Ho comprato questo libro per due ragioni. Prima di tutto perché il titolo è accattivante e mi ha incuriosita. La seconda ragione è che la rubrica libri della rivista Internazionale gli assegna 5 palle e finora i PentaPalluti di Internazionale non mi hanno mai delusa. Sapete cosa vi dico? Bingo anche questa volta! Alle 4 di mattina ero lì che mi commuovevo, avevo gli occhi stanchi ma non c’è stato verso: sono stata costretta a proseguire nella lettura fino all’ultima pagina.
“Un romanzo così intelligente e gustoso da leggere che merita tutta l’attenzione che gli si può dedicare”. Così diceva la recensione. E’ vero, una gradita sorpresa, una storia originale raccontata bene, ispirata da fatti reali di un passato nemmeno troppo remoto. Qualche caduta nella seconda parte che magari toglie qualcosina alle 5 Palle, ma nemmeno poi tanto.
Sono in difficoltà perché non vorrei svelare più di tanto la trama. La recensione che avevo letto diceva molto del racconto, ma avrei preferito arrivare piano piano al nocciolo della questione, nel modo intrigante e commovente in cui la protagonista guida il lettore durante il percorso.
Lo stile è piacevole, intelligente e a tratti brillante. L’autrice è riuscita ad introdurre Piaget e altri padri della pedagogia in modo spesso ferocemente ironico, ma siamo di fronte a un libro che affronta temi pesanti come la separazione, il distacco, il rimorso e il senso di colpa. Per dirla in parole povere: si soffre, e nemmeno poco. Soffrono i protagonisti, nel loro modo personalissimo e ai nostri occhi forse stravagante. E soffre il lettore che, pagina dopo pagina, comincia a provare una forte empatia per la giovane Rosemary e per sua sorella Fern.
Rosemary è la voce narrante, una voce che racconta i meccanismi turbolenti della sua travagliata famiglia (perché come sappiamo ogni famiglia infelice è infelice a modo suo) con un tono sarcastico e molto spesso amaro, ma che riesce anche a far sorridere nella descrizione di piccole manie. Soprattutto ci porta ad avere voglia di intervenire, di desiderare di essere catapultati dentro la storia armati di secchiate di tenerezza e conforto.
L’autrice è la stessa del libro “Il club di Jane Austen” uscito qualche anno fa e del quale non riesco a capacitarmi di aver finora ignorato l’esistenza.
Nota personale: dopo La levatrice di New York un altro libro emotivamente intenso. Per fortuna nella pause rileggo Don Camillo.
Rubo dal sito del Libraio il riassunto della trama (che dice e non dice, forse si mantiene fin troppo sulle generali, perché è quel centro al quale accenna ad essere importante):
Rosemary Cooke ha cinque anni quando, d’estate, viene spedita dai nonni. Al ritorno in famiglia scopre che sua sorella è sparita e dell’argomento non bisogna parlare. Cinque anni più tardi, suo fratello scappa di casa, e probabilmente è ricercato dall’FBI. È facile intuire che la vita di Rosemary sia segnata da queste due assenze. Ma quando devi raccontare una storia, le ha insegnato suo padre, comincia dal centro. Salta l’inizio. E al centro di questa storia c’è lei ventiduenne che si ritrova finalmente a fare i conti col proprio passato e coi propri ricordi. Tra l’altro, e lei lo sa benissimo, dei ricordi non ci si può fidare più di tanto… Quello di Karen Joy Fowler è un libro in cui si ride e si piange, grazie agli intrecci di una famiglia decisamente non convenzionale.
Anna LittleMax Massimino
