un’autobiografia romanzata, strutturata come la più classica delle storie di formazione ma con quello stile asciutto che da anni impazza nella letteratura creativa d’oltreoceano (l’autore stesso è stato per decenni direttore di una delle più prestigiose scuole di scrittura).
e infatti più che gli eventi di una vita – per quanto movimentata, non certo caratterizzata da accadimenti sensazionali – contano molto i luoghi, le atmosfere, gli spostamenti, i silenzi e i vuoti.
quello che doveva forse essere un atto di accusa verso il passato lontano, diventa invece un ricordo agrodolce e malinconicamente distaccato.
non tutti gli episodi funzionano con la medesima efficacia, ma le parti dedicate all’adolescenza – padre mentalmente assente, madre svampita, patrigno strampalato – risultano senza dubbio le più riuscite. un po’ più deboli i capitoli “europei” del romanzo (ma forse subentra la suggestione dei lettori del vecchio continente per una certa idea di america, fatta di lunghe strade infinite) e quelli dedicati alla maturità.
la buona scrittura è dimostrata dal ricordo che lasciano i singoli dettagli (le evoluzioni con lo yo-yo di un adolescente piuttosto solitario), anche se non sempre lo stile così asciutto e privo di coinvolgimento aiuta una lettura prolungata.
insomma, per ergersi a capolavoro deve proprio piacere il genere (a me piace).
andrea sartorati
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