È con immenso rammarico e un filino di stizza che devo fare outing: il mio primo libro del 2017 (Il libro della grammatica interiore, D. Grossman) l’ho mollato un attimino lì sul comodino. Non credo significhi iniziare male, anzi. Considerato che ho sempre adottato la filosofia “vai fino in fondo, bifolca, o ti corco di mazzate”, il prendere un altro sentiero potrebbe rivelarsi segno di una qualsivoglia raggiunta maturità. Insomma, io al buon Grossman voglio bene e da tempo, ma a ‘sto giro proprio ho bisogno d’aria. Bello, davvero; profondo e intelligente e psicologicamente validissimo, ma io in questo precisissimo momento ho bisogno di fiato e per me fiato significa o una storia che mi annulli e mi tiri dentro al punto da non sapere più dove abito, o Virginia Woolf (o Haruf, se proprio ve lo devo dire). Se ti scrivi addosso o io ho la sensazione che tu lo stia facendo non mi innamoro. Una cosa però ve la voglio dire: leggendo fino alla trecentesima pagina l’abbandonato (per il momento) di cui sopra ho scoperto molte affinità con un *libellino* che lessi poc’anzi e di cui qui scrissi: L’educazione del giovane Tjaz di Florjan Lipus. Un pochino meno chiacchierato, un filino più al centro delle cose, metodico il giusto. Nel caso, garbatevelo (che queste cosine alla <Il giovane Holden> a me mediamente piacciono assai, per dire). Per lo sconforto della capa avrei iniziato a leggere l’ultimo di Dicker e, sincera fino a raschiare il barile, almeno è una storia e mi pare di respirare. Vi farò sapere. Baci&Abbracci e buon sabato sera a tutti.
Rob Pulce Molteni