Le mappe dei miei sogni – Reif Larsen #Larsen #viaggio #sogni #mappe

*Un western

T.S. Spivet è un genio dodicenne che disegna mappe. Vive in un ranch del Montana con il padre, un cowboy silenzioso, e con la madre, una studiosa di coleotteri che da vent’anni è alla ricerca di una mitica specie di scarafaggio. Il fratello è morto e la sorella è apparentemente normale. T.S. cerca di dare un ordine alle cose tracciando su un taccuino mappe bellissime e meticolose. Mappe di tutto: del comportamento della famiglia, di animali, di piante, di posti, di cose. La sua avventura comincia quando si mette in viaggio per andare a ricevere un importantissimo premio conferitogli dallo Smithsonian Institution. Scappa nel cuore della notte e su un treno merci attraversa l’America per oltre 2000 miglia incontro alla fama. Ma è proprio questo ciò che vuole? Le mappe e le liste sono davvero capaci di spiegare il mondo, il suo confuso affastellarsi di dolori, silenzi, misteri? E l’enigma che sono gli adulti? Le illustrazioni di Ben Gibson e Reif Larsen accompagnano e arricchiscono tutta la storia.

Reif Larsen, Le mappe dei miei sogni

traduzione di Martino Gozzi

Strade blu, Milano, Mondadori, 2010, pp. 368.

Ho fatto tante false partenze prima di approdare a Pivet. Ho cominciato due volte Cavalli Selvaggi di McCarthy, poi ho iniziato Lonesome Dove pensando di riuscire a finirlo in tempo per dicembre (che illuso), ho provato a trovare un western che mi interessasse e mi aiutasse a finire la disfida ma è stata una ricerca infruttuosa, e alla fine ho deciso di rileggere questo Le mappe dei miei sogni (in originale The Selected Works of T.S. Spivet), ambientato nel selvaggio West, tra le valli del Montana, invece che un classico western tra coloni, indiani, carovane e cercatori d’oro.
Il protagonista, Tecumseh Sparrow “T.S.” Spivet, è un bambino prodigio, principalmente interessato alla cartografia, ma anche dilettante scienziato, come la madre, entomologa e naturalista, e assai diverso dal padre, il paradigma del cowboy americano. Larsen insiste molto su questa diversità e complementarità dei genitori che si riflette quasi specularmente nell’identità dei fratelli gemelli, T.S. e Layton. Forse è proprio questa diversità a influire sui rapporti che T.S. ha col padre, specialmente dopo l’evento luttuoso di cui non vi anticipo niente e che percorre in maniera sotterranea tutta la narrazione. L’intreccio si muove dall’annuncio della vittoria del progetto scientifico di T.S. dell’ambito premio dello Smithsonian Institute per la realizzazione di una “macchina del moto perpetuo”: T.S. si finge maggiorenne per confermare la sua presenza a Washington a presenziare alla consegna dei premi. Ignorato dai genitori in lutto, T.S. scappa di casa e, saltando su un treno merci, come nella migliore tradizione della narrativa americana sugli Habbo, percorre più di 2000 km da west a est. Le conseguenze della sua fuga, gli espedienti che dovrà inventare durante il viaggio e una volta arrivato a destinazione per poter convincere tutti di essere il vero ideatore della macchina del moto perpetuo, il tormentato rapporto con il padre e infine il confronto con il lutto al finale, dimostrano che Larsen ha saputo manovrare con grande destrezza e con originalità tutti i birilli che da bravo giocoliere era riuscito a tenere in aria per tutto il tempo della narrazione. A volte si perde in qualche excursus o forse dà troppa voce a qualche personaggio minore, altre volte sembra promettere una svolta significativa alla fine di un capitolo per poi rinviare spiegazioni e fatti più avanti, quando ormai il lettore ha perso l’attenzione per il particolare in quesitone. Malgrado alcune pecche resta un libro affascinante, in grado di rapire l’attenzione e la fantasia del lettore lungo il grande viaggio di formazione che T.S. compie attorno al suo mondo per tornare fino al punto di partenza dove vivere una vita diversa da quella che si aspettava nella sua giovane mente, ma molto più fedele a quei desideri così sottaciuti e trascurati del suo cuore. A volte basta solo questo per dimostrare di avere talento come romanziere: non voli pindarici, o avventure esotiche o trame inaspettate, quanto il riconoscimento di desideri che non si sapeva neanche di avere finché l’autore non ha inventato una grammatica per esprimerli. Ecco, Larsen mi è piaciuto perchè sembra riuscire nell’intento di far capire al lettore tra le righe molte più cose di quello che riesce a dire. Le illustrazioni delle “mappe” dei sogni e della vita di T.S. meritano tutto il costo del libro.

Stefano Lilliu

Critica (via wikipedia)

Alcuni critici hanno lodato il lavoro per la sua originalità; tra questi, una menzione su Vanity Fair che dichiara il lavoro “come niente che abbiate mai trovato”. Il libro ha ricevuto una recensione particolarmente benevola dal prolifico scrittore Stephen King, che ha dichiarato: “Qui c’è un libro che fa l’impossibile: combina Mark Twain, Thomas Pynchon e Little Miss Sunshine. I buoni romanzi divertono; quelli grandi arrivano come un dono per i lettori che sono abbastanza fortunati da scovarli. Questo libro è un tesoro.”

Altri, tuttavia, hanno notato un significativo rallentamento della trama del romanzo, puntando il dito su errori commessi da uno scrittore alle prime armi verso la conclusione dell’opera. Uno di costoro ha scritto: “Non riesco a ricordare l’ultima volta che la mia iniziale affezione per un romanzo sia stata così tradita dalla sua conclusione. È sconcertante che qualcuno non abbia aiutato questo giovane autore a rifinire Le mappe dei miei sogni per trasformarlo nel classico dall’effetto dirompente che avrebbe potuto essere.” Mentre la maggior parte dei recensori ha apprezzato lo stile illustrativo dell’impaginazione del libro, alcuni l’hanno considerato eccessivo; una di questi, del New York Times, ha descritto l’atto di leggere sia il corpo del testo che le note a margine come “spossante”.

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Ferito – Percival Everett #West #PercivalEverett #BEAT

Ferito -Percival Everett

 
Traduttore: M. Rossari
John Hunt, ombroso e impenetrabile cowboy di mezz’età, vedovo e amante dell’arte, ha impiegato anni per ritagliarsi un’esistenza solitaria nelle lande desolate di Highland, Wyoming. La sua è un’appartata quotidianità fatta di giornate che iniziano alle cinque e trenta, cavalli difficili da addestrare, un mulo ingovernabile, un cucciolo di coyote da curare. Ma un giorno, non lontano dal suo ranch, un giovane gay viene brutalmente assassinato e l’aiutante di Hunt arrestato. L’evento sconvolge la tranquilla normalità della rintanata Highland e cambia radicalmente la vita di Hunt, coinvolto nell’incalzante caccia ai colpevoli e trascinato in una ricerca interiore che cambierà il suo modo di percepire le cose. Un memorabile confronto con la frontiera nel capolavoro di uno scrittore americano di culto. Una trama intensa e mozzafiato che riscrive i generi letterari riflettendo su temi come l’identità, l’omosessualità, la razza, la vendetta.

Wyoming, terre desolate e praterie, cowboy contemporanei che amano la natura e la vita dura che questa riserva da quelle parti. John Hunt è uno di questi uomini, nero e vedovo, vive con il vecchio zio Gus in un ranch dove addomestica cavalli e, legandosi alla vicina di casa Morgan di lui innamorata, addomestica anche il dolore della perdita della moglie Susie, sbalzata da un puledro troppo irruente. E’ un uomo che ama gli animali e li accudisce, anche per salvarli dalla malvagità di altri uomini, che uccidono vacche per odio ai rancheros neri e agli indiani e danno fuoco alle tane dei coyotes dei quali lui ne salva i cuccioli. Poi salva un cavallo di un amico che ha inghiottito un ramo di spine: è la sua attitudine salvare vite. Quando il suo giovane lavorante omosessuale, Wallace, finisce in prigione accusato, ingiustamente, dell’omicidio di un amico e il giovane si impicca, il nostro eroe si chiede se lui non poteva fare qualcosa in più che telefonare ad un fratello del ragazzo fuori di testa. Ma il caso gli propone una seconda possibilità, e John dovrà confrontarsi una seconda volta con l’accanimento e la violenza che uomini senza capacità d’amore riservano a quello che non riescono a comprendere ed accettare.

“Mi manca”, ha detto lei.
“Anche a me”.
Non c’era molto altro da dire. Se a Morgan fosse venuto da piangere, allora avrebbe pianto. E io l’avrei abbracciata forte. Ma non le è venuto da piangere.
“A Natale la mamma dava sempre le carote ai cavalli”, ha detto. “Possiamo farlo anche noi stamattina?”.

In un crescendo intenso e struggente allo stesso tempo, siamo accompagnati dall’autore a vivere una moderna tragedia generata identificandoci con un protagonista con il normale coraggio di cui ci dovremmo attrezzare tutti quanti: ferito dal male che vede attorno a sè ma non rassegnato a subirlo, e incapace di chiudere gli occhi e voltarsi da un’altra parte solo per affermare la necessità di amare ogni essere vivente, uomini animali o piante, senza differenze od esclusioni. Ma il vero snodo del romanzo sta proprio nell’accettare il fatto che la frontiera non termina mai, che il male insensato continua, esiste, ed è fra noi. Ci si abitua anche, lo si accetta addirittura. Finché qualcosa non arriva a smuovere le coscienze, e allora tutto cambia. Scrittura limpida, essenziale, a tratti lirica ed epica nella misura in cui lo è lo scenario in cui ci immerge l’autore scrivendo un post-western amaro e suggestivo.

Renato Graziano

Everett è uno scrittore nero americano di sicuro spessore e di notevole vivacità sperimentale. In Ferito lascia però da parte l’appariscente sperimentazione linguistica per affidarsi a una scrittura più tradizionale e comunicativa. La concezione della letteratura che guida il lavoro di Everett è improntata all’impegno morale di decifrazione di sé e del mondo, secondo le modalità specifiche dell’approccio letterario (non è frivola, non è strumentale, non è autoreferenziale). Traendo liberamente spunto da un fatto realmente accaduto, Everett narra dell’assassinio rituale di un giovane omosessuale cui fanno seguito dapprima il suicidio di un suo sodale ingiustamente accusato, poi la sparizione di un terzo omosessuale, le ricerche del quale, affidate alle indolenti autorità locali, non portano a nessun risultato. Viceversa il colto e tollerante ranchero nero John Hunt (personaggio-narrante), amico dello scomparso, seguendo una pista fin troppo evidente, stana i colpevoli e conduce a un finale duro e spietato.

Paolo Mantioni