Un paese stretto nella morsa di una guerra dalle ragioni oscure, con il suo sinistro corredo di convogli militari lungo le strade, campi di lavoro e di «rieducazione» dietro reticolati di filo spinato. Una città tormentata dall’urlo delle sirene del coprifuoco e da sommosse che ne devastano interi isolati. E in mezzo a tutta questa violenza insensata, un uomo, dal labbro leporino e lento di mente, che insieme alla vecchia madre si unisce alla folla dei disperati in fuga verso le campagne, nel tentativo di raggiungere la terra d’origine: la fattoria dove la madre ricorda vagamente di esser nata. Ma il viaggio, almeno per Anna K, termina presto, tra le pareti di un ospedale. A Michael non resta che continuare a cercare quell’angolo di terra da solo e, una volta trovatolo, provare a dare nuove radici alla sua vita di outsider. Ma la guerra lo scova anche lí e cerca di trascinarlo a forza dentro la sua logica delirante, e dentro la Storia, salvo accorgersi infine, attraverso lo sguardo di una delle poche persone rimaste ancora lucide, che dietro quella “maschera da buffone” e quell’arrendevolezza disarmante cova un’anima irriducibile, una delle poche ultime “anime universali” rimaste nel mondo.
Un romanzo breve diviso in tre parti, scorrevole come solo può essere la scrittura di un grande autore, una storia desolata, triste che trascina fino all’ultima pagina.
In un paese sconvolto dalla guerra civile, in una città invasa dai soldati, un uomo dal labbro leporino, Michael K, costruisce un carro per accompagnare la vecchia madre molto malata nel suo paese natio, dove ha trascorso una gioventù felice.Il viaggio per la madre, purtroppo termina molto presto nel letto di un ospedale, e Michael K si ritrova da solo, gli restano le ceneri e il suo carretto. Continua il suo viaggio per tenere fede alla promessa fatta alla madre, spargere le sue ceneri nel villaggio natio. Michael procede da solo in un mondo per lui incomprensibile tra campi (veld) recintati di filo spinato e campi di lavoro.
Dopo numerose disavventure arriva, infine, alla fattoria abbandonata dove la mamma dovrebbe aver trascorso la sua felice giovinezza. In qualche modo proprio qui inizia la sua vita e il suo tempo, privato di tutto, nascosto in un cunicolo senza acqua senza cibo come un povero animale abbandonato. Ma per la prima volta si sente sé stesso, un essere libero da tutto e da tutti. Rifugge dagli altri uomini non ha una storia da raccontare, non ha neanche un vero passato ma segue solo il suo primordiale istinto alla vita. La violenza del mondo che lo circonda, la guerra e l’odio sembrano non scalfire la sua purezza di spirito. Si trova in imbarazzo in mezzo alla gente perché si sente a disagio a raccontare i vuoti della sua vita, Lui che è fuggito dai campi di internamento ma anche dalla carità.
“Michael K. è quell’esile stelo, figlio della terra e della natura che è risucchiato nella Storia, ma che al di sopra di questa si eleva, identificandosi o perdendo la propria identità nel divenire naturale, opponendo – questa volta sì – alla Storia che propone la Morte quel “si può vivere” che la vince. Difficile trovare in altri autori un’esposizione così intensamente poetica dell’ecologia.” Stefano Franzato
Non è stata una lettura facile, un autore che richiede grosso impegno e riletture. Sicuramente consigliato.
Gabriella Simbula
Traduttore: Maria Baiocchi Editore: EinaudiCollana: Einaudi tascabili. Scrittori
John Maxwell Coetzee è uno scrittore sudafricano di lingua inglese, ma di discendenza afrikaner.
Nel 2003 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura.
Nelle sue opere narrative ha attaccato il sistema dell’apartheid e condannato il colonialismo nei suoi vari esempi storici, trovando il giusto equilibrio tra esigenza di denuncia e attenzione alle necessità tecniche ed estetiche del romanzo.