Suite francese – Irène Némirovsky #Suitefrancese #IrèneNémirovsky

“Sarà dura, pensavano i parigini. Aria di primavera. Una notte di guerra, l’allarme. Ma la notte svanisce, la guerra è lontana. Quelli che non dormivano, i malati nei loro letti, le madri con un figlio al fronte, le donne innamorate con gli occhi sciupati dal pianto, sentivano il primo soffio della sirena, ancora solo un ansito profondo simile al sospiro che esce da un petto oppresso. In pochi istanti il cielo tutto si sarebbe riempito di clamori. Che venivano da lontano, dall’estrema linea dell’orizzonte – senza fretta si sarebbe detto. Quelli che dormivano sognavano il mare che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde, la tempesta di marzo che scuote la foresta, una mandria di buoi che galoppano pesanti facendo tremare il suolo con gli zoccoli; ma il sogno finiva e socchiudendo appena gli occhi gli uomini mormoravano: «È l’allarme?»”

Suite francese -Irène Némirovsky
Curatore: D. Epstein, O. Rubinstein
Traduttore: L. Frausin Guarino
Editore: Adelphi

Qualche anno fa lessi “Jezabel“, della Nemirovsky, divorandolo in poco tempo e amandolo dalla prima all’ultima parola. Sull’onda dell’entusiasmo decisi di comprare questo “Suite francese“, della stessa autrice, per poi dimenticarlo e leggere altro. Questa settimana mi è capitato tra le mani e ho dedicato ogni minuto di tempo libero per leggerlo tutto; ne è valsa la pena: è stato un viaggio bellissimo. Il romanzo è incompleto, ma non è l’incompletezza del romanzo in sé a lasciarmi l’amaro in bocca, bensì la prematura dipartita di una scrittrice che avrebbe potuto regalarci ancora moltissime opere. Leggere Nemirovsky significa sentirne la mancanza.

Giulia Baldo

L’Opera Struggente di un Formidabile Genio – Dave Eggers #DaveEggers #recensione

L’opera struggente di un formidabile genio – Di Dave Eggers

Editore: A. Mondadori (Piccola Biblioteca Oscar)

«Tutti ci divoriamo l’un l’altro, costantemente, ogni giorno.»
«No.»
«E invece sì. È quello che facciamo in quanto esseri umani.»

Questo è un libro difficile da raccontare, a volte difficile da leggere, a tratti irresistibile, in genere esasperante, come il protagonista. E’ atipico già in fase di strutturazione: si apre con una prefazione lunghissima, che introduce il contenuto del libro e lo giudica, analizzandone le parti da saltare senza rimorsi; seguono un indice dei capitoli con relativi temi affrontati (semplificati da un elenco di parole-chiave), una Guida incompleta ai simboli e alle metafore, e infine una seconda prefazione, introdotta nelle edizioni successive, intitolata Sbagli che sapevamo di fare, con puntualizzazioni sull’opera dopo la prima pubblicazione. E poi c’è il modo di raccontare la storia, ironico, sopra le righe, assurdo e tendenzialmente indigesto ai più, immagino. E’ un’opera giovane, come l’autore, al suo primo lavoro quando la scrisse: e c’è dentro tutto l’animo di quel trentenne che racconta il proprio io ventiduenne, e la vita assurda e i pensieri folli che lo fecero diventare grande nel corso di pochi terribili splendidi anni.

Il libro è autobiografico, ma non è precisamente un diario di avvenimenti; si apre nel ventiduesimo anno di età di Dave, quando entrambi i suoi genitori, tragicamente, muoiono di malattia a distanza di poche settimane. Mentre il fratello maggiore (“E’ un repubblicano“) ha già un’esistenza autonoma in un’altra città, Dave e la sorella Beth rimangono le uniche figure di riferimento per il figlio più piccolo Christopher, detto Toph, di otto anni. I fratelli decidono di trasferirsi in California seguendo la sorella che vuole finire di laurearsi, e iniziano una nuova vita fatta non di tristezza e struggimenti come ci si potrebbe aspettare dalla neo condizione di orfani, ma tutto sommato serena. La sorella interviene solo per rare importanti decisioni, e il fratello maggiore, lontano, è tendenzialmente interpellato solo per questioni finanziarie. Grazie allo spirito egocentrico, indomito e decisamente fuori dal comune di Dave, sul quale ricade quasi in esclusiva il compito di educare il fratellino, nonostante le varie difficoltà burocratiche e di vario genere “adulto”, la coppia Dave-Toph prospera. I due si imbarcano in un’esistenza caotica e sopra le righe, politicamente scorretta e potenzialmente nevrotica, generalmente randagia, mentre tentano disperatamente di rimanere nei ranghi del socialmente accettabile, soprattutto per non fare crescere il giovane Toph come un disadattato cronico, o peggio, un serial killer. Dave e Toph vivono alla giornata in un interscambio continuo di ruoli, ognuno diviene potenzialmente mentore dell’altro, e poi padre, madre, e a volte lui stesso figlio, tra traslochi e iscrizioni a scuola, provini per MTV e incapacità cronica di organizzarsi per essere in orario, in un ubriacante senso di libertà dovuto al fatto di dover ricostruire una vita senza punti di riferimento, e al tempo stesso sotto la paranoica sensazione di essere individui segnati dalla malasorte passata e quindi predestinati, per una sorta di effetto karma, a una sorta di invincibilità nell’immediato futuro perchè “abbiamo già dato abbastanza, per ora.”

Il centro di tutto il racconto è comunque Dave, fanfarone ed egomaniaco, o forse solo molto giovane, il suo stile ironico caratterizzato da slanci viscerali di rabbia e risate, nella sua goffaggine da giovane adulto con cui affronta il mondo, nella miriade di parole che riversa addosso al lettore mentre parte con l’ennesimo spiegone sulla vita, l’amore, il sesso, la società. Dave è il protagonista assoluto, circondato da quelle che sembrano comparse più che attori non protagonisti, e in effetti la caratterizzazione di tutti gli altri personaggi – e ce n’è una miriade- è quasi assente. Rimangono una marea di nomi e situazioni, tutte dominate da lui, dalla sua parlantina, dai suoi voli di fantasia, dalle sue storie per metà inventate e per metà senza senso.

È stato detto, direi non a torto, che questo libro è troppo tutto: uno zibaldone di flusso di coscienza di un protagonista nevrotico e ossessivo che ha un ego ABnormale e in più somatizza a causa dei lutti subiti, e va avanti per pagine e pagine di ansia di vivere, paura di morire, desiderio di riconciliare il passato e di esorcizzare i ricordi dei morti. Penso che sia vero, è troppo, ci sono punti in cui è solo logorroico e ci sono momenti pure di noia esasperata. Eppure. Eppure ha uno stile al quale non si può far altro che inchinarsi, ti intossica, ti macina e ti risputa fuori, e in genere ne sei grato, perchè davvero ti rendi conto di essere di fronte a un formidabile genio, e stai pure muto due volte se pensi che era il suo primo romanzo. E a parte lo stile, ha alcune pagine di vero lirismo, davvero belle e intense, di grande ispirazione: quando gioca a frisbee con il fratellino o quando è alle prese con l’amico perenne aspirante suicida John, o l’inarrivabile dolcezza dell’immaginario funerale della madre rispetto a quello vero; o un certo riappropriarsi della memoria e dei ricordi dei propri genitori, una volta filtrato il dolore insopportabile della perdita.

Personalmente, mi è piaciuto tanto, anche se non posso dire di averlo amato. E’ un buon libro con una scrittura magnifica, puro talento e stupore, nel campo delle opere alla DFW che infatti lo esaltava, prolisso, verboso, intelligente, tenero, autoreferenziale e masturbatorio. E’ il tipo di libro che una volta iniziato lascia due sole scelte: o ci si abbandona senza rimpianti al flusso, o si va a fondo ammazzandosi di noia e critica, a volte andandosene e mollandolo a metà. Ma per me, vale la pena finirlo.

Lorenza Inquisition