Richard F. Thomas, professore di Harvard, classicista, dylanologo e creatore di un corso su Bob Dylan tenuto proprio ad Harvard dal 2003, ci fornisce una profonda analisi del genio poetico del cantautore ed un dettagliato back-to-back con poeti e autori ai livelli di Virgilio, Omero e Ovidio. Una delle sue tesi centrali è che Dylan sia un diretto erede dei poeti epici dell’antichità classica, e ovviamente il “supremo artista del linguaggio inglese del mio tempo”.
Dylan, spiega Thomas, è da sempre affascinato dal tema dell’Antica Roma, introdotto all’argomento fin dall’adolescenza dai polpettoni di Hollywood, per continuare a scuola dove fece parte (se pur brevemente) di un “latin club” dove si approfondivano testi in latino e si facevano gare di scrittura creativa in lingua classica. Ha dedicato canzoni ai re di Roma (“Early Roman Kings”) e tracce dei grandi classici poeti latini e grechi sono presenti in quasi tutti i suoi album, principalmente grazie all”intertestualità. Come spiega il docente, per esempio, nell’album di Dylan Modern Times più di trenta versi tratti dalle Opere dell’esilio di Ovidio sono state “creativamente rubate” e introdotte nei testi come parti essenziali delle canzoni ma, suggerisce Thomas, si può perdonare un simile prestito immaginativo perchè è trasformativo, e Dylan ha in fondo riportato in vita versi morti da molto tempo riportandoli in vita e a tutti gli effetti introducendoli nel “tempo moderno”.
L’utilizzo di questa tecnica di prendere creativamente in prestito versi della poesia classica assieme al suo modo magistrale di giocare con le parole e la nostalgia, rende la domanda: “E’ questa letteratura?”, sulla bocca di tutti alla notizia del conferimento del Nobel per la Letteratura 2016 proprio a lui, retorica.
E’ un maestro in songwriting e questo è un fatto e, come accennato sopra, è un maestro dell’intertestualità, del prendere in prestito, “rubare”, riadattare, ricreare e dare nuova vita a parole e melodie del passato, parole conosciute e parole dimenticate e ora disseppellite.
Non si può parlare di plagio perchè Dylan vuole chiaramente farci sapere da dove arrivano le sue ispirazioni (proprio per il fatto che usa a volte intere frasi dei testi riadattati). Se posso trovare un difetto nella tesi di questi saggi di Thomas, è che a volte le presunte connessioni di Dylan con testi latini e greci sembrano un poco tirate per i capelli, viste a tutti i costi da un classicista che intravede la sua disciplina in ogni canzone. Ognuno può indubbiamente continuare a emozionarsi sulle canzoni di Bob Dylan senza per forza esaminarne la misura di appartenenza alla poesia classica, o trovarne a tutti i costi significati letterari, considerando che egli stesso nel suo discorso di accettazione del Premio Nobel ha francamente ammesso: “Mai una volta ho avuto il tempo di mettermi a pensare Ma le mie canzoni sono letteratura?”
Concludendo, per usare le parole di T.S. Eliot “I poeti immaturi imitano, i poeti maturi rubano.”
Ammetto di essere una grande fan della oeuvre di Dylan, e avevo già le mie ragioni per considerarlo perfettamente degno del Nobel e di trovarsi lì in mezzo a nomi che sono così importanti da far rabbrividire.
Questo libro mi ha comunque insegnato molto e probabilmente l’avrei apprezzato anche da non ammiratrice. E’ un libro erudito con tesi molto interessanti anche per lettori non particolarmente fan del cantautore.
Terry Palamara