The Passage – Justin Cronin #ThePassage #JustinCronin

Yep. It’s THE ROAD all over again. Dystopia with teeth. And compelling stuff, too. 

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Oggi vi parlo di un libro che mi è veramente piaciuto ma tanto assai, che consiglio assolutamente a tutti gli appassionati di romanzi di avventura, thriller, azione e un po’ di horror. E’ una storia coinvolgente, un romanzo epico scritto con profondità, intelligenza, e bellezza. Capita raramente di trovare un libro di intrattenimento scritto così bene, ampio respiro, grandi tematiche, liricità nei sentimenti e azione a mazzi. Si colloca in un mondo di mezzo tra The Stand (che per me è il capolavoro del genere horror post apocalittico), Io sono leggenda, La collina dei conigli, The walking dead e ci butterei pure la Atwood de Il racconto dell’ancella, più un po’ de Il pianeta delle scimmie. Se non vi attira un romanzo che ha tutte queste cose insieme e che comunque elabora di suo senza essere schiacciato ma anzi arricchito da tutti coloro che sono arrivati prima, ma che deve fare il povero Cronin, venire a puliziarvi i vetri a casa?

Un paio di premesse prima di continuare: The Passage è un tomone di 800 pagine, ed è il primo di una trilogia (in America sono usciti tutti, tradotti in italiano ci sono i primi due, il terzo dovrebbe arrivare fra qualche mese). Viviamo in tempi in cui gli editori addirittura consigliano agli scrittori di annacquare il brodo e tirare in là con la trama, per arrivare ai fatidici tre libri minimi. Questo non è propriamente il caso di Cronin, che ripeto, scrive bene e ha un’immaginazione invidiabile. Ciò non vuol dire che su 800 pagine non ci siano parti che si potevano evitare, e che si sarebbero evitate se, poniamo, il libro fosse uscito negli anni ’70 come The Stand. Tuttavia anche se lungo, scorre molto velocemente, e se nella parte centrale in qualche momento si arranca, presto arriva un capitolo che ti ributta nella mischia con altissimi livelli di adrenalina, e via così. Cronin mi sta anche relativamente onesto nel finale, nel senso che chiude abbastanza bene, lasciando intuire quello che faranno i protagonisti nei libri successivi (per chi si fermerà senza leggere i sequel) ma senza sbilanciarsi troppo (per chi invece proseguirà). Ovviamente molte sottotrame non vengono risolte, ma se volete leggere solo questo che è il primo per vedere com’è, non abbiate paura che non finisce lasciando tutto confuso con gli elementi che non si incastrano e il finale che rimane a razzolar nel guano anziché spiccare il volo.

La storia è già sentita, nel prossimo futuro il mondo come lo conosciamo finisce brutalmente e nel sangue, letteralmente, quando un virus di laboratorio non viene contenuto (oooops!), causando la mutazione di chi viene contagiato in un mostro fotosensibile dalla forza letale che si nutre solo e soltanto di sangue, che ricorda un po’ i vampiri (ma quelli di Io sono leggenda, non quelli caramellati di Twilight) e che stermina la popolazione mondiale nel giro di poche settimane. Il romanzo è diviso in due parti, la prima è il racconto degli avvenimenti che portano all’evento apocalittico in sè: militari, scienziati, persone comuni, la civiltà che collassa, i mostri che uccidono e, ovviamente, la ricerca disperata di un vaccino, che si concretizza, forse, nel virus iniettato in una bambina di sei anni, Amy.

La seconda parte inizia dopo circa trecento pagine, quando il mondo è finito: sono passati un centinaio di anni, tutti i personaggi che avevamo imparato a conoscere ed amare sono, presumibilmente, morti. Si ricomincia con le storie di una comunità di sopravvissuti che vive in una zona fortificata in California, retrocessi come epoca al Medio Evo. Vivono di pastorizia e agricoltura, le loro armi sono archi e balestre, non sono interessati al mondo esterno che è una vasta landa ignota e spaventosa, contaminata da orribili radiazioni chimiche e radioattive per le bombe che furono sganciate come estrema ratio per debellare i mostri. Non sono nemmeno interessati al passato: non si è conservato quasi nulla del mondo che fu, nè libri o cultura, nè storia o valori. La loro difesa contro il terrore che il buio porta sono degli enormi fari che illuminano tutte le notti il compound, tenendo lontani i mostri. Ma l’energia che permette a quei fari di accendersi è ormai quasi esaurita, fioco residuo di una tecnologia che non è più, e questo spingerà un manipolo di coraggiosi a uscire nel vasto mondo laggiù per trovare la salvezza, o per lo meno delle batterie nuove. E quindi inizia tutto un viaggio di scoperta, redenzione, coraggio, rivelazione e coscienza dei propri limiti, lealtà, terrore e anche amore.

Le tematiche di questo libro non sono nuove: la distruzione della civiltà, gli sforzi di un piccolo gruppo di non soccombere alla barbarie, il confronto inevitabile tra il bene e il male con un certo elemento soprannaturale, lo straordinario essere di persone comuni che per una causa superiore trovano insospettate riserve di coraggio ergendosi a campioni dell’umanità; sono tutte cose che si trovano, per esempio, in King. Ma anche Cronin le sa gestire, con grande talento. E’ un romanzo micidiale, pieno di dramma di livello e di scrittura di qualità: è alta letteratura di intrattenimento, non robetta pulp (non che nei nostri momenti pulp, la robetta non ci piaccia, per carità).

Per me, è un quattro stelle. Leggetelo! per piacere. Bisogna accompagnarsi a chi ci regala belle sensazioni, no? Prendetevi un week end libero, e buttatevici. Cici. Non farete altro che leggere, leggere e leggere. E vivere con fastidio qualsiasi interruzione, sia essa coniuge, figli, telefono, amante o cibo. Effetto Stephen King per chi frequenta il genere, insomma. E’ il Devo.

Lorenza Inquisition

Ps. Voglio fare un PS. Quando Stephen King scrisse The Stand era il 1978, e l’editore gli fece tagliare circa 400 pagine (aaaargh) perchè temeva che un libro troppo lungo avrebbe spaventato il pubblico e precluso fette di mercato. Quindi King a lavoro finito ricominciò e si mise a tagliare, limare, polire e rifinire, e consegnò un libro di circa 700 pagine, che è un capolavoro. Poi successivamente all’apice della carriera gli fu permesso di reintegrare le pagine tagliate, e uscì una nuova versione del libro uncut, e tutti amiamo tutto ciò, e abbiamo pagato dei bei dollaroni per la nuova versione lunga alla facciazza dell’editore, ma il punto non è questo. Se King lo avesse scritto nel decennio del Duemila, gli avrebbero chiesto un trilogia, e chissà cosa avrebbe tirato fuori. Sigh. Ma il punto non è nemmeno questo, il punto è che Cronin ha potuto scrivere un libro lungo quanto gli pareva, più altri due che alla fine vanno a completare un’enorme, infinita narrazione, in cui l’editore si complimenta e stacca assegni, e tutta la trilogia di The passage va a comporre un’opera epica e, bè, non c’è niente di male, commerciale. Però, se Cronin avesse scritto negli anni 70, con un editore che sadicamente rideva con le forbici in mano gridandogli Taglia!, e anche lui avesse dovuto limare, polire, tagliare e trinciare, per condensare tutto in un unico libro, chissà, forse sarebbe stato un capolavoro. Invece è “solo” un gran gran bel libro, che non è mica poco, neh. Peeeerò.

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