«È stato scritto che i Camilleri sono almeno due, quello del poliziesco e quello della memoria storica; ma nel romanzo La mossa del cavallo i due Camilleri convivono» – Cesare Medail, Corriere della Sera (1999)
A me Camilleri non stanca mai, è una fonte inarrestabile di divertimento e piacevole lettura.
“La mossa del cavallo” non è una novità, poiché già pubblicato da RCS moltissimi anni fa. Ora lo ripubblica Sellerio in edizione leggermente rivista per qualche errore di scrittura.
Appartiene all’irresistibile filone delle cronache di Vigata ispirate a fatti realmente accaduti e manipolati dalla fantasia del nostro impagabile contastorie, come ad esempio gli irresistibili “Il birraio di Preston” e “La concessione del telefono”.
L’azione si svolge nel 1877 e trae spunto da un episodio raccontato nella famosa inchiesta sulla Sicilia da Leopoldo Franchetti. Si parte, come spesso capita, da vicende boccaccesche di corna, cui si mescola una vicenda sanguinosa che coinvolge un giovane e incauto ispettore di finanza che, pur vigatese di nascita, ha acquisito la mentalità nordista di volere a tutti i costi applicare la legge (in questo caso evitare le frodi relative all’impopolare tassa sul macinato che, in quell’epoca – 1877 – era in vigore per ordine del re.) Non l’avesse mai fatto! Si muovono tutti i pomposi notabili e succede un putiferio.
Come sempre Camilleri ondeggia con abilità sui sui registri abituali mescolando dialetti (qui anche il genovese acquisito dall’ispettore) ed italiano e alternando al racconto gli scambi di corrispondenza fra autorità che descrivono l’Italietta siciliana dell’epoca e purtroppo ricordandoci ancora una volta quanto quella mentalità, “mutatis mutandis” sia purtroppo quasi la stessa.
Renato Graziano