Ferito -Percival Everett
John Hunt, ombroso e impenetrabile cowboy di mezz’età, vedovo e amante dell’arte, ha impiegato anni per ritagliarsi un’esistenza solitaria nelle lande desolate di Highland, Wyoming. La sua è un’appartata quotidianità fatta di giornate che iniziano alle cinque e trenta, cavalli difficili da addestrare, un mulo ingovernabile, un cucciolo di coyote da curare. Ma un giorno, non lontano dal suo ranch, un giovane gay viene brutalmente assassinato e l’aiutante di Hunt arrestato. L’evento sconvolge la tranquilla normalità della rintanata Highland e cambia radicalmente la vita di Hunt, coinvolto nell’incalzante caccia ai colpevoli e trascinato in una ricerca interiore che cambierà il suo modo di percepire le cose. Un memorabile confronto con la frontiera nel capolavoro di uno scrittore americano di culto. Una trama intensa e mozzafiato che riscrive i generi letterari riflettendo su temi come l’identità, l’omosessualità, la razza, la vendetta.
Wyoming, terre desolate e praterie, cowboy contemporanei che amano la natura e la vita dura che questa riserva da quelle parti. John Hunt è uno di questi uomini, nero e vedovo, vive con il vecchio zio Gus in un ranch dove addomestica cavalli e, legandosi alla vicina di casa Morgan di lui innamorata, addomestica anche il dolore della perdita della moglie Susie, sbalzata da un puledro troppo irruente. E’ un uomo che ama gli animali e li accudisce, anche per salvarli dalla malvagità di altri uomini, che uccidono vacche per odio ai rancheros neri e agli indiani e danno fuoco alle tane dei coyotes dei quali lui ne salva i cuccioli. Poi salva un cavallo di un amico che ha inghiottito un ramo di spine: è la sua attitudine salvare vite. Quando il suo giovane lavorante omosessuale, Wallace, finisce in prigione accusato, ingiustamente, dell’omicidio di un amico e il giovane si impicca, il nostro eroe si chiede se lui non poteva fare qualcosa in più che telefonare ad un fratello del ragazzo fuori di testa. Ma il caso gli propone una seconda possibilità, e John dovrà confrontarsi una seconda volta con l’accanimento e la violenza che uomini senza capacità d’amore riservano a quello che non riescono a comprendere ed accettare.
“Mi manca”, ha detto lei.
“Anche a me”.
Non c’era molto altro da dire. Se a Morgan fosse venuto da piangere, allora avrebbe pianto. E io l’avrei abbracciata forte. Ma non le è venuto da piangere.
“A Natale la mamma dava sempre le carote ai cavalli”, ha detto. “Possiamo farlo anche noi stamattina?”.
In un crescendo intenso e struggente allo stesso tempo, siamo accompagnati dall’autore a vivere una moderna tragedia generata identificandoci con un protagonista con il normale coraggio di cui ci dovremmo attrezzare tutti quanti: ferito dal male che vede attorno a sè ma non rassegnato a subirlo, e incapace di chiudere gli occhi e voltarsi da un’altra parte solo per affermare la necessità di amare ogni essere vivente, uomini animali o piante, senza differenze od esclusioni. Scrittura limpida, essenziale, a tratti lirica ed epica nella misura in cui lo è lo scenario in cui ci immerge l’autore scrivendo un post-western amaro e suggestivo.
Renato Graziano
Everett è uno scrittore nero americano di sicuro spessore e di notevole vivacità sperimentale. In Ferito lascia però da parte l’appariscente sperimentazione linguistica per affidarsi a una scrittura più tradizionale e comunicativa. La concezione della letteratura che guida il lavoro di Everett è improntata all’impegno morale di decifrazione di sé e del mondo, secondo le modalità specifiche dell’approccio letterario (non è frivola, non è strumentale, non è autoreferenziale). Traendo liberamente spunto da un fatto realmente accaduto, Everett narra dell’assassinio rituale di un giovane omosessuale cui fanno seguito dapprima il suicidio di un suo sodale ingiustamente accusato, poi la sparizione di un terzo omosessuale, le ricerche del quale, affidate alle indolenti autorità locali, non portano a nessun risultato. Viceversa il colto e tollerante ranchero nero John Hunt (personaggio-narrante), amico dello scomparso, seguendo una pista fin troppo evidente, stana i colpevoli e conduce a un finale duro e spietato.
Paolo Mantioni