Stefan Zweig – Ventiquattro ore nella vita di una donna

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Ecco conclusa la mia lettura di “Ventiquattro ore nella vita di una donna” (Passigli), che come gli altri due titoli di Stefan Zweig già letti – “Novella degli scacchi” e “Lettera da una sconosciuta” – più che un romanzo breve è un racconto neanche tanto lungo: da leggere, insomma, nel giro di un pomeriggio. E io avrei preferito leggerlo in un pomeriggio d’inverno (non vi spiego come mai! Penso sia questione soggettiva). In più, lo considero di una bellezza meno fulgida di quella degli altri due titoli nominati. Eppure… anche “Ventiquattro ore nella vita di una donna” mi pare un piccolo libro molto speciale. Per una ragione semplice: che la qualità della scrittura di Zweig è altissima. E quindi non mi pare tanto importante raccontarvi che al centro della vicenda vi sia l’improvvisa e travolgente passione di una donna per un ragazzo divorato a sua volta da un’autodistruttiva passione per il gioco d’azzardo; e che il cuore della vicenda stessa si svolga nel lasso di tempo indicato nel titolo ma resti evento principale di tutta l’esistenza della protagonista (cfr. “Lettera da una sconosciuta”). Perché mi sembra di dire di più del libro chiarendo quanto sia suggestiva la resa delle sue atmosfere (che meraviglia, la scena della donna e del ragazzo – sconosciuti l’uno all’altra – sulla panchina, sotto la pioggia scrosciante, dopo che lei, poco prima, ha avvistato lui al tavolo da gioco) e un dipanarsi della storia tale da lasciare senza fiato, come se anche il lettore, come la donna e il ragazzo, fosse preso da una passione. Ma il motivo che, da solo, può giustificare la scelta di leggere “Ventiquattro ore nella vita di una donna” è ciò che l’autore offre in due pagine: il resoconto di quel che accade a un tavolo da gioco di Monte Carlo attraverso uno sguardo che si concentra esclusivamente sulle mani dei giocatori, e che attraverso i movimenti e le immobilità di quelle mani coglie emozioni e caratteri di coloro che con quelle mani stanno puntando e poi riscuotendo e poi… Se conducessi un corso di scrittura creativa, utilizzerei quelle due pagine come spunto per un’intera lezione, con tanto di assegnazione finale di compiti per casa. Come descrivere una situazione e diversi personaggi, principali e secondari, attraverso uno sguardo “mirato”. … Ma come riuscirci in modo sublime, beh, quello proprio non vi sarebbe modo di insegnarlo.

Sonia Patania

Georges Simenon – Il piccolo libraio di Archangelsk

1937435_355143224633639_2701767460431263971_nUna gemma tersa e preziosa. E’ “Il piccolo libraio di Archangelsk”, il romanzo di Georges Simenon (in italiano edito da Adelphi) che ho finito di leggere stanotte e che mi ha lasciato la certezza che il libraio del titolo sia uno dei personaggi più toccanti creati dal caro Georges. La trama della vicenda parrebbe esigua. La giovane moglie italiana – altro personaggio memorabile per svogliatezza e lascivia, altalenante fra impulsi egoistici e sensi di colpa – lo abbandona all’insaputa di tutti. Per difenderne la reputazione, lui s’infila in un gorgo di bugie che gli si ritorceranno contro, perché tutti i membri della comunità a cui appartengono il libraio e Gina La Traditrice penseranno che lui abbia fatto fuori la consorte. Se già la storia fosse tutta qui, sarebbe sublime per come Georges la racconta, descrivendo l’ansia crescente del libraio e il suo struggente fronteggiare il vicinato mal simulando tranquillità. Ma la vicenda è più complessa e interessante, perché il libraio è un ebreo russo naturalizzato francese, e la fuga di Gina con le sue conseguenze evidenzia ai suoi occhi come tutti l’abbiano sempre considerato un forestiero; come l’integrazione che lui dava per scontata sia stata solo apparente; come orrendi sospetti si siano ingenerati facilmente, tra i suoi vicini, proprio per questo: perché mai l’avevano davvero considerato uno di loro. … Le pagine più commoventi: quelle che fanno intendere il rapporto esile ma forte fra il libraio e la sua terra d’origine, da cui è stato portato via da piccolo, all’inizio della Rivoluzione; e quella in cui, al commissariato, il libraio difende l’immagine della moglie più che la propria innocenza esclamando “E’ la sua natura!”: una malinconica lezione su cosa significhi amare.

Sonia Patania