Ho terminato ieri sera Il fidanzamento di G. Parise. Di suo avevo letto solo L’odore del sangue, l’estate scorsa, e non mi era piaciuto granchè. Sa scrivere molto bene, ama la ripetizione, si richiama a Moravia (quello della Noia per l’introspezione ma degli Indiffenti per i personaggi). Il fidanzamento mi è piaciuto di più, il soggetto è fastidioso, i personaggi pure, ma è comunque piacevole da leggere. All’inizio non sembra, ma poi la storia si evolve.
Raffaella G.
DESCRIZIONE
Apparso nel 1956, “II fidanzamento” è stato sempre considerato un po’ anomalo rispetto a certa coerenza dello sviluppo narrativo di Parise. Il romanzo si presenta infatti come una tipica commedia all’italiana, per riprendere la formula che di lì a qualche anno sarebbe stata applicata a un certo filone cinematografico: e cioè la messinscena di un ambiente provinciale di piccoli vizi e mediocri virtù, l’analisi dell’italiano medio, ipocrita, opportunista, velleitario, un po’ vile, servo per vocazione… Si direbbe che a metà strada fra due momenti importanti del proprio lavoro, l’epica infera dei ragazzi di Vicenza e il futuro prossimo della civiltà industriale, Parise abbia voluto prendersi una piccola vacanza goldoniana, abbandonandosi al puro piacere della rappresentazione, a un divertimento ironico che non si preoccupa di trasformare in simbolo o in allegoria una materia che non sopporta di essere caricata di intenzioni troppo ambiziose. Di questo divertimento sono una spia i dialoghi vivacissimi, tra i più mimetici e distesi che Parise abbia scritto. Forse “II fidanzamento”, senza saperlo o volerlo, è proprio una pièce di teatro, con poche scene fisse, e i personaggi che entrano ed escono con una precipitazione sempre un po’ eccessiva, per recitarvi le loro patetiche baruffe. Se questa è l’età adulta, sembrano dirci, meglio gli odorosi, rassicuranti tepori dell’infanzia matriarcale.
(Ernesto Ferrero)