Vite pericolose di bravi ragazzi – Chris Fuhrman #ChrisFuhrman #recensione

Il problema della vita è che quando non sei nei casini è noiosa.

*Ultimo (e unico) libro scritto da un autore prima di morire.
Con quello che costano i libri, e con quello che spendo a comprarli, ormai acquisto solo volumi di cui mi sento sicura, senza lasciarmi più attrarre da vezzi di copertine belle, titoli accattivanti o editori indipendenti. Spendo solo per titoli dalle mie varie sfide, per i classici, e dietro suggerimenti di altri lettori di cui mi fido; e va detto che adottando questo metodo, in effetti, raramente ormai leggo libri brutti. D’altra parte mi mancano quei giri in libreria in cui riempivo il carrello di autori mai sentiti, trame immaginifiche e titoli improbabili, e così approfitto delle occasioni:
questo acquisto a prezzo scontatissimo è stato una scelta felice, così lieta anzi che la voglio condividere con voi.
Nel Sud degli Stati Uniti degli anni ’70, scosso da rigurgiti razzisti e da violenze della popolazione nera più antagonista, il tredicenne Francis frequenta una scuola cattolica, odiandone tutto: i precetti, le suore, e i preti. Con lui c’è il suo speciale e privato gruppo di Perdenti, una banda di ragazzini con cui sopravvivere all’adolescenza, alla scuola, a una famiglia con un padre manesco e una madre frivola e frustrata. Più speciale di tutti c’è il suo migliore amico Tim, fisico emaciato e con problemi di sviluppo, la mente un vulcano di idee e intelligenza, che legge libri normalmente proibiti ai suoi coetanei citando William Blake e Robert Frost, Jim Morrison e i saggi politici del padre professore di storia. L’amicizia è più forte del dolore e della brutalità dei rapporti umani, il primo amore è così bello da fare male, le sbronze precoci e le irrefrenabili pulsioni sessuali si alternano all’irriverenza in Chiesa e a scuola, perchè la vita a quell’età è in fondo tutta da ridere, finchè si volta indietro a morderti e ti fa male. Ma, come dice il maestro King, non si può stare attenti su uno skateboard, a undici anni.
E’ un libro che descrive molto bene lo strano equilibrio nelle vite dei giovanissimi, piene in egual misura di schifo, bellezza, crudeltà, matte risate e banalità, in cui gli adulti sono sempre disperatamente antagonisti.
Come stile, è molto onesto e diretto, con momenti di originalità e di singoli attimi di bellezza. L‘avvicendarsi della trama forse all’inizio un po’ confusionario, ma perdonabile; la caratterizzazione dei personaggi non è riuscita per tutti, a libro finito ho ancora difficoltà a distinguere qualcuno della banda; ma quelli descritti bene, sono riusciti benissimo. Tim e Francis e Margie sono vivi e indimenticabili. Forse serviva una riscrittura, in generale; ma come ho scritto in cima, non si può: Chris Fuhrman morì a trent’anni di cancro, riuscendo appena a terminare l’ultima stesura di questo suo unico romanzo.
Che è un libro bello, pieno di vita, va dritto al cuore con i suoi protagonisti lanciati a tutta birra in bicicletta verso nuove scorribande, nuovi fumetti, acquisti di scimmie di mare (!!!) e primi baci, in quell’età magica “quando ancora le cose potevano succedere per la prima volta.

Sapere che è un lavoro pubblicato postumo, aggiunge un senso di tristezza dolceamara alla lettura; questo è il lavoro della vita di uno scrittore, che ha riversato tutto quello che poteva e sapeva nel suo romanzo, conscio del fatto che non avrebbe avuto altro tempo nè occasioni: e per me, è un lavoro che gli è riuscito proprio bene. Come dice lui stesso attraverso uno dei personaggi, certe persone sono destinate a non arrivare mai all’età adulta, e muoiono giovani. La loro influenza sugli altri rimane, ma loro no.

“In terza media, per noi Gesù Cristo era stato chiacchiere e farina di ossa per la maggior parte dei suoi 1974 anni. Ma eravamo soltanto tredicenni. Eravamo temerari, dei banditi. Io avevo un nome da femmina, Francis, e un’ernia”.

Lorenza Inquisition

Fine turno – Stephen King #recensione #StephenKing

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Ho finito la triologia Kinghiana dedicata al Detective Hodges e all’assassino della Mercedes. Non saranno capolavori, ma soprattutto quest’ultimo, FINE TURNO, mi è piaciuto molto e leggerlo è stato puro divertimento!
RECE: #50LIBRINUNANNO #RECENSIONI #FINETURNO #STEPHENKING

Questo thriller è il terzo volume di una triologia che Stephen King ha dedicato al detective – ex poliziotto in pensione Hodge e a Brady Hartsfield, lo spietato assassino dalla Mercedes. E’ un po’ difficile cercare di spiegare di cosa parla questo appassionante “hard – boiled” a puntate, dal momento che ormai siamo giunti al capolinea della storia, ma cercherò comunque di fare il mio dovere dando le informazioni essenziali senza spoilerare nulla, con buona pace di tutti coloro che non hanno ancora avuto il piacere di avventurarsi in questa triplice lettura. La triologia inizia con Mr Mercedes e prosegue con “Chi perde paga“, a mio avviso il meno appassionante, ma solo perché a tratti sembra po’ slegato dalle radici della storia iniziale: il detective Hogde entra in scena piuttosto tardi, ma i riferimenti con il passato non mancano ed il ritmo incalzante impedisce al lettore di mollare la presa. Sì perché Stephen King è geniale, inarrestabile e sempre generoso di sorprese verso i suoi devoti lettori: sono quarant’anni che quest’uomo sforna libri a ripetizione e, a parte qualche sosta forzata e un paio di libri senza troppo cuore, non mi ha mai delusa. Quando è al massimo della forma, leggere un suo libro è come fare un giro sulle giostre. Diverte, emoziona, e nel mentre il tremito sottile di una paura dimenticata si insidia tra le pieghe del lenzuolo, che mentre leggiamo tiriamo sempre un po’ più sù, fino a coprire il naso: non è una paura che lui ha inventato apposta per noi, ma qualcosa di oscuro ed ancestrale che noi riviviamo attraverso le sue parole…lui gioca con le nostre paure infantili, quelle irrisolte che ci portiamo dietro ancora da adulti e quelle che non abbiamo mai avuto il coraggio di guardare in faccia. Ed è questo che fa la differenza tra Stephen King ed il resto del mondo.
Questa volta King riprende esattamente da dove aveva lasciato con l’epilogo di Mr Mercedes: sono passati sei anni ormai da quando lo psicopatico Brady ha ammazzato otto persone servendosi di una vecchia Mercedes, tutti disoccupati in cerca di un lavoro, e tentato un’altra strage di ragazzine piazzando bombe all’interno di un Auditorium in cui si sarebbe dovuto tenere il concerto di una Boy Band. Non racconterò di cosa ne è stato di Brady, anche se trovate tutto nella sinossi. Non voglio togliervi il piacere di scoprire cosa è successo dopo. Quello che è certo, e che posso anticipare, è che si tratta di un incubo agghiacciante che prende forma poco alla volta. L’Assassino della Mercedes non ha terminato la sua opera, ma eravamo solo agli inizi del suo personalissimo show. I suoi deliri mentali non sono cessati, ma hanno assunto una nuova forma, ancora più inquietante e praticamente impossibile da arginare. I suoi istinti malati si sono amplificati e diffusi traendo forza da una sorta di ipnosi collettiva, la mente di Brady ora non è più solo sua, ma si sta propagando come se fosse un virus infettivo….Le nuove tecnologie, i computer, gli aggeggi informatici di nuova e vecchia generazione, internet ed i social network: tutto contribuisce a potenziare la forza distruttiva di Brady.
Il detective Hodge ancora una volta si rimetterà a caccia, perché da anni non riesce a placare l’ossessione che nutre nei confronti dell’assassino della Mercedes. Tutto, ancora una volta, riconduce a lui. Non sembra possibile e nemmeno logico, ma è come se gli anni passati a dimenticare quello psicopatico non fossero serviti a nulla. Un tarlo invincibile, che scava nella sua mente e non gli da tregua. Insieme a lui ritroviamo ancora una volta i suoi improvvisati compagni di avventura, Jerome e Holly. Tra di loro ormai si è creato un forte legame, che va oltre il rapporto lavorativo in senso stretto: come le dita di una mano, sono sempre pronte ad aiutarsi l’un l’altro, parti integranti di una famiglia costruita sui sentimenti e non sul sangue. Holly è ormai diventata socia a tutti gli effetti dalla “Finders Keepers”, la microscopica agenzia di cacciatori di taglie nata all’epoca della strage, che non ha permesso ad Hodge di godersi la sua pensione. La Finders Keepers, che Holly cura con instancabile solerzia e meticolosità, ha ributtato a capofitto il Det.Rip. nel lavoro, anche se a dire il vero non ha mai avuto una reale intenzione di ritirarsi: l’idea della sua nuova vita da pensionato lo stava letteralmente uccidendo, esattamente come aveva intuito Brady.
Per entrambi è giunto il momento di porre fine a questo lungo inseguimento. Hodge e Brady rappresentano il bene ed il male che duellano fino all’ultimo decisivo scontro, simboli anomli di questo eterno conflitto, perchè non rispecchiano affatto l’immaginario collettivo: Hodge non è un supereroe e Brady non ha le sembianze di uno spietato serial killer. La linea di confine non è mai così netta. Il male che si insinua nella normalità delle nostre vite, trasformandole in autentici incubi ad occhi aperti, è un tema caro all’autore ed in questo romanzo lo ritroviamo con una sorprendente forza espressiva, anche se il thriller è un genere che non gli appartiene. Dietro i personaggi che King mette in scena c’è sempre un’accurata indagine psicologica, un’analisi delle fragilità umane lucida ed attenta che subito mette in sintonia il lettore con la storia. Se l’autore ha un dono, è proprio questo. Non sa creare solo storie perfette, che tengono incollati alle pagine con un misto di ansia e di bramosia, ma riesce a toccare attraverso le parole la parte più nascosta di noi, scivolandoci sopra con decisione e dolcezza, proprio come un pianista che sta componendo una melodia. Ho perso il conto delle volte in cui mi sono commossa, leggendo una delle sue storie. O che mi sono indignata, arrabbiata, divertita. Ho provato tutte le emozioni del mondo da quando lo conosco, ed è successo anche con il detective Hodge e la sua strampalata squadra. Ancora una volta King ha compiuto questa specie di prodigio letterario, e se pensate che io stia esagerando, beh…allora provate a leggere Il Miglio Verde, Stand by me, oppure It…e poi ne riparliamo. Molti suoi estimatori lo hanno criticato per i suoi ultimi lavori perchè, probabilmente, i suoi pesonaggi hanno perso smalto. I “cattivi”, così dice qualcuno, sono meno convincenti rispetto ai bei vecchi tempi, quando tutti noi (nessuno escluso) avevamo una paura folle dei pagliacci e degli hotel fatiscenti. Forse è vero, probabilmente Brady Hartsfield non ci fa tremare le viscere quando lo incontriamo leggendo, ma per quanto mi riguarda io baso il mio giudizio su altri parametri: la scrittura, signori. Le sue parole sono come un vortice, mi hanno risucchiata e gettata nell’anima di una storia stupefacente, eppure così dannatamente legata alla realtà.
Cosa c’è di più importante?

Paola Castelli