Alabama – Alessandro Barbero #AlessandroBarbero #Sellerio

Alabama è il racconto in forma di monologo di un anziano reduce della guerra di secessione, il sudista Dick Stanton, stimolato da una giovane studentessa interessata per un suo lavoro universitario a ricostruire un tragico episodio dimenticato di quella drammatica svolta della storia americana e non riportato da testi ufficiali.

Il vecchio racconta divagando continuamente fra vita prima della guerra e le fasi cruciali della marcia e dei combattimenti della sua compagnia. Ufficiali, colleghi, amici affollano la mente del narratore in una moltitudine di storie e aneddoti che sapientemente lo storico e scrittore Barbero utilizza per portarci assieme al suo personaggio a quel tempo, a quella mentalità in cui i “negri” semplicemente sono merce comprata e venduta o barattata, come fossero cavalli muli o altre bestie o altri beni da consumare.

Storie certo tante volte lette e raccontate, direte, ma purtoppo sempre attuali come le cronache americane e altri libri contemporanei ci ricordano continuamente. Qui però, nella scelta narrativa dell’autore prevale inizialmente la tenerezza del ricordo recuperato e del calore umano del vecchio verso i suoi tempi ormai finiti nella sconfitta, stemperando così la dura realtà dello schiavismo in un amarcord affettuoso che aiuta anche a comprendere in parte la differenza sostanziale fra quell’epoca e tutto il razzismo sopravvissuto quasi fosse un genoma americano.

Ma non solo: nell’odio contemporaneo c’è solo lo spregio e l’accanimento razzista dei suprematisti bianchi, mentre a quel tempo i “padroni” avevano spesso l’atteggiamento benevolo e affettivo verso persone sentite come animali domestici e che quasi sempre rispondevano con acquiescenza e fedeltà totale verso il loro proprietario. Cani fedeli o docili animali da soma. Il racconto di Dick, contrappuntato brevemente solo in fondo ad ogni capitolo dalle riflessioni della ragazza su quello che sente raccontare, risulta inizialmente un po’ faticoso nella lettura per la forma monologante e disordinata del vecchio con molti nomi di neri e bianchi che non essendo veri e propri personaggi ma spesso brevi inserti aneddotici, tendono a confondersi.

Ma si arriva alla parte finale con il racconto della strage perfettamente calati nel contesto e nel clima che Barbero ha saputo sapientemente ricreare e allora sale in primo piano non la tenerezza del ricordo ma la terribile naturalezza con la quale Dick e i compagni uccidono i neri prigionieri, colpevoli di aver imbracciato le armi assieme ai nordisti. Ed è allora che la ragazza si spaventa di sé stessa, perché davanti al vecchio Dick è comparsa una vecchia “negra” a portare una bevanda, apparizione che la ha agitata, indispettita e quasi portata a cacciarla fuori dalla stanza: quasi a segnare la presenza di fantasmi del passato che non se ne vanno mai pronti ad abitare anche la mente e il cuore di chi vuol capire come è stato possibile e come potrebbe essere facile farlo riaccadere.

Renato Graziano

Editore: Sellerio Editore Palermo Collana: La memoria

Alcuni anni fa, nei suoi percorsi e studi da storico, Barbero ha incontrato una storia che non poteva essere racchiusa in un saggio. Ed è quella di Alabama, che pur non essendo nato come reazione alla storia recente ne anticipa i motivi profondi, scandagliandone l’oscurità delle viscere. È la vicenda di un eccidio di neri, di «negri», durante la Guerra di Secessione, la prima grande lacerazione nazionale che divide il paese tra chi vuole bandire la schiavitù e chi non ne ha nessuna intenzione. Ed è la storia di bianchi pulciosi e affamati che vanno in guerra per pochi spiccioli e che sentono il diritto naturale di fare dei negri quello che vogliono. Tutto questo diventa il racconto fluviale, trascinante, inarrestabile, dell’unico testimone sopravvissuto, Dick Stanton, soldato dell’esercito del Sud, stanato e pungolato in fin di vita da una giovane studentessa che vuole ricostruire la verità. Verità storica e romanzesca, perché Barbero inventa una voce indimenticabile, comica e inaffidabile, logorroica e irritante, dolente e angosciosa, che trascina il lettore in quegli abissi che ancora una volta si sono riaperti. Il nuovo romanzo di Barbero va davvero a toccare i tratti del carattere americano che sono deflagrati negli eventi dell’ultimo anno e degli ultimi mesi: la questione del suprematismo bianco, il razzismo profondo che innerva persino le istituzioni, la mentalità paranoica, l’orgoglio e la presunzione di farsi giustizia da sé, la violenza che scaturisce dalla povertà, dalla rabbia, da ciò che si vive come ingiusto sulla propria pelle e che si rovescia su chi è ancora più debole.

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Vite pericolose di bravi ragazzi – Chris Fuhrman #ChrisFuhrman #recensione

Il problema della vita è che quando non sei nei casini è noiosa.

*Ultimo (e unico) libro scritto da un autore prima di morire.
Con quello che costano i libri, e con quello che spendo a comprarli, ormai acquisto solo volumi di cui mi sento sicura, senza lasciarmi più attrarre da vezzi di copertine belle, titoli accattivanti o editori indipendenti. Spendo solo per titoli dalle mie varie sfide, per i classici, e dietro suggerimenti di altri lettori di cui mi fido; e va detto che adottando questo metodo, in effetti, raramente ormai leggo libri brutti. D’altra parte mi mancano quei giri in libreria in cui riempivo il carrello di autori mai sentiti, trame immaginifiche e titoli improbabili, e così approfitto delle occasioni:
questo acquisto a prezzo scontatissimo è stato una scelta felice, così lieta anzi che la voglio condividere con voi.
Nel Sud degli Stati Uniti degli anni ’70, scosso da rigurgiti razzisti e da violenze della popolazione nera più antagonista, il tredicenne Francis frequenta una scuola cattolica, odiandone tutto: i precetti, le suore, e i preti. Con lui c’è il suo speciale e privato gruppo di Perdenti, una banda di ragazzini con cui sopravvivere all’adolescenza, alla scuola, a una famiglia con un padre manesco e una madre frivola e frustrata. Più speciale di tutti c’è il suo migliore amico Tim, fisico emaciato e con problemi di sviluppo, la mente un vulcano di idee e intelligenza, che legge libri normalmente proibiti ai suoi coetanei citando William Blake e Robert Frost, Jim Morrison e i saggi politici del padre professore di storia. L’amicizia è più forte del dolore e della brutalità dei rapporti umani, il primo amore è così bello da fare male, le sbronze precoci e le irrefrenabili pulsioni sessuali si alternano all’irriverenza in Chiesa e a scuola, perchè la vita a quell’età è in fondo tutta da ridere, finchè si volta indietro a morderti e ti fa male. Ma, come dice il maestro King, non si può stare attenti su uno skateboard, a undici anni.
E’ un libro che descrive molto bene lo strano equilibrio nelle vite dei giovanissimi, piene in egual misura di schifo, bellezza, crudeltà, matte risate e banalità, in cui gli adulti sono sempre disperatamente antagonisti.
Come stile, è molto onesto e diretto, con momenti di originalità e di singoli attimi di bellezza. L‘avvicendarsi della trama forse all’inizio un po’ confusionario, ma perdonabile; la caratterizzazione dei personaggi non è riuscita per tutti, a libro finito ho ancora difficoltà a distinguere qualcuno della banda; ma quelli descritti bene, sono riusciti benissimo. Tim e Francis e Margie sono vivi e indimenticabili. Forse serviva una riscrittura, in generale; ma come ho scritto in cima, non si può: Chris Fuhrman morì a trent’anni di cancro, riuscendo appena a terminare l’ultima stesura di questo suo unico romanzo.
Che è un libro bello, pieno di vita, va dritto al cuore con i suoi protagonisti lanciati a tutta birra in bicicletta verso nuove scorribande, nuovi fumetti, acquisti di scimmie di mare (!!!) e primi baci, in quell’età magica “quando ancora le cose potevano succedere per la prima volta.

Sapere che è un lavoro pubblicato postumo, aggiunge un senso di tristezza dolceamara alla lettura; questo è il lavoro della vita di uno scrittore, che ha riversato tutto quello che poteva e sapeva nel suo romanzo, conscio del fatto che non avrebbe avuto altro tempo nè occasioni: e per me, è un lavoro che gli è riuscito proprio bene. Come dice lui stesso attraverso uno dei personaggi, certe persone sono destinate a non arrivare mai all’età adulta, e muoiono giovani. La loro influenza sugli altri rimane, ma loro no.

“In terza media, per noi Gesù Cristo era stato chiacchiere e farina di ossa per la maggior parte dei suoi 1974 anni. Ma eravamo soltanto tredicenni. Eravamo temerari, dei banditi. Io avevo un nome da femmina, Francis, e un’ernia”.

Lorenza Inquisition