Beach Music – Pat Conroy #PatConroy

Un terrorista travestito da frate, un copione cinematografico che nasconde un segreto, un suicidio che ha le sue radici nell’Olocausto, il cinismo di Hollywood: un romanzo dell’autore de Il principe delle maree che la critica ha definito “l’epopea di una generazione di arrabbiati desiderosa di imboccare la strada del ritorno”.

630 pagine fitte di contenuti di eventi e racconti e di un linguaggio ricco, denso, che riempie e appaga, come avevo già potuto apprezzare nel precedente romanzo; Pat Conroy scrive bellissime storie in un modo eccellente.

“Le insegnai a distinguere la nostra posizione nel Campo usando l’olfatto. Il lato sud era impestato di odore di pesce, e non importa quanta acqua o lavoro di strofinaccio eliminasse da quella parte di piazza il tanfo di ammoniaca: quelle pietre erano marchiate dal pesce. E lo stesso facevano, in altre parti della piazza, la carne degli agnelli macellati e i grani di caffè, e i mazzi di rughetta, e le scintillanti piramidi di agrumi, e il pane appena cotto che, uscito dal forno, produceva un profumo bruno. Spiegai a Leah che, per imprimere nella memoria il delicato graffito del tempo, l’olfatto è meglio di un diario.”

Un ordito delizioso di storie che si intrecciano nell’intreccio feroce della Storia!

La storia della Seconda Guerra e dell’Europa, la storia del tormento degli Ebrei, raccontata con incredibile forza e pathos; i moti studenteschi degli anni ‘60 in America, contro la guerra in Vietnam. Ma anche una splendida descrizione di Roma e una critica al Sud degli Stati Uniti. Una spirale discendente, che si srotola lentamente per svelarci come la storia dei padri ammanta di dolore le vite dei figli.

“Pensi che potresti gettare tua figlia Leah in un crematorio, Jack? Ovviamente no. il tuo amore per lei è troppo grande, vero? Lascia che ti affamino per un anno. Che ti pestino sino a spappolarti la volontà. Che uccidano tutti quelli cui vuoi bene, e che ti lavorino fino a farti crollare. Lascia che ti umilino, e che ti riempiano di pidocchi i capelli e di vermi il pane. Lascia che ti portino al limite, e che lungo i bordi della tua anima scoprano dove finisce la civiltà e dove inizia la depravazione. E qui il trucco, Jack. Devi annichilire l’uomo, e a quel punto lo possiedi. Lascia che io ti annichilisca così come loro hanno annichilito me, e ti prometto che butterai Leah nel fuoco, che la impiccherai, che guarderai cento uomini che la stuprano e poi le aprono la gola, e ne gettano brandelli di corpo ai cani affamati lungo la strada. Ti turbo. Mi dispiace. Ti dico quello che so. Ma adesso un’altra cosa: è possibile che tu uccida con le tue mani tua figlia perché il mondo è in pezzi e Dio ha nascosto il proprio volto; e, uccidendola, penserai di star provando il tuo amore per lei come mai hai fatto sino a quel momento. Leah la ucciderei io stesso, stanotte prima di lasciarle passare quello che ho passato io, Jack.”

Carla Putzu

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Storia di un corpo – Daniel Pennac #DanielPennac #recensione

La nostra voce è la musica che fa il vento quando ci attraversa il corpo. (Be’, quando non esce da sotto.)

Spesso è difficile per un autore distaccarsi dai personaggi di una saga che ha avuto tanto successo e che è stata tanto amata ma qui Pennac ci è riuscito con risultati estremamente positivi.
Con uno stile più sobrio rispetto a quello utilizzato nella saga di Malaussene, ma sempre caratterizzato da un misto di delicata poesia e feroce ironia, l’autore riporta parte dei diari scritti lungo l’arco di una vita da un notabile della vita parigina, dalla pre-adolescenza, negli anni ’30, fino alla vecchiaia, negli anni ’10 del terzo millennio.


La cosa curiosa è che non si tratta di normali diari, l’autore di questi non era interessato a raccontare gli eventi e le emozioni provate durante le sue giornate. All’autore interessava analizzare le risposte del proprio corpo (ma occasionalmente anche degli altrui corpi) rispetto ai quotidiani stimoli che esso riceveva. Descrivere le reazioni del proprio corpo per poi descrivere la propria vita. Un diario che può essere il diario di chiunque con le goie, le paure, i dolori e la tristezza che suscita la malattia e la vecchiaia. Ovviamente, da questi racconti si viene a conoscere anche la storia di questo ragazzo, poi diventato adulto, sposato, i figli, i nipoti, gli amici, etc…

Pennac ci lascia in balìa di un racconto, di una storia, di un corpo che un giorno potrebbe essere il nostro, un poco di tristezza ma ci fornisce un efficace antidoto, che troviamo nelle ultime parole della più cara amica del protagonista, Fanché:
‘Non fare quella faccia, petardo, lo sai che prima o poi si finisce tutti nella maggioranza.” E anche: che senso dare ad una realtà che ha per tutti una data di scadenza?
La risposta è forse racchiusa nelle parole di tenerezza che il protagonista rivolge alla figlia, a cui il diario è affidato: “Oh! Mia Lison! La felicità senza alcun altro motivo che la felicità di esistere”.
Bello, consigliato a chi già apprezza Pennac ma anche a chi ancora non ha letto nulla di suo.

Massimo Arena