Donna Tartt – Il cardellino

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Donna Tartt – Il cardellino

Finito! Grandissima curiosità e molte aspettative per questo libro dopo i vostri tanti commenti.

Di sicuro uno di quei libri che una volta iniziati vorresti poter leggere d’un fiato, senza interruzioni. Affascinante, scritto magnificamente: o forse bisognerebbe dire tradotto magnificamente? Chissà in originale.

Le cose positive sono state dette quasi tutte (il mondo dell’arte e dell’antiquariato: ti fa venir voglia di girare per mercatini e rigattieri sperando di trovare qualche tesoro nascosto sotto mucchi di tarme, di guardare con occhio un po’ più attento quelle vecchie sedie della nonna e di cominciare a frequentare in maniera assidua le aste di Christie’s), i personaggi che sono loro stessi dei quadri con colori talmente vividi che li puoi vedere: io mi sono innamorata di Hobie che per me ha le maniere eleganti e il viso di David Niven. Il legame di Theo con la madre e tutto quello che questo comporterà nel corso degli anni, la sua crescita e il suo percorso (notevole il momento in cui, in una stanza d’albergo, inizia a scrivere una serie di lettere: una descrizione che mette i brividi), il suo legame con Boris, Andy e tanti altri.  E naturalmente New York, una parete ideale con forti tinte cangianti  sulla quale appendere i tanti quadri di questa vicenda.

Insomma, mille cose fanno si che questo libro meriti assolutamente di essere letto.

E allora vado controcorrente e segnalo le due cose che in particolare non mi hanno convinta. Prima di tutto la parte “gialla” dedicata al Cardellino. Senza entrare troppo nei dettagli, soprattutto quando la vicenda si sposta ad Amsterdam ho avuto spesso un’impressione strana: come se qualcuno avesse messo in stand by la storia e avesse momentaneamente sintonizzato il televisore su un vecchio episodio di Starsky e Hutch. Come se certi momenti del libro fossero completamente lasciati a sé e mal si legassero con il resto della vicenda. Un passaggio fin troppo brusco da uno stile molto riflessivo ad un racconto d’azione abbastanza stereotipato.

Allo stesso modo mi hanno lasciata perplessa alcuni stacchi nella vita di Theo, un po’ troppo bruschi. Ad esempio il ritorno da Las Vegas a New York: un trucco molto semplice per riportare il protagonista là da dove era partito.  Anche qui, senza entrare nei dettagli,  mi sembra che l’autrice abbia ideato un artificio fin troppo comodo per chiudere un periodo della vita del protagonista e aprirne immediatamente un altro, senza farsi troppi problemi.

Anna LittleMax Massimino

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