Povere ragazze. Il mondo le rimpinza di promesse sull’amore. Quanto ne hanno bisogno, quanto poco ne otterrà la maggior parte di loro.
La mia 68sima e ultima lettura del 2016 è un libro assai pubblicizzato e promosso dal battage pubblicitario delle case editrici, e, come spesso capita, l’aspettativa alta forse un poco delude. Le ragazze della ventiquattrenne (all’età della stesura) Emma Cline è il racconto di una sessantenne delusa che rievoca il suo passaggio dall’adolescenza all’età adulta, negli anni del Flower Power. La giovane racconta la sua esperienza di fine anni ’60 nella California sballata degli hyppies figli dei fiori, finita con un massacro che ricorda molto la strage di Bel Air della setta di Charles Manson in cui morì la bellissima Sharon Tate, moglie di Roman Polanski. Scritto molto bene, in effetti, quasi sorprendentemente data la giovane età dell’autrice, nel libro prevale la bella scrittura sulla sostanza drammaturgica, assai scontata a mio parere. Quante volte abbiamo sentito parlare, leggere e scrivere di adolescenti stanchi di genitori convenzionali, assenti, incapaci di ascoltare e quindi alla ricerca di attenzioni o emozioni fuori dalla famiglia, è un tema ormai trito e sviscerato. Qui la giovane protagonista Evie Boyd si fa attrarre da un gruppetto di ragazze con una leader seducente – Suzanne – che la avvierà all’amore di gruppo e a un’attrazione saffica inespressa – di cui si invaghisce e che la porta a vivere in un ranch, comune di giovani alternativi e forse emarginati capeggiato dal solito squinternato guru, Russel, musicista mancato che predica banalmente l’amore assoluto. Il finale è scontato e prevedibile, perchè annunciato già a metà libro e quindi la Cline in realtà sembra puntare al ritratto di una generazione, peraltro da lei non vissuto, che non emoziona perchè la materia sembra più studiata a tavolino che vissuta con partecipazione. Alla fine la protagonista ripensa a quegli anni di illusioni e di sballo con un po’ di sollievo per essere scampata ad una partecipazione diretta alla strage e con un po’ di rammarico, forse, per la vita intensa che poteva essere e non è stata, finita in solitudine a fare la badante. Tristezza per favore va via.
Renato Graziano