.
È un’opera datata 1969 e come ha affermato Sergio Bonelli, Buzzati ha conferito dignità ad un genere, che era considerato privo di valore letterario e responsabile di tutte le giovanili nefandezze. Il significato dell’opera, essendo esso un poema, è infinito, ma il tema principale è il rapporto tra la vita è la morte (abbiamo detto Buzzati? Che strano!) o meglio, un inno alla vita attraverso il ritratto della morte.
Se volete una lettura facile e rassicurante, lasciatelo in libreria o nello scaffale.
Se amate Dino, Milano, le Graphic Novel e l’arte, è imprescindibile.

Barbara Facciotto

TEMI E INFLUENZE (Via Wikipedia)

Le 208 tavole a colori, copertina inclusa, del Poema a fumettisono una serie di dichiarate citazioni ad artisti le cui esatte opere, fonte di ispirazione e rielaborazione di Buzzati, sono oggetto di costante ricerca da parte degli appassionati: le tavole anatomiche di Waldemar Weiman e Otto Prokop tratte dal loro Atlante di medicina legale, le foto dell’indossatrice Runa Pfeiffer (ispirazione per il personaggio di Trudi), il progetto della Torre Velasca di Milano dello Studio BBPR, Salvador Dalí e il suo Telefono aragosta, la stripper Mademoiselle Féline, ritratta nel libro Métaphysique du strip-tease dal fotografo Irving Klaw e altre foto fetish tratte da riviste da questi pubblicate, il pittore Caspar David Friedrich, l’illustratore Arthur Rackham, il dipinto simbolista Il diavolo mostra al mondo la sua donna di Max Klinger, la celebre scena di Nosferatu il vampiro di Friedrich Wilhelm Murnau, alcune tavole dell’illustratore italiano Achille Beltrame, il disegnatore Wilhelm Busch, le bambole di Hans Bellmer, alcune idee tratte dalla sceneggiatura realizzata con Federico Fellini per il film, mai realizzato, Il viaggio di G. Mastorna.

Il poema nel suo ibridismo compositivo riflette anche trame cinematografiche sul mito di Orfeo. Un’influenza si può cogliere nel momento della catàbasi di Orfi, precisamente nell’illustrazione della scala. Per l’impostazione essa rievoca la scala nell’Orfeo Negro di Marcel Camus (1958).[2]

La trama dal comunicato stampa dell’editore:

«Capita nella vita di fare cose che piacciono senza riserve, cose che vengono su dai visceri. Poema a fumetti è per me una di queste, come Il deserto dei Tartari, come Un amore.» Così Dino Buzzati presentava ai suoi lettori questo libro, troppo a lungo sottovalutato, se non dimenticato. Uscito con grande scalpore nel settembre 1969, è infatti rimasto per decenni irreperibile nelle librerie. In questa rilettura in chiave moderna del mito di Orfeo ed Euridice, Buzzati ci parla di se stesso, concentrando in 208 tavole a colori tutti i temi a lui più cari, a partire dall’eterno dialogo tra la vita e la morte. Attraverso un raffinato gioco di citazioni e autocitazioni, l’omaggio ad artisti di ogni epoca, la contaminazione di generi, queste pagine svelano l’intero universo creativo di Dino Buzzati, i suoi riferimenti culturali, le fonti di ispirazione, le suggestioni infantili, gli interessi di adulto, il metodo di lavoro. Facendo di Poema a fumetti un libro che ne racchiude in sé molti altri, come solo i capolavori possono fare.

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Il deserto dei Tartari – Dino Buzzati #DinoBuzzati #classici

Il deserto dei Tartari è un romanzo di Dino Buzzati. Pubblicato nel 1940, segnò la consacrazione di Buzzati tra i grandi scrittori del Novecento italiano.

Lo scrittore bellunese in un’intervista affermò che lo spunto per il romanzo era nato: …dalla monotona routine redazionale notturna che facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l’idea che quel tran tran dovesse andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini, soprattutto se incasellati nell’esistenza ad orario delle città. La trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me quasi istintiva.

Il tema centrale del romanzo è dunque quello della “fuga del tempo”.

Anche di questo romanzo avevo una idea non corrispondente alla realtà, difatti l’ho sempre scartato pensandolo come un racconto di imprese militari caratterizzate da lunghe attese. Di militare invece ha solo l’ambientazione, in una fortezza dal fascino desolato, denominata Bastiani, ultimo avamposto prima del nulla, del deserto, di cieli stellati e di una natura che cattura e imprigiona. Ed è qui che Buzzati fa vivere il protagonista, il tenente Giovanni Drogo, che irretito dalla natura incontaminata, dal silenzio quasi irreale che permea l’ambiente, dal volgere confortante delle stagioni, dalla vita militare senza scossoni di rilievo, preferisce lo scorrere del tempo nella fortezza piuttosto che nella sua città natia o in altra città ove percepisce la innaturalezza e la falsità dei comportamenti dei cittadini ormai abituati a comportarsi secondo canoni prestabiliti (lavoro, matrimonio, famiglia). Con perfetta padronanza di una scrittura semplice, delicata ma precisa, senza parole di troppo, Buzzati prende il tenente Drogo ad esempio del destino dell’uomo che nell’attesa di grandi cose non si rende conto dell’ineluttabilità del tempo.

Il tempo infatti incalza e tutto ciò che l’uomo riteneva essenziale nella sua vita si dimostra nel tramonto del tempo, nient’altro che illusione. Ed è così che Drogo viene inizialmente sopraffatto dallo scorrere inesorabile del tempo ma dinnanzi alla morte trova comunque le risposte alla sua personale missione, riuscendo a morire con orgoglio e dignità. Per tutto questo non si può non amare Drogo, la sua ingenuità, la sua dignità e la sua perpetua innocenza che sembrano specchiarsi e diventare tutt’uno con la natura incontaminata della fortezza Bastiani innanzi al deserto dei Tartari avamposto e protezione dai supposti terribili attacchi nemici.

Barbara Gatti