
Charles Simic, Premio Nobel per la poesia nel 1990 e poeta laureato degli Stati Uniti (2007), è nato a Belgrado nel 1938 e vive negli Stati Uniti dal 1954. Per Adelphi sono usciti Hotel Insonnia (2002), Il cacciatore di immagini. L’arte di Joseph Cornell, Club Midnight, Il mostro ama il suo labirinto. Taccuini e La vita delle immagini (2017).
“C’è una sorta di sognante euforia nel non sapere dove si sta andando.”
Ricordi, storielle, fugaci impressioni, brevi prose, riflessioni critiche, aforismi: questo contengono i taccuini del poeta americano di origine serba Charles Simic, che Adelphi pubblicò nel 2008 nella traduzione di Adriana Bottini, con il titolo Il mostro ama il suo labirinto. Si può resistere ad un invito del genere?
Simic, chi sei?
Uno a cui piace colpire con frasi breve e dissacratorie?
Anche, certo.
Ma leggendo quel titolo ho pensato a due cose di lui: che dovesse avere una buona dose di autoironia, e che amasse in una maniera debordante la vita.
Ed è in effetti così.
Il mostro ama il suo labirinto è un taccuino colmo di frasi, la cui brevità ammicca all’aforisma, e nei cui contenuti frammentati echeggia la disgregazione della contemporaneità.
Simic traccia con parole sferzanti l’universo umano, tragico e quotidiano, e pondera sull’immensità, l’eterno, l’infinito.
Spazia dal significato della poesia all’importanza degli oggetti, una relazione che si stabilisce tra le parole e le immagini del suo passato che vibra di suoni, danza sulle filosofie di tutti i tempi facendole “cadere” di fronte a un mal di denti.
Siamo tutti clandestini su una nave di folli.
E ancora :” Ti fanno male” mi dicono i miei amici. Come se fra me e l’immortalità si frapponessero soltanto due salsicce”.
Simic è di origine serba, ha vissuto la guerra da bambino e della sua infanzia ha un ricordo felice. In America scrisse i primi libri ed ebbe subito successo.
Un autore, secondo me, che vale la pena di conoscere.
”In democrazia, il ruolo principale della stampa libera è quello di nascondere al Paese che è governato da un’oligarchia.”
Egle Spanò
Descrizione
Simic, cui la forma oscillante tra l’aforisma e la prosa breve sembra particolarmente congeniale, siede a giudicare se stesso e il mondo. Ed è un giudice-poeta chiaroveggente e bizzoso, improvviso negli scatti d’ira e nelle smanie d’amore, che crede “nella irrimediabile e caotica mescolanza di ogni cosa”, e usa “il caso come attrezzo per demolire le nostre associazioni abituali”. Ora striglia i politici guerrafondai e gli intellettuali loro complici, ora racconta con macabra ironia vecchie storie dei Balcani (quel luogo d’Europa la cui economia si regge sulle “fabbriche di orfani e gli allevamenti di capri espiatori”). Stralunato e lubrico, “avanzo di galera di tutti i paradisi terrestri”, non cessa di meravigliarsi della stupidità umana, ingrediente segreto della storia, ma anche dell’enciclopedia di archetipi celata in ciascun oggetto. Ad ogni pagina, guizzi fulminei e collegamenti interrotti: “una melodia allegra suonata con malinconia”, un’immagine sfocata di sé colta di sfuggita in uno specchio egizio, qualcosa “a metà tra l’infinito e lo starnuto”, un “saporito stufato casalingo di angelo e bestia”.
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